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Autore: argosy    17/10/2006    10 recensioni
La guerra è finita e ora tutti vogliono qualcosa da Hermione. Ma questo non è nulla di nuovo, no? Può farcela benissimo. Davvero.
Fanfiction classificatasi al secondo posto, su oltre 100 fanfiction partecipanti all'ultimo dmhgficexchange.
Questa storia si focalizza sul punto di vista di Hermione. Draco ricopre un ruolo importante, ma ampio spazio è riservato anche a Harry, Ron e Lupin.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Breathe 2
Disclaimer: Non ho un bilione di sterline, al contrario di JKRowling, un altro peccato da aggiungere al fatto che Harry Potter & Co non sono miei



Breathe




Parte seconda.




A Hermione faceva male la testa. Più del solito. L’aveva sbattuta contro la sua scrivania nell’Ufficio per i Maghi Senza Casa quando era caduta in un repentino, inaspettato ed estremamente breve sonnellino. Era sicura che le sarebbe venuto un bernoccolo.

Era tutta colpa di Draco.

La notte precedente gli aveva gettato un cuscino e aveva lasciato che si arrangiasse da solo in quella miniatura di salotto. Mentre era sdraiata nel suo letto, aveva sentito i suoi sforzi nel cercare di trasformare la sua scomoda poltroncina – che oltre a ostentare una tenace resistenza a tutti i tentativi di essere ammorbidita, aveva anche l’abitudine di far emergere, lungo tutta la sua superficie, molle appuntite. Avrebbe potuto dirgli che qualunque cosa avesse fatto non avrebbe funzionato.

Tuttavia non lo fece, e passò, invece, alcuni momenti ad ascoltare le sue imprecazioni e i suoi contorcimenti, prima di lanciare un Incantesimo Silenziatore. Ne era sicura, alla fine si sarebbe arreso e si sarebbe steso a terra. Era davvero l’unica opzione sensata.

Pensò a lui, steso lì, nel buio. Il suo appartamento era così piccolo che non era a più di un paio di metri di distanza, sebbene in un’altra stanza. In quel momento sarebbe stata incredibilmente contenta di possedere una porta che separasse il salotto dalla camera da letto. Rimuginò brevemente sulla possibilità di fare un Incantesimo di Costruzione. Poteva sentirlo respirare nonostante l’Incantesimo Silenziatore.

No. Quello doveva essere frutto solo della sua immaginazione come, chiaramente, la sensazione di brividi che le pervadeva il corpo.

Era ridicolo. Afferrò la sua bacchetta e sussurrò, ‘Protego’. Ecco, così sarebbe dovuto bastare. Se a Draco fosse venuta qualche divertente idea durante la notte, avrebbe cozzato contro una barriera magica.

Sarebbe dovuto bastare per garantirle una notte di sonno sereno. Perché non lo era?

Giusto quando aveva pensato che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi, doveva aver preso sonno davvero, perché altrimenti non sarebbe stata svegliata, improvvisamente, da un’arrabbiata voce maschile.

“Per le tette di Merlino!” il ruggito.

Hermione visse un momento di cieco panico, seguito da uno di cieca ira. Rilasciò velocemente la barriera e balzò in salotto. “Lumos!”.

Draco era steso sul pavimento, contro il muro, dove era stato messo ko dallo schermo. Si teneva il naso con entrambe le mani.

“Malfoy -”

La interruppe con un gemito di dolore. “Mi hai rotto il naso!”

“Cosa credevi di -”

“Stavo cercando di andare in bagno, stupida idiota. La tua virtù è perfettamente al sicuro con me. Ooowwww!” gemette ancora.

Hermione si sentì immediatamente in colpa, reazione completamente ridicola visto che Draco si meritava qualunque cosa gli fosse capitata. In ogni caso, gli concesse un veloce incantesimo curante.

Draco tolse lentamente le mani dal volto e si toccò con attenzione il naso con gli indici. Poi la guardò.

“Saresti così gentile da permettermi di usare il tuo bagno, ora?”

Si spostò di lato, facendogli spazio. Era una vera ingiustizia essere stata mortificata a morte nel proprio appartamento nel bel mezzo della notte, “Grazie”. Quella era un’espressione facile da riconoscere – lo Sguardo-Assassino Malfoy. “E magari puoi anche tornartene a letto, se non è chiedere troppo.”.

Non s’erano detti un’altra parola per il resto della notte. Hermione non era riuscita a riaddormentarsi.

E il giorno successivo, Hermione stava pagando la mancanza di riposo. Era stata persino scortese con una giovane coppia francese la cui unica colpa era stata quella di aver avuto la propria vita messa a soqquadro da Voldemort.

Dopo tutto quello che avevano passato, i due erano ancora così innamorati, così appassionati e premurosi l’un con l’altra, che a Hermione era venuta voglia di cavar loro gli occhi, o per lo meno ridurre a brandelli quei ridicoli berretti che indossavano. Rendendosi conto dello stato da deprivata di sonno in cui si trovava, riuscì a trattenere gli impulsi e a limitarsi a qualche brontolio. Non voleva vedere felici coppie innamorate. Non dopo aver dovuto trattare con Ron e Lavanda. E Draco, aggiunse la sua mente.

Draco? Da dove saltava fuori quel pensiero? Aveva davvero bisogno di riposo.

Ma, almeno per quel giorno, una dormita non era nel destino. Remus era arrivato nel suo ufficio non appena era riuscita a sistemare la coppia francese in una casa comune nei dintorni di Covent Garden. L’aveva portata a pranzo e aveva passato con lei tutto il pomeriggio parlandole del Dipartimento per i Rifugiati. “Darle un’idea”, così aveva definito quel colloquio. E da quando Remus era diventato un burocrate?

Quando finalmente si diresse verso casa due ore più tardi, non avrebbe voluto altro che un bagno bollente e un oblio di pace imperitura, ma sapeva che aveva ancora Draco da sistemare. Aveva promesso che se ne sarebbe andato per l’ora del suo ritorno dal lavoro, ma Hermione aveva un’idea di quello che potessero valere le solenni promesse di Draco Malfoy, soprattutto quando, in alternativa, aveva la possibilità di tormentarla.

No, lo avrebbe ritrovato ancora lì, arrogante e insopportabile come sempre. Se solo vivere da Babbano avesse potuto insegnargli un po’ di umiltà. Ma sarebbe stato come chiedere a un Chizpurfle di cambiare casa. Beh, avrebbe solo dovuto buttarlo fuori dall’appartamento con un po’ di fermezza, questa volta.

Alohomora”, disse alla propria porta, prima di introdursi in casa.

Aveva pianificato cosa dirgli. Non era un cattivo discorso – risoluto, ma non privo di comprensione – e pieno di utili consigli sulla necessità di imparare a cavarsela da solo.

