«Noregur...»
Il
ragazzo alza il viso verso il fratello che l'ha chiamato, non
mostrando alcuna emozione particolare. Si guardano brevemente negli
occhi, prima che Islanda interrompa quel contatto e gli faccia un
cenno, appoggiando le spalle al muro e incrociando le braccia,
strette, come a tenersi insieme da solo.
«Digli
addio anche tu. È al limite.»
Non
vorrebbe darlo a vedere, ma sussulta a quelle parole.
Addio.
Dire
addio.
Non
vuole dire addio. Non può farlo. Non è... pronto.
«Nore,
ti prego, fallo.»
Volta
leggermente il viso, ma Islanda lo coglie con la coda dell'occhio e
fa la stessa cosa per prevenire di essere visto, impedendogli di
guardare le lacrime che scendono, lente, sulla pelle chiara.
Islanda
sta piangendo. È troppo.
Anche
se in quella camera da letto, oltre la porta bianca accostata, c'è
tutto quello che non riesce ad affrontare, a quel punto si decide a
muoversi, perché quelle lacrime sono una vista insopportabile.
Sono l'espressione di ciò che prova lui stesso, ma che fatica
a mostrare. Se cedesse ad esse, come potrebbe fermarsi? Sono il
dolore straziante al cuore, i ganci dilanianti allo stomaco, il peso
opprimente che gli rallenta i respiri fino a fargli mancare l'aria.
Islanda
sta soffrendo oltre ogni dire, ma il fratello condivide una parte
del proprio personale dolore. Lui...
Senza
una parola, senza un singolo suono, Norvegia si dirige con passi
malfermi alla porta e la sospinge.
Danimarca
è sdraiato completamente, le morbide coperte ben tirate su a
ripararlo dal freddo. Non ce n'è, la casa è ottimamente
riscaldata, ma ciò non significa che lui non lo senta fin
dentro le ossa.
E
il gelo di Norvegia? Non esiste nulla al mondo che possa ridurre
quegli spifferi terrificanti che gli scorrono dentro, corrompendo
fino all'ultima goccia di sangue.
L'unica
cosa che potrebbe farlo sparire, quel gelo fastidioso, è un
miracolo.
Un
miracolo che non avverrà, perché Danimarca è
al limite.
Un
miracolo che non esiste.
Nel
suo aspetto, non c'è molto che possa far supporre la gravità
della situazione. È bello come sempre, tolte le profonde ombre
scure sotto gli occhi ed i colori sbiaditi. Sembra semplicemente
malato, steso a quel modo ed immobile, con le palpebre leggermente
abbassate su occhi privi della solita scintilla vivace, calmo e
silenzioso con le mani abbandonate vicino ai fianchi.
Norvegia
prova l'irrazionale impulso di afferrarle e salire sul letto,
chinarsi e gridare con quanta voce ancora gli rimane in corpo di
combattere, di guarire, di non azzardarsi a lasciarlo.
Non
può farlo, Danimarca. Ci sono ancora tante cose che non sa e
che devono fare, insieme. Cose da dire, cose da recuperare, cose
da...
«No...
Nor», sussurra, dopo una prima pausa per deglutire, sentendolo
giungere accanto a sé e sforzandosi di aprire meglio gli
occhi.
Norvegia
non risponde al suo richiamo, allunga soltanto un dito e glielo posa
sul dorso della mano più vicina, scivolando su e giù in
una strana carezza timorosa. Ha paura di romperlo, forse. Ha paura di
toccarlo davvero, di scuoterlo troppo, di fargli male, di non sentire
il calore che ha sempre emanato con la stessa intensità del
profumo della sua colonia.
Non
abbandonarlo, vita. Tienilo con me, ti darò qualsiasi cosa.
«Sei...
arrabbiato con me», tossicchia cercando di sorridere. Però,
è una smorfia sofferente quella che gli attraversa il viso.
Era
una domanda? Oppure una constatazione? È così sfinito
da non riuscire a porre il giusto tono nelle frasi?
Lo
odia. Lo sta davvero odiando. Non può lasciarlo. Non è
contemplabile, non è autorizzato a lasciarli indietro. Odia
persino il modo in cui non riesce a udire il suo respiro che i primi
mesi era raschiante e riconoscibile.
Odia
quella situazione e odia la malattia che ha aggredito la nazione,
consumando il corpo forte e pieno di energie che è sempre
stato solito stritolarlo all'improvviso, scatenando proteste e
spintoni infastiditi.
