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Autore: Maiko    18/03/2012    1 recensioni
[...]Un piede attraversò l'arco, poi anche l'altro lo raggiunse. Si girò ancora una volta a guardare i compagni però il gruppo era scomparso.
Voleva andarli a cercare perché non voleva stare sola, però quel posto le piaceva[..]e allora continuò a camminare.
Non aveva più uscita, ora poteva solo tornare a casa.
Genere: Angst, Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel posto la stava chiamando, se ne sentiva in qualche modo attratta da quando l'aveva visto da lontano mentre arrivava con il pullman della scuola.
Erano in gita per vedere qualcosa che lei non aveva afferrato, tanto sarebbe stata un'altra inutile perdita di tempo; era una bambina, tutti lì erano bambini, tranne le maestre, e ai bambini piace giocare.
Quando avevano girato con l'autobus per parcheggiare, aveva visto dei ragazzi più grandi parlare tra loro di fronte all'ingresso di quello strano complesso, e aveva sentito la calda sensazione di averli già visti, così aveva abbassato il finestrino e li aveva salutati; non aveva sentito il 'ciao' che aveva urlato, nè il successivo, eppure non ci aveva fatto molto caso perchè il gruppo dei più grandi si era sbracciato a risponderle, quindi l'avevano sentita.

La maestra se ne stava andando verso il luogo della gita, stava dicendo a tutti di seguirla, ma quel posto le piaceva tanto e non voleva andarsene.
Si voltò un attimo per guardare se i suoi compagni fossero abbastanza vicini da poter essere raggiunti, e le parve che quegli edifici alle sue spalle stessero sussurrando il suo nome.
Camminò piano verso l'ingresso e mosse qualche passo sotto l'arco di legno con il nome del posto però non era ancora brava a leggere.
Si voltò ancora a guardare il gruppo della scuola e fu assicurata dalla massa di bambini poco distanti che procedeva lentamente e disordinatamente.
Solo un attimo, giusto il tempo di dare un'occhiata.
Un piede attraversò l'arco, poi anche l'altro lo raggiunse. Si girò ancora una volta a guardare i compagni però il gruppo era scomparso.
Voleva andarli a cercare perchè non voleva stare sola, però quel posto le piaceva.
Alzò lo sguardo verso l'arco, lo vedeva dal basso, lontano, pareva quasi un ponte a cui avevano tolto il fiume da superare.
E il suo nome fu sussurrato ancora dal vento, e allora continuò a camminare.

C'era tanta gente in quel posto, gente che camminava come lei e poi entrava in qualche edificio, e allora lei volle imitarli.
La porta che varcò dava su una grande sala e c'erano poche persone raggruppate che combattevano e poi c'era una donna appoggiata contro un mucchio di tappetini che parlava con un uomo.
La donna la vide e la salutò, e allora lei si tolse la cartella e la appoggiò al mucchio di tappetini, e sedette ad osservare.
Il tempo passava, ma a lei piaceva stare lì e non si annoiava, e la maestra e i compagni erano solo un ricordo lontano.

L'uomo a un certo punto cercò qualcosa dietro al mucchio di vestiti appoggiati sulle panche e intanto la donna continuava a parlare, anche se non c'era più nessuno davanti a lei perchè l'uomo si era spostato.
Poi si avvicinò un cane che era più basso di lei, le doveva arrivare più o meno ai fianchi, si disse, era bello, marrone con qualche macchia bianca sul muso e sul dorso e la pancia era rosa; chissà poi se fosse maschio o femmina?
Quel cane le piaceva e gli si avvicinò a sua volta ma poi si fermò e ritirò la mano che voleva accarezzarlo perchè il cane era macchiato di rosso; strisce vermiglie che gli coloravano la testa e le zampe e non risparmiavano neanche il corpicino magro, e alcune gocce gli sporcavano il muso candido colando dal naso e strisciando tra i denti.
Non voleva toccarlo perchè forse era malato e se lo avesse toccato si sarebbe ammalata anche lei e sarebbe morta.
Il cane si era fermato a guardarla e lei si distanziò di qualche passo per essere sicura di non toccarlo.
L'uomo smise di cercare e le si avvicinò con un astuccio in mano.
- Di chi è? - chiese
- E' mio - rispose
Non ricordava di aver tirato fuori qualcosa dalla sua cartella, non ricordava neanche di possedere un astuccio simile, eppure le sembrava così familiare che le era venuto da piangere solo al pensare di lasciarlo lì.

Lo sentiva viscido tra le mani e alcuni pezzi della stoffa parevano ricoperti da una strana patina umida e trasparente.
- L'ha preso il cane - chiese, ma pareva più una costatazione.
Nessuno rispose e allora lei lo appoggiò sui tappetini e non lo volle più toccare.
Si voltò verso la donna e vide che i suoi capelli erano sporchi e appiccicati tra loro da un liquido rosso e secco, lo stesso che c'era sul cane, e che quella stessa sostanza le stava colando sulla fronte e tra le ciglia scure lasciando lunghe lacrime rosse sulle guance e sulle labbra carnose.
La guardava con sguardo vitreo come se non la vedesse davvero, e allora lei si rivolse all'uomo perchè voleva che la aiutasse e non voleva che morisse.
L'uomo sembrava sorridere sotto ai baffi scuri e i suoi occhi erano cattivi.
Teneva in mano una di quelle forbici che tante volte aveva visto usare ai bidelli della sua scuola, quelle che si usano per tagliare i fili della corrente, e dalle lame colava lo stesso liquido rosso che aveva macchiato il bel viso della donna e che ora gocciolava lento fino a formare piccole pozze sul pavimento.
Le sorrise di più, facendo schizzare quel colore vermiglio anche sulla sua camicia perchè i baffi e la bocca ne erano pieni, e allora lei si voltò e corse.