Ma, per essere pronunciato, Hermione avrebbe dovuto avere un pubblico, e Draco non era presente. Incapace di credere che avesse effettivamente lasciato l’appartamento, Hermione fece le due falcate che le permisero di raggiungere la propria camera da letto. Draco non era neanche lì. Una veloce occhiata al gabinetto, le mostrò che anche quello era vuoto.

Hermione si lasciò cadere a peso morto sul letto e cercò di mettere a fuoco la situazione. Draco se ne era andato. Ora non avrebbe potuto propinargli il suo discorso. Ed era un buon discorso. E quello era l’unico motivo per cui era dispiaciuta.

“Oooowwww!” un lamento giunse da un punto nei pressi della cucina. Il suo stomaco si contorse per qualcosa che non voleva esaminare troppo da vicino, ma che assomigliava terribilmente a del sollievo. E, beh, se la prospettiva di un Malfoy sofferente era motivazione sufficiente a rendere migliore la propria giornata, era meglio che si assicurasse che non si fosse tagliato una mano con un coltello.

Con al volto una maschera di profonda fermezza, avanzò verso la cucina. Draco era rintanato in un angolo e fissava con malevolenza il suo fornello, stile Babbano, a gas.

“Mi ha bruciato”, esordì, con una voce ricolma di così tanto oltraggiato shock che lei si mise a ridere.

Si voltò per rivolgerle un’occhiataccia. “Gli ho chiesto molto gentilmente che mi preparasse la cena, poi ho girato quei suoi cosi rotondeggianti, e lui mi ha bruciato.”

Hermione lo osservò mentre si succhiava un dito e si lasciava sfuggire un altro uggiolio di dolore. Draco, ripeté nella sua mente, il mondo Babbano non è così orribile. Ci sono posti in cui puoi andare che ti aiuteranno ad imparare a reggerti in piedi da solo. Il tempo passerà in fretta…

“Puoi stare qui con me”, disse. Lui sollevò velocemente lo sguardo. “Per un paio di giorni. Finché non trovi un posto dove sistemarti.”

La sua ricompensa fu un genuino Draco Sorridente. Così raro che era quasi doloroso da vedere.

“E devi imparare alcune cose.”. Lui guardò il suo dito arrossato. Lei sospirò. “A incominciare da come farti da mangiare, suppongo.”.

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"Quindi Weasel si sposa”. Sembrava pensieroso.

“Qui c'è la frutta e la verdura”, indicò lei con un ampio gesto. Gli passò un grappolo d’uva e lo guardò con attenzione finché lui non lo posizionò con cura nel carrello della spesa.

“E con tutto quello che ha passato durante il sesto anno. Bene, bene.” Scosse la testa, la sua rassomiglianza con lo specchio di casa era stupefacente.

“Broccoli”, disse lei.

“Non mi piacciono”. Li rimise sul bancone. “Naturalmente tu sei molto meglio.”

“Non avrei dovuto dirtelo.”. Appunto, perché glielo aveva detto?

“Probabilmente no.” Si guardò attorno. “Dov’è il succo di zucca?”

“Ancora nella zucca.”

Ne prese in mano una e la guardò pensieroso. Se la portò ad un orecchio e la scrollò, accigliandosi. Hermione sospirò e gliela tolse dalla mani, posandola nel carrello.

“Weasley è un deficiente.”.

“Draco. Stiamo facendo la spesa. Sta’ attento se vuoi imparare a fartela da solo.” Aggiunse della lattuga. Magari Draco sarebbe riuscito ad imparare a farsi un’insalata senza fare dei danni, a se stesso o alla sua cucina.

“Deficiente”, ripeté. “Non che ci sia bisogno di dirlo, naturalmente. Però sentirlo ad alta voce è divertente. Weasley è un defi-ciente.” Assaporò l’ultima parola, facendola fuoriuscire lentamente dalle sua labbra.

“Draco -”

“Scegliere quella ridicola ragazza pon pon, quando avrebbe potuto avere te.”

“Non avrebbe potuto avere me”, rispose lei infine, cercando di non mostrare la sua gioia.

“No?” E non notò la luce che improvvisamente gli illuminò il volto.

“No”, rispose. “Andiamo. È arrivato il momento di imparare a pagare.”

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La sera successiva gli mostrò la metropolitana. Gli permise di scegliere la destinazione e fu sorpresa dalla sua scelta – Whitechapel - per lo meno finché non le disse che Jack lo Squartatore era stato, in realtà, un mago e che, si vociferava, fosse un cugino dei Malfoy.

“Ah”, fu tutto quel che disse.

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Il giorno seguente si trasferì nel suo nuovo ufficio, nella rinnovata sezione del Ministero della Magia.
Il cartellino magico sulla porta segnalava “Hermione Granger” in foglie d’oro, lei lo cambiò in madre perla non appena fu sola. Sperimentò alcuni colori, smeraldo e zaffiro, ma poi optò per uno sfondo nero.

Quando ritornò a casa, scoprì che Draco aveva apparentemente passato tutto il giorno a provare detersivi e detergenti, lasciando che l’acqua nella vasca fuoriuscisse e che una poltiglia verde si riversasse dappertutto, rovinando irrecuperabilmente il tappeto. Era ora che lo istruisse sul modo Babbano di fare pulizia.

“Uno straccio?” chiese, prendendolo in mano con disgusto.

“Sì”, disse lei e lo lasciò al suo destino.

A suo merito, lo sentì dire Gratta e Netta solo tre volte.

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La sera successiva gli disse che doveva uscire e gli lasciò una copia del London Times, opportunamente aperta sulla Sezione Cerca Lavoro.

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“E adesso provo io a rimetterti in sesto”. Hermione s’accigliò. Non era stata sua intenzione uscirsene con quella frase.

“Non credevo di essere a pezzi”, replicò Harry, buttando giù un altro sorso di Firewhiskey.

“Ed è quello che ho detto a Ginny!” Hermione fissò il suo bicchiere vuoto. Harry glielo riempì di nuovo. Harry era gentile. Non era a pezzi.

“Ginny?” chiese, aggrottando la fronte.

Ginny. Che cosa c’entrava Ginny? Oh, sì. Ginny voleva che lei rimettesse a posto Harry. Le aveva spedito già due Gufi al Ministero e, in aggiunta, aveva minacciato di ricorrere a una Strillettera la volta successiva. Ginny non era gentile.

“Strillettera”, rispose, Harry annuì come se avesse capito.

Giunta al Paiolo Magico aveva trovato Harry da basso, in mezzo alle persone. Bene, aveva pensato, prima di rendersi conto che era da basso al bar, e quello che stava facendo in mezzo alle persone era bere. Però le aveva rivolto un sorriso caloroso ed era sembrato genuinamente contento di vederla.