Per
uno di quegli abbracci, ora, sarebbe disposto a cadere in ginocchio
ed implorare, cedere ogni ricchezza che possiede.
«Non
sono arrabbiato con te», risponde, lasciando che all'indice si
aggiungano anche le altre dita, per posare definitivamente la mano su
quella rilassata di Danimarca. Non crede ai propri occhi quando la
vede girarsi e stringere la propria con una forza inaspettata.
Forse
è la prima vera volta da quando è diventato adulto, ma
Norvegia ricambia il gesto.
Brividi.
Ah, quei maledetti brividi che rischiano di farlo crollare da un
momento all'altro, incrinando una superba facciata che ha sempre meno
senso.
«Ti...
ti mancherò? Puoi dirmelo.»
Norvegia
sta tremando e si detesta quando perde la visione nitida del viso
pacato, stanco e grigio di Danimarca, quando tutto diventa confuso e
distorto e l'umidità improvvisa degli occhi non lo aiuta
minimamente a sfogare il dolore e il senso di impotenza, né a
soffocare la lama conficcata in gola. La acuisce soltanto.
«Sei
un idiota», riesce a rispondere chinando la testa. «Non
hai il diritto di dire certe cose.»
Un
verso strano, diverso da tutto ciò a cui l'ha sempre abituato,
ma comunque simile ad una risatina, scuote il danese. La mano che
tiene la propria rilascia la presa, ma solo per muovere meglio il
pollice in una serie di piccole carezze.
«Ho
detto... a Is... che deve abbracciarti più spesso, perché
tu... a te piace», riprende faticosamente. «Io non po...
non posso farlo più... 'spiace.»
«Smettila.»
«Nor-»
«Smettila!»,
esplode sporgendosi su di lui. «Tu non stai morendo! Non te lo
lascerò fare! Mi ascolti? Non ti muoverai da questo mondo
schifoso, resterai qui ad infastidirmi fino allo spegnimento del
Sole! No, ben oltre!»
C'è
una dolcezza infinita nello sguardo di Danimarca, mentre lo osserva e
lo lascia sfogare come se quelle parole non fossero una sorpresa,
come se la rabbia fosse naturale e prevedibile.
Aspetta
con pazienza che si calmi, che si zittisca respirando avidamente, poi
si lecca le labbra. «Jeg elsker dig, Norge»,
sussurra con voce limpida.
«Che...
che cosa-»
«Farvel,
min ven.»
«D-Dan...»
Le
palpebre di Danimarca si abbassano occultandogli le brillanti iridi
azzurre in via di spegnimento. Se ne sta andando, si arrende, ha
resistito solo per...
«Dan?
Dan! Tu, idiota! Aspetta!»
Jeg
elsker dig, Norge.
No.
Un momento. Solo un dannato, fottutissimo momento. Non può
andarsene, non ora, non in quel modo. NO.
«Jeg...
elsker... deg», sussurra, tremando dalla testa ai piedi, non
vedendo praticamente più nulla. «Mi senti? DANMARK!»
Continua
a gridare che lo ama, grida così forte da spaccarsi qualcosa
dentro, da perdere la voce e finire a rantolare sul letto. La gola
brucia ed implora pietà, mentre continua ad accarezzargli
spasmodicamente il viso immoto e rilassato, ignorando tutto il resto,
inveendo contro un guscio vuoto.
«Jeg
elsker deg... Jeg elsker deg... ti prego, t-torna da me.»
Affonda
il viso nel suo petto e il terrore lo avvolge completamente quando
capisce che non c'è battito né respiro, che Danimarca
se n'è andato e non sentirà più la sua voce
stupida che sapeva anche essere calda e profonda e mai, mai più
proverà a fargli una carezza sulla testa che verrà
allontanata con malagrazia dopo qualche secondo.
La
sua mano. Dov'è.
Norvegia
scivola in ginocchio accanto al letto e gli prende la mano
posandosela sulla testa. Si abbandona con la guancia sul materasso e
lo inzuppa di lacrime bollenti.
«Jeg
elsker deg», sussurra, buttando fuori ogni sillaba mai
pronunciata ad anima viva, con sofferenza straziante.
Vorrebbe
essere ascoltato, ora, con tutto se stesso.
Vorrebbe
che Danimarca potesse sentirlo e rispondergli ancora.
Teme
di essere stato lui stesso a finirlo, dandogli quello che aspettava,
quello che ancora lo teneva legato a questo mondo.
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