Uscì dalla porta da cui era entrata e corse verso la recinzione che chiudeva l'edificio, era più alta di lei quindi avrebbe potuto chiudere fuori l'uomo.
Il cielo era diventato buio e quindi era stata lì tanto, eppure la maestra e i compagni parevano tanto lontani che si chiese se davvero li aveva visti quel giorno.
Aprì il cancello e poi lo chiuse, ma la serratura non scattava e quindi si sarebbe aperto, e l'uomo arriava, lo vedeva correre verso di lei, e allora decise di tenerlo fermo lei così non avrebbe potuto raggiungerla.
Dopo un po' l'uomo decise di scavalcarlo e lei scappò verso la porta di un altro edificio e vi si intrufolò dentro.
All'interno vi era la stessa grande sala da cui era uscita, con gli stessi tappetini e lo stesso astuccio e allora lei provò di nuovo ad uscire con un'altra porta, ma non ce n'erano più, solo una che dava su delle scale bianche che salivano.
E li andò di lì.
Nella piccola stanza bianca e luminosa che aveva raggiunto c'era una porta d'emergenza e lei non seppe perchè ma sentì che dava sul tetto e quindi non avrebbe potuto più scappare.
Si sarebbe dovuta buttare ma almeno l'uomo non l'avrebbe raggiunta più.

Non aveva più uscita, ora poteva solo tornare a casa, sussurravano i muri.

Mentre si avvicinava vide un anfratto nel muro da cui filtrava una luce calda, sporse la testa e vide che su quel pezzo di parete abbattuta si affacciava una piccola anticamera e poi una scala a chiocciola.
Si guardò indietro e poi entrò, una voce nella sua testa le diceva che era sicuro le c'era la luce calda a illuminarla perchè di solito era spenta e buia.
E allora scese i gradini lasciandosi alle spalle quella fredda luce bianca e un pupazzo marrone appoggiato al muro che le sorrideva rassicurante.
La scala era lunga epure sentiva un gran senso di pace e malinconia e si chiese se non ci fosse già stata, almeno una volta.
Arrivò ad un pianerottolo e si chiese se dovesse scendere ancora o percorrere il corridoio chi aveva di fronte, e nel dubbio decise di rimanere lì.
Ormai era certa che l'uomo non avrebbe più potuto falre del male perchè quel posto le trasmetteva un senso di calore e sicurezza.
Era tutto disordinato e abbandonato ma riusciva a sentire il calore del sole e il cinguettio dei gabbiani e, lontano, le onde di un bellissimo mare blu.

[...]

C'era un silenzio surreale in quel complesso di edifici abbandonati.
Un tempo erano stati abitati da molte persone ma ora era tutto vuoto e lugubre.
A quel tempo c'era anche una palestra, nello stesso identico edificio in cui abitava una famiglia, ma ora anche quella casa era vuota e fredda.

Non era successo niente, avevano detto.
Era solo vuota e abbandonata.

Eppure ora in quella casa era ritornato qualcuno, qualcuno che la polizia ritrovò tempo dopo, un corpo senza vita inciampato sui grandini mancanti di una scala a chiocciola.

La stessa scala che portava a casa.








NdMaiko:
Bene, so di avere un paio di storie in corso, ma questa la dovevo proprio scrivere.
E' un sogno che ho fatto sta notte, uno dei sogni più belli che abbia mai fatto, nonostante le scene macabre.
Vi starete chiedendo perchè mai un sogno simile possa essere bello.
Vedete, questa notte mi sono addormentata con l'iPod acceso e in molti tratti di questo sogno vi era la "colonna sonora" sulla quale giocava tutta la scena perchè in base ad essa, penso che la mia mente modificasse i fatti.
Nell'ultima parte della storia, vale a dire da quando la bambina si ritrova nuovamente nella sala e va al piano di sopra, c'erano due canzoni che nel sogno facevano venire un gran senso di malinconia e voglia di piangere, come se per davvero quel posto esistesse e l'avessi già visto.
Non so, forse questa oneshot non vi piacerà, non sono neanche sicura della categoria, però provate a immaginarvi quelle scene ascoltando rispettivamente queste due canzoni ('Fond affection' e 'Barramundi' di 'This Mortal coil') forse l'atmosfera cambierà.
Ho scelto questo titolo prevalentemente perchè, come ho scritto in una frase, la bambina non poteva andarsene, poteva solo tornare a casa, e la scala a rigor di logica portava a casa sua.
E' un bel po' nosense, ma d'altro canto aspettarsi che un sogno non lo sia è difficile, però ognuno può dare un senso a quello che legge.
Spero di avervi fatto passare dei 5 minuti surreali, perchè mi ha lasciato davvero un senso di malinconia e sono due ore che scrivo, ormai sono stordita.
Grazie a chi ha letto e a chi volesse lasciarmi una recensione.

  
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