Era lì per rimetterlo a posto, o per lo meno per vederlo così che Ginny la lasciasse finalmente in pace. Ma lui insistette che, se aveva intenzione di rimanere con lui, allora avrebbe dovuto farsi offrire un drink. E poi un altro.

Non le era parsa una buona idea sul momento, almeno così ricordava vagamente. E perché no?

“Whoops.” Mancò poco che le scivolasse il bicchiere di mano.

“Whoops”, le fece il verso Harry.

Cercare di pensare le provocò un dolore acuto dietro gli occhi e fece girare un poco la stanza, così ci rinunciò. Harry stava sorridendo, un sorriso vero, e lei si stava divertendo come mai negli ultimi mesi. Il primo divertimento che si stava concedendo da mesi. Harry era un genio. Avrebbe dovuto dirglielo.

“Sei veramente intelligente”, gli disse.

“No, quella sei tu.”

“No, veramente, Harry. Non ti dai abbastanza credito.”

E lui sorrise di nuovo, e qualunque cosa rendesse felice Harry in quei giorni doveva essere una buona cosa.

Il barista aveva ormai chiuso il bar e aveva fatto ritornare tutti ai piani superiori, ma anche quello andava bene visto che Harry aveva ancora la bottiglia di Firewhiskey e il sorriso sulle labbra.

La camera d’albergo di Harry non era male, veramente. Il divano era grande e soffice, ci si poteva reclinare indietro e guardare il viso felice di Harry nella quasi totale oscurità.

“Remus mi ha dato una porta con il mio nome sopra,” disse. “Qualcuno t’ha mai dato una porta con il tuo nome sopra?”

“No” rispose. “Ce l’hai qui con te?”

“E’ una porta, Harry. È al Ministero. Vuole che gli faccia da assistente.”

“Bene.”

“Io non voglio farlo.”

“Non è quasi mai una questione di quello che tu vuoi, Hermione.”

Senza smettere di sorridere, riempì un altro bicchiere. Ma all’improvviso lei si rese conto che lui non era felice, e nemmeno si stava sentendo meglio. Per nulla.

“Harry”, cominciò.

“Che c’è?”

Si morse un labbro. “Niente.”

“Che c’è?”

Avrebbe potuto parlare del Ministero o di Quidditch o starsene semplicemente zitta. Ma si sentiva senza freni inibitori e incapace di fermarsi, come se fosse qualcun altro a parlare al posto suo.

Gli toccò una mano. “Non ti andrebbe di parlare con me?”

“Stiamo parlando”. Stava ancora sorridendo, ma c’era una traccia di avvertimento nella sua voce.

“Harry.”

“Per piacere, Hermione. Lascia perdere.” La sua mano, appoggiata sul divano, era chiusa a pugno e gli si intravedevano gocce di sudore sulla fronte.

Poi i suoi occhi incontrarono quelli di lei e il sorriso che aveva aleggiato sul suo volto sparì. Sembrò improvvisamente più giovane, e terrorizzato, e lei non poteva sopportare di vedere quell’angustia sul suo viso.

Si avvicinò a lui e lo strinse tra le sue braccia. “Ti prego, Harry, sono sicura che ti sentirai meglio se ne parli con qualcuno.”

Ne era sicura? Si sentiva vulnerabile e scossa. Avrebbe fatto di tutto, avrebbe provato a fare di tutto per far svanire quell’espressione tormentata dal suo volto.

“Cosa vuoi sapere?” chiese con un tono di voce vuoto, che non sembrava il suo. Un tono pericoloso.

Questa non era stata una buona idea. “Nulla”. Cercò di ritrarsi. Lui la tenne stretta nel suo abbraccio, rafforzando la presa. “Tutto quello che vuoi dirmi”, disse.

“Su Voldemort? Su quello che è successo a Hogwarts'?”

“Sì”, rispose. La stava schiacciando. Sentì della lacrime formarsi negli occhi.

“Perché dovrei dirtelo?”

“Non farlo allora, Harry”. Le stava facendo male, e lei poteva sentire delle lacrime sulle guance, ma quelle non erano per il dolore. “Non dirmi nulla se non te la senti. Non importa, non devi dire nulla.”

“Ero io l’Horcrux.”

Non la stava più tenendo. Si sentì fredda, e vuota, e le parole volavano intorno a lei.

“No”, disse.

“Sì”, sbottò in una breve risata. “Ero io l’ultimo Horcrux.”

“No, Harry. Il serpente -”

“Non è mai stato il serpente.” Sorrise, un sorriso tremendo. Lei si sentì ghiacciare. “Sono sempre stato io. Per tutta la mia vita, fin da quando ero poco più che un neonato, ho avuto un pezzo dell’anima di Voldemort in me.”.

“No, Harry.”. Ma non riusciva a negare la verità neanche a se stessa.

“Sì. Ha ucciso i miei genitori, e poi mi ha usato per restare in vita. Per tutto questo tempo.”.

Cercò di prendergli una mano. Lui s’alzò, appoggiandosi alla parete. Non la stava più guardando, e lei non sapeva se fosse meglio o peggio così.

“E io l’ho ucciso, e ha fatto male. Qualcosa in me è morto.”

“Harry.”

“E lui ha riso. Era dentro di me, Hermione. Che cosa ne pensi di questo?” Rise di nuovo; era il più brutto suono che avesse mai sentito.

Lo raggiunse, gli strinse le mani. “Non importa. Se ne è andato, ora.”.

“Come puoi saperlo?” La sua voce trasudava amarezza, adesso, e tremore.

“Voldemort se n’è andato. La sua anima se n’è andata.”

“Mi ha usato.”

“Sì. E ora se n’è andato.”.

“Era dentro di me. Ed è morto. E forse sono morto anch’io, non lo so.”.

“Harry, Harry.” Di nuovo gli cinse attorno le braccia e lasciò che le lacrime bagnassero il suo volto. Stava parlando, ma nel suo mormorio continuo, se n’è andato, se n’è andato, non riusciva a ritrovare se stessa.

“Hermione.” La sua voce era ghiaccio. “Vattene.”

Si tirò indietro. Lui non volle incrociare i suoi occhi. Si sentiva vuota e irreale.

“Va’ ” le disse. “Non tornare più.”

“Harry.”

“Non ti voglio qui. Non voglio vederti qui.”.

“Io -”

“Vattene e basta.”

Lui si ritirò nella sua camera da letto. Non si girò a guardarla. Dopo un momento, lei se ne andò.

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“Granger!”

La sua testa era piena di Billywigs. Saltellanti.

“Granger!”

Provò a mettersi a sedere, comprese che era una cattiva idea, e si lasciò cadere nuovamente sul cuscino.

