Blame on you.

di Elize
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Spense il motore della macchina e rimase lì a fissare l’oscurità davanti a sé, ma non era il buio a spaventarla. Era la solitudine. La consapevolezza che nessuno l’avrebbe aspettata a casa. Era libera, di una libertà che non sa spiccare il volo. Avrebbe voluto piangere, ma non ci riusciva. Era stanca. Così rimase lì per ore forse ad arricciarsi la punta dei capelli. Cos’altro avrebbe potuto o voluto fare? Nulla.
Non era giusto desiderare di non esser nati. Era così piccola, così fragile, così desiderosa di tornare nel grembo di qualcuno che non si curò neppure di voltarsi quando qualcuno le urlò di spostarsi e lasciare il posto. “accomodati nella mia solitudine, prego” pensò lei. Accese il motore e ripartì verso il nulla o verso il tutto. Difficile a dirsi. Aveva per tanto tempo amato un’altra persona, un’altra individualità, un altro modo di vestire, di bere il caffè, di mangiare e adesso aveva cominciato ad amare se stessa.
Quando aveva cominciato a farlo si era liberata di tutto quello che la trascinava verso il torbido. Si era liberata di se stessa in uno slancio verso il cielo ridente e per una frazione di secondo aveva capito cosa si provava a essere Elisa. Era un dolore lancinante e atemporale, non sarebbe mai finito. Quindi corse più veloce che poteva verso l’ombra che per tutta la vita aveva seguito e la raggiunse, le entrò dentro e raggiunse l’essenza sacrificando se stessa. Il suo cadavere esangue, i suoi rossi capelli.
Aveva solo sedici anni e già moriva.




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