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Autore: Hivy    17/03/2012    5 recensioni
"Non era un bruto, e mai, s’era ostinato d’esserlo.
Era solo focoso.
Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.
Il fuoco dei Borgia."
Cesare Borgia, Duca Valentino, primogenito di Papa Alessandro VI; da mesi impegnato nella conquista del suolo romagnolo, nell'anno 1500 giunge a Faenza, città difesa dalla famiglia Manfredi.
Una furiosa lotta lo attende, ma le ragioni che lo muovono e lo colmano di ardimento, sono oscure.
La più ardua battaglia dei fratelli Manfredi sarà riuscire a resistegli restando uniti, sino in fondo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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cap.1

Le due facce del Duca

 *** 

Non era un bruto, e mai, s’era ostinato d’esserlo.

Era solo focoso. Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.

Il fuoco dei Borgia.

 *** 


Faenza, Anno Domini 1500

Il rampollo di Castel Sant’Angelo, Cesare Borgia, detto il Valentino,

 assedia da sei mesi il castello.

 

Il Borgia era alla testa del ben armato e nutrito esercito papale. 

Assediava la città da sei mesi; con l’anima infiammata dalla determinazione, e il cuore pieno d’orgoglio spagnolo, famelico di vittoria. Si vociava che non mangiasse da tre mesi, così occupato com’era a progettare una vittoria rapida e schiacciante.

Faenza era l’ultima mira del Valentino, dopo, che, nell’ottobre di quello stesso anno, aveva intrapreso la seconda campagna contro i nemici della Chiesa, finanziata dal suo ricco ed immorale padre Alessandro VI.

Aveva seminato paura e distruzione dietro di sé, espugnando, con il pugno di ferro, i ricchi castelli laziali dei nemici del padre: i Colonna e i Savelli.

La voce della sua schiacciante vittoria aveva raggiunto gli orecchi di Pandolfo Malatesta, signore della ricca Rimini e di Giovanni Sforza, signore di Pesaro, che spaventati fuggirono come cani, lasciando che l’invasione dello spietato Borgia prendesse sempre più piede nella Romagna, mentre i poveri lo acclamavano come un liberatore, portatore della voce di Dio.

Il Borgia aveva fama d’essere un grande uomo, forte e invincibile, spinto dalla stessa voce dell’Altissimo. Che leggenda fosse vera o no, non ci è dato di sapere. Ma in quegli ultimi mesi d’assedio, pareva veramente che Iddio parlasse per mezzo di lui; aggiungendo altra forza al suo braccio, ampliando e fomentando la fiamma incandescente che gli ardeva dentro. Era ancora più ardimentoso ed impaziente, girovagava come  un febbricitante per il campo, borbottando parole assennate, sussurrate al vento.

Era dunque in quello spirito, irrequieto e tormentato da pensieri tenebrosi, che risiedeva la voce di Dio.

<< E’ la spada di Satana che impugna! >> sbottò con voce ardimentosa il Manfredi, passeggiando nervosamente su e giù per la stanza.

<< Calma, fratello! >> esordì con voce piatta il giovane Gian Galeazzo II Manfredi, il più saggio e filosofico tra i due fratelli signori di Faenza:<< Il Borgia è pur sempre il figlio del Santo Padre… >> gli rammentò con calma:<< se la nostra resa è ciò che vuole Iddio, allora è alla sua volontà che ci dobbiamo inchinare… >> disse.

<< Dio, fratello? >> sbottò l’altro:<< guarda! Guardalo! >> urlò febbricitante, indicando oltre la finestra:<< ti sembra un figlio di Dio, quello!? >> fece una pausa e attese che anche il fratello si accostasse alla finestra:<< un figlio di Dio che uccide, violenta, assale, distrugge? Di che Dio stiamo parlando?! >> sbottò:<< di che Dio parliamo?! E’ palese che quel demone serve solo sé stesso, sé e quella sua fame di potere, di vittoria! Lo ha ben istruito il suo Santo Padre! Inganno, sotterfugi, omicidi! E’ questo che fa Dio? >> sbottò.  

Gian Galeazzo restò in silenzio, a fissare con intensità oltre il vetro della finestra. Il Borgia, infuriava nella battaglia a spada tratta, con la rabbia che traboccava nel suo cuore, annebbiandogli anche gli occhi. La sete di vittoria che bruciava nel petto.

<< Non è della sua Santa ispirazione di cui parliamo adesso, Astorre… >> disse con calma un uomo, che indossava una pesante armatura a placche.

<< Cosa suggerisci, allora? >>sbottò il giovane duca, voltandosi di scatto famelico, rendendosi conto di essere stato troppo duro con il suo più fidato braccio destro:<< perdona la mia irruenza, Petronio… >> disse con voce più calma, cercando di non ascoltare le urla di guerra e il cozzare delle spade che proveniva da fuori.

<< La tua idea, Petronio? >> si intromise Gian Galeazzo, mettendo una mano sulla spalla del fratello, invitandolo a riprendere le redini del suo autocontrollo.

<< Siamo alla fame… >> prese a dire l’uomo con calma pacata nella voce:<< il Borgia e il suo esercito hanno tagliato le nostre risorse, e preso le campagne sempre più in profondità, non ci arrivano più provviste e pare che… >> fece una pausa e abbassò lo sguardo gravemente.

<< Parla, per Dio! >> sbottò l’irrequieto Manfredi, perdendo nuovamente la calma:<< se sono cattive notizie che devi portare, non attendere oltre! >> aggiunse irritato, con il volto paonazzo.

<< l’esercito e soprattutto lo stuolo di prostitute che lo seguono devono… >> fece nuovamente una pausa, ma nel vedere il volto di Astorre diventare sempre più paonazzo, si affrettò ad aggiungere altro:<< aver dato l’avvio ad un epidemia… >> spiegò seriamente.