“Ooowww”

Oh, per l’amor – Era impossibile per Draco sopravvivere cinque minuti da Babbano senza farsi del male?

Aprì lentamente gli occhi. La vista sembrava a posto. La luce era accecante, ma come primo passo non era male.

Udì uno schianto e si catapultò fuori dalla camera. I Billywigs aveva deciso di aumentare frequenza e forza nei loro salti, e ci stavano riuscendo alla grande. Boom, boom, boom.

La cucina era un disastro. Draco aveva tentato di farsi delle uova strapazzate, o magari erano dei cereali, chi poteva dirlo? Gusci rotti di uova punteggiavano il tavolo. Macchie di albume e tuorli si potevano vedere dappertutto, alcune persino in un piatto.

Lui se ne stava nel mezzo di quel caos, una mano stretta a pugno. Com’era possibile che quella fosse diventata ormai una scena tanto famigliare? Sospirò.

Nell’altra mano aveva ancora uno dei suoi coltelli più grandi ed affilati. Per la barba di Merlino. Aveva cercato di fare delle uova con un coltello?

Veramente, non aveva voglia di ascoltare la storia, ma lui doveva aver notato il suo sguardo attonito e, dopo aver assunto la sua espressione Non-Devo-Spiegarti-Quello-Che-Ho-Fatto-Ma-E’-Evidentemente-Tutta-Colpa-Tua, indicò con il coltello un uovo ancora intatto. “Beh, come si devono aprire ‘ste cose?”

Notò che s’era ferito il pollice. Supponeva di dover essere contenta che non si fosse reciso un polso.

“Draco.” Roteò gli occhi. I Billywigs lo interpretarono come il via a una serratissima partita di tennis (o ping pong?) all’interno della sua scatola cranica. “Metti giù il coltello.”

Si diresse in bagno per prendere un cerotto, ma prima di tornare indietro decise che era il caso di far sloggiare dalla sua bocca quella sensazione di marcio. Che Draco sanguinasse per un minuto.

“Sono affamato”, la chiamò dalla cucina. “E sono ferito.”

Stava per sciacquarsi la bocca, ma all’improvviso un altro giro di spazzolino le parve un’ottima idea.

“Granger,” la raggiunse di nuovo la sua voce. “Sto sanguinando a morte.”

Sospirò e tornò in cucina. Trovandosi a corto di parole, gli prese il polso e mise la sua mano sotto un getto d’acqua fredda, ignorando i suoi gemiti di dolore. Bambino.

Gli mise il cerotto sul pollice, lisciandolo perché aderisse bene. Era in piedi, molto vicino a lei, e non c’era davvero nessun motivo perché lei continuasse a tenergli la mano. Avrebbe dovuto lasciargliela e fare un passo indietro. L’avrebbe fatto, fra un minuto.

Lui fissò il cerotto. “Che cos’è questo coso?”

“Il modo in cui i Babbani curano le ferite”, rispose, allontanandosi, finalmente.

Con la mano illesa gli diede dei colpetti, dubbioso. “Primitivi.”.

Lei fissò il disastro che aveva combinato e considerò per un attimo la possibilità di farglielo pulire. Ma ciò avrebbe significato mostrargli come fare e ascoltare le sue lamentele. Nello stato in cui si trovava la sua mente, soprattutto. Così pronunciò un veloce Incantesimo Pulente.

Draco si guardò attorno, con tristezza. “Non riesco nemmeno a sentire la magia”. I suoi occhi si posarono su di lei.

Hermione abbassò lo sguardo e arrossì. La sera precedente s’era Materializzata direttamente in camera sua e s’era a mala pena svestita. Aveva indossato la cosa più vicina che aveva trovato, una corta t-shirt, e s’era addormentata immediatamente – o aveva perso i sensi, a voler essere più precisi.

Non s’era struccata la sera prima, e la larga maglietta che indossava offriva alla vista una buona porzione delle sue mutandine rosa. Draco non era il tipo da passare sopra a un’opportunità per umiliarla. Attese.

Ma il previsto Ghigno di Superiorità non arrivò. Anzi, quello che le toccò fu l’Occhiata Disapprovante. “Grande serata?” chiese.

Harry. Era stata così avvolta in quelle sensazioni nauseabonde che se ne era quasi dimenticata. Un grumo gelato nello stomaco. Come aveva potuto essere così stupida? Beh, l’avrebbe perdonata. Doveva. Aveva solo bisogno di un po’ di tempo. Non le importava più che Draco l’avesse vista mezza nuda.

“Come sta Potter?” Eccolo, il ghigno. Uno sguardo dall’alto in basso, con una leccata alle labbra, giusto per buona misura. “Sempre a impressionare le ragazze con il suo eroismo?”

“Qualcosa del genere”, replicò con voce bassa.

Sarebbe arrivata tardi al Ministero. Doveva far finta di tenere al progetto per amor di Remus. No, per amor di Remus doveva veramente tenere al progetto. Una nuova ondata di nausea la invase.

S’avviò verso la sua camera, sorpresa che Draco avesse deciso di seguirla.

“Non ho voglia di -”

“T’è arrivato un Gufo ieri sera”, disse, lanciandole un pacchetto.

Atterrò sul pavimento dietro di lei, il che significava che avrebbe dovuto girarsi e chinarsi per raccoglierlo. L’aveva fatto apposta? Probabilmente no; non s’era mostrato molto coordinato in quegli ultimi giorni.

Lui roteò gli occhi alla sua esitazione. “Oxford vuole la tua risposta entro tre giorni.”

“Tu l’hai letto?”

“Tu non puoi essere sorpresa.”

“No, suppongo di no.” Aprì il guardaroba. “Devo vestirmi, ora.”

“Perché non hai detto loro che accetti?”

“Perché non è quello che farò.”

“Assurdo. Certo che lo farai. La St. Brigid è stata fatta per persone come te.”

Se ne avesse avuto la forza, si sarebbe chiesta se quello fosse un insulto.

“Questo non è il momento per pensare a se stessi. Non che io m’aspetti che tu capisca una cosa del genere.”

“Questo è il momento perfetto per pensare a se stessi. Lasciati trascinare dal lupo mannaro nella sua missione distruttiva da brava persona, non riuscirai ad aiutare nessuno.”

“Il mondo magico -”

“Va’ a Oxford. Inventa nuovi incantesimi. Scopri come fermare il prossimo Voldemort. Ecco come puoi aiutare il mondo magico.”

“Remus ha bisogno di me.”

“Lupin è innamorato del suo senso di colpa. Non ci sono motivi perché questo inchiodi anche te.” Si passò una mano tra i capelli. “Scommetto che volevi andare ad Oxford ancor prima di sapere cosa fosse Hogwarts.”

