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Autore: Toya    12/03/2012    1 recensioni
Non so nemmeno perchè l'ho scritta, un lampo di malinconia ed eccola.. Una fanfic senza nessun contesto generale, solo una protagonista, la sua agonia, e la dolce illusione di un'aiuto che poi finisce per essere la sua stessa trappola.
Spero che vi piaccia.. anche se non promette molto lo ammetto..
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Apro gli occhi e non vedo nessuna luce abbagliarmi. Sbatto più volte gli occhi, chiedendomi se realmente li ho aperti o meno, sentendo una pesantezza solo nell’atto di aprirli. L’oscurità, che attorno a me mi protegge, stranamente cerca allo stesso modo di risucchiarmi in quell’eterno obliò da cui non si vede nessuna via d’uscita.
Mi guardo dappertutto, disperata. Il mio sguardo non riesce ad accettare la solita parete ombrosa che mi incarcera in quella che io voglio credere una stanza ma che in verità non sembra altro che un lungo tunnel senza una via d’uscita.
Grido, grido con tutta la forza che ho. Sento la gola in fiamme, le lacrime rigare il mio volto quasi come per esternare la disperazione interna che non riesco a sfogare pienamente. E continuo a gridare, illudendomi quasi di sentire la risposta di qualcuno che in verità non è altro che la mia voce di rimando, che ritorna da me quasi per farmi un torto.
Non sento più nessuna forza percorrere il mio corpo. Cerco disperatamente di cadere, di piegarmi all’umiliazione, alla solitudine, alla sofferenza, ma il mio corpo sembra essere trattenuto da un filo invisibile, quasi come se volesse godersi quegli attimi di agonia e di disperazione che avevano preso il possesso di me.
Guardo  smaniosamente il pavimento oscuro sotto di me che non sembra altro che un profondo mare nero da cui non si comprende nemmeno la profondità della superficie. Da una parte desideravo arduamente di toccare il fondo, di sentirmi stabile, mentre dall’altra la paura di cadere in un eterno abisso era tanta.
E da lontano, una figura che conosco bene sembra osservarmi da lontano, porgendomi la sua mano come mia ancora di salvezza. Il filo che dietro mi trattiene, davanti a quella figura che stava lì ferma ad aspettarmi,  quasi perde ogni controllo su di me. La mia mente non focalizza più niente se non quella figura, quella sua mano.
Corro, corro con tutte le forze che ho. Sento le gambe irrigidirsi dallo sforzo improvviso che stavo compiendo. Devo raggiungerla. Devo prendere la sua mano. Questo è il mio unico pensiero e questa deve essere la mia ultima aspirazione.
Eppure continuo a sentire una forza contrapporsi al mio sforzo. Una forza oscura quasi mi trattiene contro ogni mia volontà, tirandomi a sé sempre più lontana da quella figura. E urlo con tutta la forza che ho, alzando il braccio verso di essa, sperando disperata che riesce a prendermi, ma qualcosa mi blocca.
Guardo le mani della mia ancora di salvezza a cui tanto aspiravo quando la luce speranzosa nei miei occhi si spegne di colpo. Tra le sue mani c’è lo strumento della mia tortura, la mia salvezza non è altro che il suo divertimento ovvero la mia tortura.
Ogni base sotto di me cede all’improvviso, senza darmi neanche una piccola illusione di tregua. Mi sento cadere, cadere senza nessuna opposizione, senza nessuna meta precisa e non cerco nemmeno di salvarmi, di salvarmi da un destino già segnato.
Avrei preferito correre all’infinito verso quel lungo corridoio tetro.. Che vederti artefice di questo mio destino, proprio a te a cui lo avevo affidato. 
  
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