Astorre ebbe un moto d’ira, che lo costrinse a digrignare i denti:<< deve aver architettato tutto lui! Quel mostro! >> urlò.

<< Calmati fratello! >> si intromise Gian Galeazzo un poco più preoccupato.

<< Sì, potrebbe essere come dici tu, Astorre… >> prese a spiegare Petronio:<< ma io non penso, non è certo stato Cesare Borgia a costringere i nostri contadini insoddisfatti ad andare dalle sue prostitute! >> disse seriamente l’uomo:<< non penso sia stata una mossa programmata… >> continuò.

Astorre strinse il pugno, nervoso ed irritato:<< lo proteggi, Petronio? >> sbottò.

<< No, Astorre, ma non possiamo esserne sicuri! >> disse con voce più franca l’uomo, mentre l’armatura scintillava lugubre alla luce della prima mattina:<< in dieci anni di battaglie non ho mai visto una città espugnata senza inganno, sotterfugio e furbizia… e dobbiamo ricordarci che l’esercito papale può muoversi liberamente, trovare alleati, rafforzarsi, noi siamo bloccati qui, senza aiuti, né cibo e… >> fece una pausa e abbassò lo sguardo, ma ad una mossa di Astorre riprese a parlare:<< devono aver scoperto l’esistenza del secondo pozzo… proprio stamane una famiglia di cinque persone è morta avvelenata, e altre subiranno la stessa sorte… non sappiamo quanti abbiano già utilizzato quell’acqua dopo la contaminazione, né chi l’abbia avvelenata… >> constatò lentamente.

<< E’ terribile! >> intervenne Gian Galeazzo, affranto, con lo sguardo assorto nei suoi pensieri:<< cosa possiamo fare, Petronio? >> chiese ingenuamente.

L’uomo fece schioccare la lingua sul palato, poi si strofinò le mani nervoso e dubbioso, infine, riprese a parlare titubante:<< io credo che… la nostra unica speranza sia… >> fece una lunga pausa, ma né Astorre, né il fratello minore ebbero la forza di ribadire, quella moltitudine di notizie li aveva profondamente scossi:<<  innalzare il vessillo della resa… >> mormorò.

Per la sala aleggiò un silenzio profondo e teso, mentre di sotto, provenivano le grida della battaglia.

Il volto di Astorre si incupì, mentre Gian Galeazzo, parve riflettere seriamente sul consiglio dell’uomo.

<< Petronio! >> sbottò il maggiore tra i fratelli, Astorre, portandosi due dita all’attaccatura del naso:<< come puoi dire una cosa simile! >> disse infuriato, trattenendo il tono di voce irritato.

<< Calma, Astorre! >> sbottò Gian Galeazzo, prendendo la parola, con occhi iniettati di determinazione, che di rado si poteva scorgere sul suo volto:<< potremmo non avere altra scelta! >> aggiunse lentamente.

<< No, mai! >> sbottò l’altro, sciogliendosi dalla presa del fratello, che ancora poggiava la mano alla sua spalla:<< non cederò mai agli sporchi ricatti di quel demone! Mai! A costo di morire io stesso di sete! >> sbottò deciso.

<< Dici bene, fratello! >> intervenne Gin Galeazzo, serio e deciso: > sbottò.

Astorre digrignò i denti per la rabbia, e fissò alternativamente il fratello ed il fidato Petronio, infine, con passi lenti si avviò verso la finestra.

La scena che gli si presentò davanti agli occhi lo fece fremere per la rabbia e per l’orrore. Il Borgia infuriava nel cuore pulsante della battaglia, mentre i suoi soldati mercenari dissanguavano i nemici, e, ormai sotto le mura, violentavano le donne che si erano rifugiate nella corte interna.

Non ebbe il tempo per riprendersi del tutto da quella vista, voltò lo sguardo e fissò per qualche attimo il pavimento. Non poteva arrendersi, non voleva. Faenza non era mai stata attaccata prima dall’ora, lui aveva giurato di proteggere i suoi abitanti dalle violenze e dalle ingiustizie, ed il Duca Valentino era la minaccia più crudele e spietata che potesse capitar loro.

Allo stesso tempo, il suo animo nobile, non gli permetteva di lasciare che tutto quello accadesse. Non poteva fingere di non vedere. Non poteva evitare di guardare oltre le finestre.

Forse Dio aveva tracciato una via diversa per lui, un cammino al fianco della Chiesa, non contro d’essa, lontano dalla sua amata Faenza, a Roma…

Si tormentò con quei pensieri per lunghi minuti, aveva la vista annebbiata dalle lacrime di rabbia e frustrazione. Le urla disperate delle donne, i pianti dei bambini e il fragore delle spade rimbombavano nelle sue orecchie, come il battito di un cuore spaventato.

Come poteva fingere che non succedesse nulla?

Se si fosse arreso spontaneamente, la vita dei suoi sudditi sarebbe stata salva, e forse, il Borgia sarebbe stato clemente con lui. Ancora aleggiavano i racconti della sua bontà nei rispetti di Caterina Sforza, alla quale aveva risparmiato la vita, mandandola in convento, piuttosto che ordinare la sua esecuzione. Forse anche lui avrebbe avuto salva la vita. Era anche vero che Caterina Sforza era una donna, e anche molto bella, a quanto si narrava. Un motivo in più per non ucciderla, si vociferava, che i Borgia, avessero un particolare ‘appetito’ in questo senso.

No, Cesare Borgia, non gli avrebbe mai risparmiato la vita. Ma non poteva permettergli di continuare con la sua invasione.

<< Innalza il vessillo! >> disse seriamente:<< e assicurati che Cesare e i suoi animali smettano di combattere, la città è loro! >>

  
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