Era una completa ingiustizia che Draco Malfoy, tra tutte le persone, fosse quella che riuscisse a vedere attraverso le sue pose e le sue facciate. Se avesse mai incontrato gli dei dell’Ironia, sarebbe stato il caso di avere con loro una chiacchierata faccia a faccia.

“Rispondimi a questo. Vuoi andare alla St. Brigid?”

No, fu quello che incominciò a dire. Ma poi lo guardò negli occhi e la sue labbra si rifiutarono di formare la sillaba.

“Sì”, rispose. “Tantissimo, ma -”

“Niente ma.” C’era uno strano scintillio nei suoi occhi. Uno che non ricadeva in nessuna delle espressioni di Draco che aveva catalogato. “Tu non capisci.”

“Te? Io ti capisco perfettamente.”

Fece un mezzo passo avanti. Non era sicura di quello che doveva aspettarsi, se un bacio o uno schiaffo.

Poi lui si fermò.

“E capisco anche che sono affamato. Ieri sera eri così impegnata a fare la brava ragazza con Potter – non hai pensato che sarei rimasto senza cena? Ho una fame da lupi.”. Si strattonò la maglietta. “Pelle e ossa, ecco quello che sono.”.

“Oh per l’amor – Devi imparare a farti da mangiare da solo, Draco.”.

Lui la guardò genuinamente sorpreso. “Perché? Io ho te.”.

Se avesse avuto una porta, l’avrebbe sbattuta.

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Stava iniziando a farsi un’idea di come sarebbe stata la sua vita al Ministero. Incontri per tutta la mattinata – dove Remus vigilava affinché la sua opinione fosse sentita da tutti gli altri. I casi pratici nel pomeriggio. In quel momento stava per incontrare i VIP – ambasciatori magici, principesse straniere.

Intorno a mezzogiorno, Ginny le fece una chiamata via Camino per pretendere di sapere cosa avesse fatto a Harry – se ne era andato dal Paiolo Magico.

Hermione avvertì una stretta al cuore, solo la notizia che al Paiolo Magico lo aspettavano di ritorno entro una settimana le diede un minimo di tranquillità. Si sentì ancora meglio quando scoprì che la sua nuova posizione le permetteva di dire alla strega segretaria che non avrebbe più accettato chiamate da parte di Ginny Weasley.

Tuttavia, quando la segretaria le mandò un gufo chiedendole se poteva far passare Ron Weasley, decise che, stringendo i denti, sarebbe valsa la pena affrontarlo senza procrastinare ulteriormente. Le chiese balbettando se poteva uscire a cenare con lui, e lei per un momento pensò di rifiutare, ma quando si rese conto che ciò avrebbe significato lasciare Draco ad arrangiarsi da solo, accettò. Draco aveva bisogno che gli fosse impartita una lezione; c’era solo una minima possibilità che soffrisse veramente la fame.

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La cena stava andando bene. Avevano parlato di Harry, naturalmente. Non gli disse quello che Harry le aveva confidato, e lui non fece pressione sull’argomento, ma era bello avvertire la sua incrollabile fede nel ritorno del vecchio Harry tra loro. Era convinto che avesse solo bisogno di tempo.

Le disse del suo apprendistato alla Gazzetta del Profeta – per il momento doveva solo portare tè e caffé ai giornalisti, ma era sicuro che, con il tempo, sarebbe arrivato ad avere il suo spazio nella sezione Quidditch.

Era stato educatamente curioso a riguardo del Ministero, e si era dichiarato d’accordo che questa fosse una cosa di gran lunga più importante che non la St. Brigid – l’ultima cosa di cui Hermione aveva bisogno era ancora della scuola.

Erano riusciti ad evitare completamente l’argomento Lavanda, e quando lui le chiese di fare una passeggiata nell’angolino magico di Hyde Park, tutto sembrava quasi tornato alla normalità tra loro.

La luna era piena e le luci della città non erano visibili dal sentiero. Hermione iniziò a rilassarsi per la prima volta dall’inizio della giornata. Harry sarebbe stato bene, e lei stava facendo la scelta più onorabile nell’optare per il Ministero invece che per l’università, e Draco era uno stupido. Era così sicura dell’ultima affermazione che lasciò che Ron le mettesse un braccio intorno alle spalle, mentre procedevano nella camminata. Erano amici da tantissimo tempo, non poteva esserci nessun malinteso, e sembrava tutto giusto.

Sembrava meraviglioso, a essere del tutto sinceri. Il suo braccio era caldo e solido, sia fisicamente che letteralmente parlando. Quando lui abbassò lo sguardo per guardarla, lei sorrise.

E all’improvviso non stavano più camminando, e lui la stava portando più vicino a sé, e le stava baciando i capelli, e la fronte, e lei si rese conto che stava giocando con il fuoco. Non poteva nemmeno far finta di non esserne consapevole.

“Hermione”, ripeteva Ron, “Hermione.”. Le sue labbra erano bollenti sul suo orecchio e sul suo collo. Le sue mani irrequiete sulla sua schiena.

Avrebbe potuto lasciare che tutto continuasse così. Sarebbe stato così semplice. Sarebbe stato qualcosa che stavano costruendo da anni.

“E Lavanda?” chiese.

Lo sentì irrigidirsi. “Sei sempre stata tu, Hermione. Sono stato così stupido.”

Le baciò il collo, le guance, le labbra. Lei glielo permise, per un momento.

“Quindi questa non è solo una cosa tanto per?”

“No, no. Ho sempre saputo che saremmo stati insieme, un giorno.”. L’avvicinò ancor di più. “Non so che cosa stessi aspettando.”

“Ma ora sei pronto?”

“Sì”, mormorò sulle sue labbra.

“Ron.” Lei ritrasse la testa. “Io non ti stavo aspettando.”

Lui si chinò in avanti per ricatturare le sue labbra. Lei si divincolò gentilmente dal suo abbraccio.

“Era il mio compito rimanermene qui, aspettando che tu finalmente fossi pronto?”

Lui sembrò vacillare, colpito dalla sua reazione.

“Beh… sì,” balbettò. “Voglio dire, no. Non è che -”

“Se mi volevi, avresti dovuto dire qualcosa tanto tempo fa.”

“No. Tu non capisci.”. La sua faccia era confusa. “Io ti amo, Hermione. Romperò con Lavanda. Sarà tutto perfetto.”

“Ron, mi dispiace.” E lo era veramente, all’improvviso. Si rese conto che lui aveva contato su di lei. Ma lui non me l’ha mai fatto sapere. “Fa’ quello che vuoi con Lavanda. Ma io non sono un’opzione.”

“Hermione.”

“Quando è iniziato tutto questo? Al quarto anno? Al quinto? Non possiamo dimenticarlo? Non possiamo essere amici come lo eravamo una volta?”

