the
cure
to the
curse
Si
guardò attorno interdetta
e poi uscì dalla casa del sindaco, lasciando la porta aperta. Non aveva
detto
una sola parola e avrebbe pensato che nemmeno ce ne fossero, se sarebbe
riuscita a pensare, in un momento come quello.
Fuggì,
semplicemente.
Risalì
nella macchina da
sceriffo e mise in moto subito; solo quando arrivò a destinazione
spense il
motore e rimase lì, seduta senza fare niente, con la testa per aria.
Il
suo fissare un punto
inesistente era così ipnotico che anche Archie, passeggiando con Pongo
al
guinzaglio, si fermò all’improvviso voltandosi per un attimo, prendendo
curiosità. Quando capì che ciò che prendeva tanto interesse era nei
pensieri di
Emma e non per la strada, decise di accostarsi.
Picchiettò
sul vetro e la
donna si voltò lentamente, con sguardo assente, finché non decise di
tornare in
sé e di scendere il finestrino.
«Ehi,
Emma… Tutto bene? Aveva
uno strano sguardo…».
La
donna decise di
interromperlo subito: non sarebbe riuscita a spiegargli, non qualcosa
che
ancora lei stessa non si spiegava.
Aprì
la portiera della
macchina e Archie si allontanò, alzò poi le braccia all’aria. «Non ora,
non
adesso», dichiarò senza degnarlo di sguardo, finché non si bloccò e
incrociò i
suoi occhi con quelli dell’uomo. «Henry… Henry cosa le ha detto
riguardo allo
sconfiggere la Regina Cattiva?».
Archie
sembrava rifletterci
ed Emma si pentì subito di avergli fatto quella domanda, riprendendo
passo
verso l’ufficio. «Lasci stare», scosse le braccia. Sembrava voler dire
altro ma
tacque e l’uomo restò perplesso sulla soglia dell’auto.
Regina
si sedette dinanzi
alla scrivania e come stanca afferrò la testa sulle sue mani.
Com’era
potuto accadere? Da
quando le cose le erano così tanto sfuggite di mano?
Aveva…
visto. E ora non poteva più tornare
indietro.
Henry
bussò alla porta aperta
e Regina alzò uno sguardo terrorizzato che non passò inosservato al
bambino,
che stranito fece come mezzo passo indietro.
«Io
vado a giocare al parco»,
disse. «Mi… Mi aspettano alcuni amici».
Si
accorse di come la stava
guardando, suo figlio, ed ebbe come
paura di quello sguardo. «Stai andando da quella donna, non è vero?»,
le chiese
senza mezzi termini.
Solo
inutili bugie: sapeva
dove andava e sapeva che non aveva amici, proprio come lei.
Henry
restò perplesso sulla
porta, se risponderle con la verità o insistere, quale delle due gli
avrebbe
permesso di uscire, finché la donna, senza aspettare risposta,
concluse. «Vai».
Il bambino non se lo fece ripetere due volte e stringendo la cinghia
del suo
zaino uscì di casa.
Che
cosa doveva fare, ora che
conosceva la verità? Si chiese.
Morsicò
talmente forte le
labbra che sentì l’amaro sapore ferroso del sangue.
Quello
era suo figlio. Poteva ancora
capovolgere la
situazione: se strappava il cuore al bambino e lo stritolava davanti
agli occhi
di lei, era come avere la vittoria in pugno. Quella donna sarebbe stata
completamente in suo potere.
Non
poteva credere di averla
vista nascere e nascondere in quell’armadio, che la protette
dall’incantesimo.
Dal suo incantesimo. E a quel punto le venne in mente che lei non era
più
quella di una volta, che non avrebbe potuto strappare il cuore di
Henry, che
quel suo stesso incantesimo l’aveva resa… debole.
Scacciò
un urlo senza pari e con
un gesto veloce del braccio gettò tutto quello che c’era sul lato
destro della
scrivania per terra. Si placò ma vedendo del sangue uscire da un
graffio che si
era appena fatta, l’ira nei suoi occhi si accese più che mai.
Emma
continuava ad andare su
e giù per l’ufficio. Si appoggiò ad una porta e portò i capelli biondi
indietro. Quello che era successo… era… vero?
Aveva
visto se stessa,
neonata, in mezzo alla strada e quel bambino trovarla. Aveva visto se
stessa in
quel piccolo armadio di legno. Aveva visto se stessa protetta dalle
spade di
uomini vestiti di nero, protetta da un uomo, che si ferì, da un uomo
che
sembrava proprio… David.
Era
proprio certa che quella
bambina era lei? La copertina era quella.
Scosse
la testa e si morsicò
le labbra.
Aveva
anche visto la sua
nascita. La sua nascita, tra le braccia di quelli che dovevano essere i
suoi
genitori: David e Mary Margaret.
