DETTAGLI…DI STILE

 

Si è molto parlato, in questi ultimi giorni, di recensioni critiche ma costruttive, in particolare di quanto sia opportuno far notare agli autori eventuali pecche presenti all’interno delle loro opere, in modo da aiutarli a correggere e a migliorare il loro stile di scrittura.

 

Personalmente, debbo ammettere che mi manca il coraggio di farlo: le fanfic veramente brutte neanche le recensisco e in quanto a quelle che con qualche miglioria potrebbero diventare passabili, beh…La paura è sempre quella di essere giudicata professorale e cattedratica, antipatica insomma. O magari di ferire la sensibilità di qualcuno che nel suo lavoro ci ha messo veramente l’anima. Sarà mancanza di coraggio, ma sono fatta così. Allora, perché non dare qualche consiglio rimanendo “sul generico”, senza rivolgersi cioè a quel particolare writer ma un po’ a tutti coloro che hanno preso o prenderanno in mano la tastiera per scrivere qualcosa di originale o di ispirato a un eroe, a un film, a una storia che li hanno particolarmente coinvolti? E perché non invitare gli altri fic writers a fare altrettanto? Penso che sia questo il modo migliore per rendersi utili senza urtare la suscettibilità di nessuno.

 

In ogni modo, veniamo al dunque. Io scrivo soprattutto racconti e fanfic di ambientazione storica. Perché il passato (specie i periodi bui e turbolenti) mi ha sempre affascinata e sono, perdonate l’immodestia, una buona conoscitrice della materia. Non scriverei MAI  una fanfic su un Manga o su Harry Potter per un motivo molto semplice: non li conosco. Così come non scriverei MAI un racconto di fantascienza, non possedendo le cognizioni tecniche indispensabili a costruire una buona storia: Asimov non avrebbe potuto creare i suoi irresistibili robot senza i suoi studi di ingegneria; e un Crichton completamente digiuno di genetica e DNA, come avrebbe gestito gli inquietanti dinosauri  clonati di “Jurassic Park”?

 

Ma torniamo alle fic storiche. Ne ho lette parecchie, non solo qui, e non solo in italiano. Alcune molto buone. Altre meno. Altre pessime. Sono tali quando la trama è poco coinvolgente, stiracchiata, la forma noiosa, scorretta, magari infiorettata di sfondoni e ripetitiva, i personaggi melensi o monolitici, o insopportabilmente “Mary Sue” ma non è questo su cui voglio sindacare, anche perché QUALSIASI storia, di QUALSIASI genere che avesse queste caratteristiche avrebbe solo un posto che le compete: il cestino della spazzatura.

 

Vorrei parlare di dettagli linguistici. Sono importanti e, nel caso di una vicenda ambientata nel passato, determinanti altrettanto della ricostruzione storica, oserei dire. Eppure, spesso si individuano stonature tanto clamorose da far accapponare la pelle. Tempo fa, mi è capitato di leggere (non qui!) in un racconto “serio” e non intenzionalmente farsesco,  ambientato nella metà del 1400, a proposito di una bella dama infatuata del protagonista, che costei, onde far innamorare di sé il riottoso (fidanzato oltretutto con un’altra), non esitò a ricorrere a un “forcing pressante” ! Giuro, non sapevo se ridere o piangere…Anche perché sapevo per certo che l’autore non era un ragazzino.

 

Chi narra vicende ambientate in altre epoche DEVE evitare come la peste neologismi, termini gergali, parole mediate da altre lingue o (a meno che l’ambientazione del racconto non lo richieda) di evidente derivazione dialettale. Attenzione anche all’uso spregiudicato delle metafore. Facciamo un esempio: se Massimo Decimo Meridio nell’arena dell’Anfiteatro Flavio o Ser Lancillotto durante un torneo non riescono ad aver ragione di un avversario particolarmente forte, è tassativamente vietato giustificarli dicendo che i poveretti “avevano le polveri bagnate”. Perché le polveri sono quelle da sparo, ancora di là da venire nell’età aurea dell’Impero e nell’Alto Medioevo. Se poi siamo tentati di farli arrossire come tacchini o peperoni per la rabbia …non dimentichiamo che tanto il pennuto che l’ortaggio sono giunti a noi dall’America e cerchiamo una metafora più adeguata alle circostanze. E’ superfluo dire che invece a un altro eroe che piace molto agli autori di fanfic, Jack Sparrow, è consentito, per ragioni d’epoca, avere le polveri bagnate o arrossire come un peperone sulla tolda del suo veliero. Ma di nessuno dei tre si dirà che “perdeva colpi” o “era fuso”, metafore di evidente derivazione…automobilistica.

 

Oltre ai neologismi, esistono anche gli arcaismi: il loro esatto contrario. Usarne qualcuno aggiunge fascino alla narrazione, aggiungerne troppi la appesantisce inutilmente e potrebbe costringere il lettore ad armarsi di vocabolario per decifrare quel che abbiamo scritto. E stiamo pur certi che, dopo qualche riga, gli passerà la voglia di continuare.