Voleva disperatamente che almeno una cosa fosse stabile. Avere una cosa a cui aggrapparsi – qualcosa che fosse rimasta immutata nel corso della guerra.

“Per piacere, Ron”, disse, calma. “Mi manchi. Non possiamo tornare indietro?”

Lui la guardò confuso, ferito. Non mi ha mai visto prima. Non veramente. In tutto questo tempo.

“No, Hermione”, disse infine. “Non credo sia possibile.”

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“Harry è a Hogsmeade”, le disse Remus dalla porta.

Entrò nel suo ufficio. “Credo sia andato a vedere le rovine di Hogwarts. Dove è successo tutto.”

“Cosa?” chiese, “Come lo sai?”

Sorrise. “Il Ministero ha l’accesso ad avanzati localizzatori di magia. Ginny Weasley mi ha chiesto di trovarlo. Ha detto che era tutta settimana che non rispondevi alle sue chiamate.”

“Oh”, sospirò. “No.”

“Ha insistito parecchio perché tu parlassi con lui.”

Vuole che lo butti completamente giù dal precipizio? “Le hai detto dov’è?”

“No. Ma se vuoi posso magari chiedere di avere un rapporto sui progressi della ricostruzione di Hogwarts? Potrebbe richiedere una visita sul posto.”

“Harry ha bisogno di un po’ di tempo da solo.”

“Va bene,” rispose, “anche se non mi piace l’idea di Harry a gironzolare là attorno e a riportare in superficie brutti ricordi. O bei ricordi, per quel che importa. Sicura di non voler andare? Potresti fargli del bene.”

Non ha bisogno di me. Se è a Hogwarts, è andato a vedere Silente.

Pensò un momento se dare quella risposta a Remus, poi disse solamente: “No.”

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Così, invece di vedere Harry a Hogwarts, quelli che passarono davanti ai suoi occhi furono orfani di guerra e un nuovo orfanotrofio a cui Kingsley si stava dedicando.

C’erano così tanti bambini, biondi e mori, alti e bassi. Vedeva gli occhi tormentati di Harry in ognuno di quei volti.

Kingsley rimase una ventina di minuti – giusto il tempo per fare delle foto – e Remus forse un’ora, lei dovette andarsene con lui per un incontro con l’ambasciatore turco che non si poteva assolutamente saltare. Rimase seduta tutto il pomeriggio mentre loro negoziavano – qualcosa, e non ascoltò nemmeno una parola.

Era ancora chiaro quando uscì per dirigersi a Oxford.

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“Dr. Jackson, mi dispiace, non posso accettare la vostra generosa offerta.”

Era sulle sue labbra, s’era esercitata a dirlo, tre volte l’aveva ripetuto, e ora riusciva a pronunciare tutta la frase senza incepparsi. Ma quando sollevò una mano, pronta per bussare alla porta dell’ufficio del Dr. Jackson, scoprì all’improvviso di non riuscire più a respirare.

Il suo stupido corpo aveva persino iniziato a tremare ed era sicura di essere impallidita. Doveva andarsene prima che a qualche docente preoccupato fosse venuta l’idea di rendersi utile e servizievole.

Corse fuori nei giardini e si lasciò cadere su una panca. Respiri profondi, lì all’aperto. Inspirare, espirare. Si sentiva la testa leggera ed incapace di focalizzare i suoi pensieri su qualunque cosa; dannazione era passata attraverso una guerra e aveva sempre mantenuto il controllo dei nervi. Era fuori discussione perdere la testa lì, ad Oxford.

Ecco, così era meglio. Era riuscita a far entrare dell’ossigeno nei polmoni e quando guardò di nuovo la propria mano, il tremito era appena visibile. Se fosse rimasta lì seduta per solo un altro minuto, sarebbe riuscita a muoversi di nuovo. Avrebbe voluto vedere il proprio riflesso nello specchietto che si portava in borsa, ma non osava. Non avrebbe dovuto essere uno specchio magico, ma temeva che lo specchio nel suo appartamento fosse riuscito a corrompere anche quell’apparentemente innocuo pezzo di vetro.

La St. Brigid era così bella. L’erba era di un verde così brillante, e persino i parchi della Oxford non magica stavano iniziando a dorarsi nella brezza autunnale. Le antiche mura – che Una Breve Storia della St. Brigid l’aveva informata essere magicamente calcificate – si stavano tingendo di riflessi aranciati con le ultime luci del sole. I corsi non erano ancora iniziati, e c’erano solo poche persone in giro. Era più facile riprendere il controllo, così. Era così semplice chiudere gli occhi e immaginare se stessa camminare per quei sentieri.

Sentì una stretta al cuore, e il respiro accelerare. Aprì gli occhi, odiandosi e sentendosi ridicola allo stesso tempo. Nulla di tutto quello poteva essere troppo per lei. Hermione Granger aveva affrontato un Basilisco da bambina e combattuto una guerra da adolescente. Era una persona pratica. Una persona a cui rivolgersi se si aveva bisogno di qualcosa. Una persona su cui poter fare affidamento.

Non poteva perdere il controllo in quel momento. E perché avrebbe dovuto? Solo perché Remus – e per estensione il suo mondo – aveva bisogno di lei al Ministero? E Ron aveva bisogno che lei fosse qualcosa che non era mai stata? E Harry – beh, avrebbe voluto sapere quello di cui aveva bisogno Harry.

E Draco. Draco aveva bisogno di lei per tutto, a quanto sembrava.

Era perfettamente in grado di fare tutto da sola. Lo era sempre stata. Se tutti volevano qualcosa da lei – bene, non era niente di nuovo. Se il suo cuore stava battendo forte, e dentro di lei sentiva una terribile sensazione di vuoto – non era nulla di cui doveva preoccuparsi. Se ne sarebbe andata via con il tempo.

Si Materializzò a qualche isolato di distanza dal suo appartamento, in modo da avere il tempo per pensare durante la camminata verso casa. Quella sensazione di vuoto era ancora viva dentro di lei.

Non era stata capace di dare al Dr. Jackson la sua risposta, ma ora era in grado di controllarsi, e gli avrebbe spedito un Gufo una volta arrivata a casa.

Non sapeva cosa fare per Ron o Harry, al momento – non sapeva nemmeno se avrebbe dovuto far qualcosa. Forse tutti loro erano cambiati troppo. Forse il tempo del trio era finito.

Ma Draco, sapeva cosa doveva fare con lui. Doveva andarsene, non c’erano altre alternative. Al pensiero avvertì un sorprendente contorcimento allo stomaco. S’era abituata ad averlo attorno. In un certo senso, s’era pure divertita. Ma non poteva fare lei tutto al posto suo. Doveva imparare a stare in piedi da solo – c’erano troppe altre persone di cui doveva occuparsi. Compresa se stessa, supponeva.

Persino in quel momento, lui stava probabilmente mettendo a soqquadro la sua cucina, senza ovviamente ottenere nessun risultato in compenso. O forse se ne stava semplicemente seduto nel mezzo del salotto, con le braccia incrociate, ad aspettare che tornasse lei a nutrirlo.

Aveva raggiunto il suo edificio. Su per le scale e la sua porta, e poi avrebbe dovuto dirglielo. Quella sensazione di vuoto s’era espansa durante il tragitto fino a raggiungere i polpastrelli delle dita, ma non c’era nient’altro da fare.

Alohomora”, mormorò, poi entrò.

La sua cucina era nello stesso stato in cui l’aveva lasciata quella mattina, il che significava che Draco non aveva nemmeno tentato di farsi da mangiare, e che avrebbe iniziato a lagnarsi per la fame da un momento all’altro.

Avvertì i suoi muscoli tendersi, aspettando il suo sbotto, ma lui era comodamente seduto sulla poltrona, il quotidiano tra le mani, e a mala pena sollevò lo sguardo.

“Draco”, disse, e in un certo qual modo era l’ultima cosa che avrebbe voluto dire al mondo.

Il suo sguardo si fece più profondo. E fu sicuramente preoccupazione quella che lei vide passargli in volto, prima che lui indossasse la solita espressione attentamente neutrale.

“Ah, giusto,” incominciò. “Hai rifiutato Oxford, allora?”

“No”, disse. Il volto del ragazzo si dispiegò in un sorriso genuino e lei non ebbe il cuore di aggiungere, non ancora.

“Questa è una gran cosa, Hermione!” si alzò e si avvicinò, ma lei fece un passo indietro.

“Draco. Devo dirti una cosa.” Devi andartene. Presto. Stasera, forse.

Poteva dirglielo. Aveva già esaurito la sua razione di codardia giornaliera. Fece un respiro profondo.

Beh, forse avrebbe potuto dirglielo dopo cena. Dopotutto doveva mangiare, e non sarebbe mai riuscito ad arrangiarsi da solo.

Era esausta. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare era cucinare, ma l’ultimissima cosa che voleva fare era dirgli che doveva andarsene, quindi mettere mano alle pentole poteva essere un giusto compromesso.

E perché non poteva arrangiarsi da solo? Era così stupido. Sì, non aveva mai dovuto alzare un dito per fare le cose da solo, ma il mondo cambia, e anche lui era stato in guerra. Miliardi di Babbani nel mondo, e la maggior parte di loro ce la faceva benissimo. Perché diventava un imbecille quando si trattava di cibo, di pulizie domestiche, di lavoro o di soldi e di tutte quelle miriadi di piccolezze che i Babbani dovevano affrontare ogni giorno? Perché non poteva nemmeno fare un tentativo? Perché la stava costringendo a buttarlo fuori – e perché la cosa, in maniera ridicola, impossibile e assurda, la faceva sentire ancora più svuotata?

Tutti pretendevano così tanto da lei. E lei voleva così tanto che lui fosse diverso dagli altri. Non aveva capito quanto lo voleva fino a quel momento.

“Anch’io ho avuto una gran giornata.”. Interruppe lui i suoi pensieri.

“Davvero?” a mala pena si reggeva in piedi, si sentiva così inconsistentemente apatica.

“Sì” rispose. “Ho imparato a usare il telefono.”

Beh, era più di quello che riusciva a qualche mago, considerò lei.

“E’ meglio che vada a preparare la cena”. Odiava doversi dirigere in cucina. Le sembrava troppo una sorta di ultima cena.

Qualcuno suonò il campanello alla porta. Hermione sobbalzò. Nessuno veniva mai a farle visita.

“E”, continuò Draco, “ho imparato come si fa a ordinare una pizza.”

Aveva già visto l’espressione del Draco Orgoglioso, naturalmente, ma quella era la prima volta in cui la vedeva senza alcuna traccia di malizia.

Draco aprì la porta e pagò il ragazzo che aveva effettuato la consegna. Pagò! Con l’esatto importo di soldi Babbani, come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Poi prese la pizza e chiuse la porta.

Si voltò di nuovo verso Hermione, brandendo le scatole. Lei si sentì gelare. Il sorriso del ragazzo svanì nel guardare il suo volto.

“Sapevo che avresti avuto una giornata dura”, la sua espressione era confusa. “Così ho pensato che avrei potuto fare qualcosa per te. Hermione?”

Era come se tutto il suo sangue avesse incominciato improvvisamente a scorrerle vorticosamente per le vene. Tutto il suo corpo tremava.

“Hermione?” Era allarmato, ora.

Lei non riusciva a parlare. Lasciò cadere le scatole sul pavimento e la raggiunse con due falcate. La prese tra le sue braccia. Lei scoppiò a piangere.

“Hermione, tesoro”. Era impossibile non riconoscere il panico nella sua voce. “Hermione, amore, cosa c’è? È tutto a posto. È solo della pizza”, disse con una certa disperazione.

Un gran singulto, mezzo colpo di tosse, mezza risata, fece sì che Draco le stringesse con più forza le spalle. Non riusciva a smettere di singhiozzare. Draco l’avvicinò più a sé, e continuò a ripeterle “Tesoro”, ancora e ancora, con voce urgente. E poi la ricoprì di bollenti baci, dappertutto. Aveva le labbra bagnate dalle lacrime della ragazza.

Il suo autocontrollo era stato solo un’illusione, evidentemente, visto come in quel momento se n’era completamente andato. Tutto quello che non s’era permessa di sentire per mesi stava ora fuoriuscendo con quelle lacrime. Era incapace di fermarsi.

Dopo qualche momento smise di tentare di controllare i singhiozzi tremolanti. Sarebbe stato inutile, in ogni caso. Non riusciva a formulare le parole, non riusciva a dire a Draco cosa ci fosse che non andava e, ancor più importante, cosa non ci fosse.

Ma poteva muovere le sue labbra, così che incontrassero quelle in continuo movimento di lui. E poteva baciarlo profondamente, anche se le lacrime non accennavano a fermarsi.

Draco ricambiò il bacio con passione, avvicinandola ancor più e facendo vagare le sue mani su tutto il suo corpo. E ancora lei non riusciva a parlare e dirgli che era tutto a posto, che stava solo avendo una sorta di crisi emozionale a scoppio ritardato, ma che stava bene. Così mise tutta la rassicurazione che aveva nel suo bacio. Lui sembrò comprenderlo.

Quella sensazione di vuoto se n’era finalmente andata. Rimpiazzata da – non pienezza, ma una sorta di completezza. Si sentiva viva così come mai lo era stata fin da prima della guerra ed era sbalordita dalla rivelazione. Avrebbe dovuto dirlo a Draco, una volta che avesse recuperato la capacità di parola.