 

Io credo che il segreto per scrivere bene un racconto la cui trama si dipana in secoli lontani sia cercare di calarsi nell’ambiente e nella mentalità dell’epoca. Qui sta il divertimento! Ecco spiegato come mai molte persone amino scriverli: insomma, è un po’ come un viaggio con la macchina del tempo, qualcosa di estremamente affascinante. In ogni caso, dopo aver letto quello che sto per dire, non tacciatemi di pignoleria!

 

La datazione: se la storia è ambientata prima del Medioevo o nell’Oriente islamico, un narratore esterno può usare la nostra datazione. Ma sarebbe fuori luogo che la usasse, parlando in prima persona, qualcuno dei personaggi. Quindi passi “Massimo Decimo Meridio nacque  nel 147 dopo Cristo”. Ma se è il Gladiatore a parlare, allora dirà “ Nacqui nell’anno Novecentesimo dalla fondazione di Roma”. Per inciso, Roma fu fondata nel 753 a.C. e Maometto fuggì dalla Mecca nel 622 d.C. Idem dicasi per i giorni del mese che i Romani calcolavano in base a date cardine denominate Calende, None e Idi. D’accordo, a molti, me compresa, la matematica fa venire l’orticaria, ma il figurone val bene il sacrificio di doversi lambiccare il cervello con qualche calcolo. E poi esistono le apposite macchinette.

 

Pesi e misure: lo stesso discorso si può fare a proposito di pesi e misure. Ricordiamoci che il sistema metrico decimale risale alla fine del 1700, pertanto parlare di chilometri, etti o litri in epoca precedente suona un po’ stonato. Quindi sostituiamo chilometro con miglio, metro con piede o cubito, chilo con oncia e litro con gallone: per documentarci sulle corrispondenze è sufficiente una piccola enciclopedia e per non romperci la testa con i calcoli possiamo chiamare in nostro soccorso la solita macchinetta. Idem dicasi per le monete. La documentazione in proposito è in questo caso un po’ più complicata, specie nel periodo che va dal Medioevo al 1600, in cui regnava il caos perché, perfino all’interno dello stesso stato, avendo i feudatari e le città libere il diritto di conio, circolava di tutto. Le monete romane erano invece l’asse (che valeva proprio poco), il denario, il sesterzio e l’aureo. Superfluo dire che le banconote sono un’ invenzione piuttosto recente.

 

Tu, Voi, Lei. Nell’antichità classica, ci si rivolgeva  a chiunque dandogli del tu. Lo schiavo che strigliava i suoi cavalli dava del tu ad Achille; e il perfido imperatore Commodo non se la prese certo con il Gladiatore perché lo screanzato aveva osato dargli del tu davanti a tutti nell’arena del Colosseo! Il rispetto e la deferenza si misuravano secondo un altro metro. Dal Medioevo entrò in vigore l’uso del Voi nei rapporti con le persone di riguardo. Il Lei è sconsigliabile prima della seconda metà dell’Ottocento. Diventa invece opportuno ai giorni nostri, anche se la vicenda fosse ambientata in Francia (dove si usa il Voi) o nei paesi anglosassoni (dove si dà dello “you” a tutti, Elisabetta e Bush compresi). Se si scrive in italiano, beninteso.

 

Differenze socioculturali. Non esistendo livellatori sociali come tv e scuola dell’obbligo, erano molto più accentuate di adesso. Quindi evitiamo di mettere le stesse parole in bocca a un contadino analfabeta, un gentiluomo e un dotto religioso (in genere, erano proprio gli ecclesiastici le persone più colte). E non imitiamo per carità una famosa psicologa, consorte di un famosissimo ed eminente sociologo, che si è divertita a scrivere un ponderoso romanzo di circa 600 pagine (vendutissimo, tra l’altro) ambientato nel 1700 limitandosi ad un’infarinatura di documentazione storica e trascurando di informarsi sugli aspetti del vivere quotidiano. Basti pensare che la protagonista si rivolge al padre chiamandolo “papi”. Quando tutti sanno che fino all’epoca dei nostri nonni i ragazzi davano del Voi ai genitori e spesso l’uso del Voi era invalso perfino fra coniugi. E qualcuno si fosse sognato di stroncarla, di dirle “torna alla psicologia, che è meglio, e lascia la narrativa a chi sa scrivere”…

 

Basta, ho detto tutto. Spero di essermi resa utile e di non aver tediato nessuno. Ah, un’ultima cosa, di cui mi stavo dimenticando. Su EFP ho letto pochi racconti ambientati nel passato. In compenso, molti ve ne sono ispirati a vicende e personaggi de “Il Signore degli Anelli”. La Terra di Mezzo è un parto della feconda fantasia creativa di Tolkien, ma somiglia molto all’Alto Medioevo della storia e delle leggende. Quindi i miei consigli potrebbero tornare utili anche a chi scrive di Aragorn, Legolass, Frodo e compagnia. Dell’Anello.