Più tardi. Gliel’avrebbe detto più tardi. Le tracciò la linea del collo con la lingua. Ora aveva cose più importanti da fare.

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“Weasley ha fatto cosa?”

Draco iniziò a dimenarsi sopra la tovaglia da picnic. “Lo ucciderò.”

“Rilassati”. Hermione lo spinse, gentilmente, di nuovo a terra. “Sto solo cercando di spiegarti perché Ron e Lavanda non sono più fidanzati.”

“Ma lei lo sta frequentando ancora?”. Allungò un braccio per raggiungere il cestello con il cibo, evidentemente decidendo che prendere una coscia di pollo era meglio che arrabbiarsi.

Lei annuì. Lui scosse la testa, meravigliato. “Frequentare Weasley. Quella donna è una santa. O un’idiota. Forse entrambe le cose.”

Non gliel’avrebbe mai detto, ma almeno tra sé non poteva fare a meno che concordare. Ripensò alla cena che aveva avuto la sera prima con Ron, Lavanda e Harry al nuovo cottage di quest'ultimo a Hogsmeade.

Ron, inizialmente, era stato parecchio teso, ma poi era riuscito sia a parlare che, persino, a fare delle battute scherzose. Lavanda le aveva chiesto dei suoi programmi e aveva fatto diversi commenti comprensivi, a cui Ron aveva, apparentemente, veramente prestato attenzione. Hermione aveva capito che, finalmente, il ragazzo s’era arreso all’impossibilità di avere un futuro con lei. Sarebbe stato un bene per tutti.

Harry s’era mostrato orgoglioso della sua piccola casa e aveva parlato entusiasta delle riparazioni che aveva intenzione di fare. Hermione l’aveva guardato attentamente per tutta la serata, fin quando Harry stesso non s’era irritato per la sua vigilanza, e mai aveva visto tremare le sue mani. Erano stati su fino a tardi, a parlare e ridere, e nel mezzo della serata un pensiero aveva attraversato la mente di Hermione: la guerra era finita, quella era la vita.

Avrebbe voluto portare anche Draco alla cena da Harry, ma lui aveva roteato gli occhi e le aveva annunciato che doveva rinunciare, grazie a Merlino, perché era al lavoro. S’era divertito a vedere la sua espressione a bocca spalancata per lo shock, Hermione ne era certa, ma poi lei gli aveva levato quell’espressione compiaciuta dal volto a furia di baci. Le aveva poi detto che aveva trovato lavoro in una galleria d’arte a Soho, il direttore s’era detto sicuro che la sua aria aristocratica e il suo bell’aspetto sarebbero stati una risorsa inestimabile nella vendita di dipinti sovrastimati a Babbani con troppi soldi.

Hermione s’inclinò all’indietro, appoggiando le mani sull’erba. Chiuse gli occhi e assaporò il sole sul viso, e respirò l’odore dell’erba appena tagliata. Aprì gli occhi e vide altri studenti avvantaggiarsi della giornata insolitamente calda – il prato era pieno di gente. C’era chi stava leggendo e chi stava facendo un picnic – alcuni stavano persino divertendosi a rilasciare e riprendere un Boccino. Nessuno di loro aveva lo stile di Harry. Vide il Dr. Jackson attraversare i giardini e ricambiò felice il suo saluto, prima di prendere in mano il pesante libro che aveva di fianco a sé.

Draco si chinò per catturare un bacio. Lei lo spinse via, indicando il libro ora aperto nel suo grembo. Moderne Derivazioni dell’Artimanzia Avanzata. “Lo sai che ho dato il mio assenso a questo solo se tu mi avessi lasciato studiare.”

“I tuoi corsi non inizieranno prima del pomeriggio. Che cosa c’è da studiare?”

Lei gli lanciò un’occhiataccia. Lui rise. “Va bene, va bene. Mi arrendo.”.

Si stese nuovamente sull’erba e studiò il cielo. “Mi chiedo come se la stia passando il lupo mannaro senza di te. Il Ministero non sembra essersi disintegrato.”.

“Va bene, okay, sì Draco”, disse lei senza sollevare lo sguardo dal libro. “Sei il mago più brillantemente intelligente dell’intera storia del mondo magico, e io non metterò mai più in dubbio il tuo consiglio. Contento?”

Il modo in cui lui disse “Sì” le fece alzare gli occhi dal testo. Gli sorrise con tenerezza. “Naturalmente, Remus ha ancora bisogno di un assistente. Suppongo che tu potresti sempre -”

Lui le afferrò un polso, e lei si trovò stesa sopra di lui. Draco prese immediatamente vantaggio della sua posizione per baciarla intensamente.

“Draco”, sospirò lei, quando dovette ritrarsi per recuperare il fiato. “Sono alla mia università. Mi piacerebbe mantenere un certo decoro.”.

“Fai un incantesimo Occultante,” le sussurrò in un orecchio.

Lei rise. “La St. Brigid ha avuto migliaia di studenti. Hanno dei sensori contro queste cose.”

“Bene, allora”, sorrise e la baciò ancora, “credo che dovrai sopportare l’imbarazzo.”.


oO*Oo


FINE




Richieste:
Post-sconfitta di Voldemort. Tutti stanno cercando di rimettere in sesto le proprie vite. Hermione lavora al Ministero e Draco ha bisogno del suo aiuto.

Rating: libero

Deal Breakers: stupri/miseria/torture/Hermione nel ruolo di vittima

A/N: St. Brigid è la patrona degli studenti. Probabilmente il suo mito trae origine da una dea celtica del fuoco, le cui abilità includevano la musica, l’artigianato, la poesia, e che gli Irlandesi consideravano la fiamma della conoscenza, prima che i Cristiani adottassero il mito a proprio uso. In un’altra leggenda, St. Brigid è una principessa irlandese convertita al cristianesimo nel 468 dC.


oO*Oo

Grazie a cristina, Francesca, Sara86, Clo87 (come va, carissima? Tutto bene, spero ;) ), Emily Doe, _*Lyra*_ per le recensioni che mi avete lasciato :D, e grazie, naturalmente, anche a tutti quelli che hanno letto questa traduzione.

Fatemi sapere che ne pensate, oltre che se vi andrebbe di veder tradotte altre fanfiction di argosy. :p

Se avete delle domande, chiedete pure. Vi risponderò contattandovi personalmente (se lasciate delle recensioni da loggati), o sul "mio" topic nel forum (sezione Presentazione Autori).

Alla prossima ;)

Kit_05



EDIT: 4 giugno 2009, versione corretta di Breathe online, si ringrazia la moglia ^^
  
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