Perché
stava succedendo
quello? Perché era successo nel momento in cui… nel momento in cui… Non
riusciva nemmeno a pensarlo. Perché Regina l’aveva fatto e perché aveva
visto
quelle visioni?
«Hei»,
quella voce la fece
sobbalzare. Vide Henry spedito entrare nella stanza e poggiare il suo
zaino a
terra accanto ad una sedia. «Dobbiamo andare avanti con l’Operazione
Cobra. Forse
mia madre sta tramando qualcosa di nuovo, l’ho vista piuttosto strana
oggi», si
voltò e strabuzzò gli occhi vedendola con quell’aria confusa e assorta.
«Che
succede?».
«Tua
madre era strana?»,
domandò tentando di ricomporsi, davanti al bambino. Non voleva che la
vedesse
così provata e non voleva che ricominciasse a parlare dell’Operazione
Cobra.
Era una sciocchezza. Erano tutte sciocchezze. Anche quelle visioni che
aveva
avuto erano solo delle sciocchezze.
La
verità era fatta di prove
tangibili: non esistevano le fiabe, non esistevano le Regine Cattive e
non era
possibile che i suoi genitori fossero delle persone che dimostravano i
suoi
anni.
Per
la prima volta da quando
stava a Storybrooke aveva paura davvero: da quando Henry era entrato
nella sua
vita e l’aveva portata in quel luogo tutto era cambiato, aveva
finalmente dei
legami e una vita che cominciava ad amare. Se tutta Storybrooke doveva
rivelarsi un’illusione… l’avrebbe distrutta. Ma in fondo non era
possibile,
perché quello che era successo – pensava – non poteva essere vero.
Aveva avuto
delle allucinazioni, che potevano anche sembrare lontanamente reali, ma
restavano tali, e forse erano solo programmi della sua stanchezza.
«Sì…
Anche tu sei strana»,
rispose Henry.
«Senti,
ragazzino, oggi sono
piuttosto stanca, perché non vai a giocare e ci rivediamo più tardi?».
«Ma
dobbiamo fare qualcosa
per l’Operazione Cobra! E se mia madre oggi stesse tramando qualcosa?
Aveva
un’aria veramente terrificante…».
«Terrificante?»,
alzò un
sopracciglio.
Cosa
poteva nascondere quella
di terrificante? Dopo quello che era successo… beh, terrificante poteva
essere
lei, non Regina. E arrabbiata. Insomma, aveva fatto tutto da sola e
cosa si
aspettava, che restasse lì e ne parlassero come se niente fosse? Aveva
fatto
bene ad andarsene, con o senza allucinazioni.
Quella
donna era pazza. Dal
momento che aveva messo piede a Storybrooke tentava di scacciarla, di
minacciarla, di spiarla e di arrestarla, e infine tra una discussione
senza
capo né coda la bacia? Era completamente fuori di testa.
«Senti,
ragazzino, non ho
paura di tua madre. E oggi comunque sono veramente impegnata. Ci
rivediamo più
tardi».
«Ma
non eri stanca?». Dopo
un’occhiata di troppo Henry si convinse ad andarsene, per il momento.
«Va
bene», riprese lo zaino in spalle. «Torno tra poco… Ma tu pensa
all’Operazione
Cobra, perché secondo me sta per succedere qualcosa», disse alla porta
per poi
uscire.
Appena
se ne fu andato
afferrò la sedia davanti a quel pc dove solitamente sedeva il bambino e
prese
il suo posto, infilando poi la chiave aprì il cassetto dove era
custodito il
libro di Henry. Lo tirò su e poggiandolo sulla scrivania lo aprì: le
immagini,
prima di ogni altra cosa, presero il suo interesse. Non aveva mai fatto
caso
quanto alcuni dei volti che vedeva lì raffigurati sembravano simili
alla gente
di Storybrooke. Scosse la testa e lì per lì fu tentata di richiudere il
libro:
non erano simili, tentava di convincersi, erano solo dei disegni, e
tutto
questo stava succedendo solo perché la sua testa era stata provata
dalle
allucinazioni della stanchezza, provata allo stesso tempo dalle assurde
teorie
di Henry.
Tuttavia,
nonostante pensasse
di richiudere quelle pagine, fu comunque presa dalla lettura. C’era una
Regina,
e sembrava davvero Cattiva, ma non era per niente simile a Regina dalle
illustrazioni. Oh, capì più avanti
nella lettura, che quello che stava leggendo accadeva ancor prima che
la Regina
Cattiva diventasse sia Regina che Cattiva, ovvero ciò che Henry credeva
fosse
il passato di sua madre.
Rise,
in certi punti. Quella
che doveva essere Regina, secondo il loro figlio in comune, era una
ragazzina
spensierata e innamorata, totalmente diversa da come immaginava. Più
avanti
però la narrazione prendeva un tono più serio ed Emma si fece seria
altrettanto. Quello che stava accadendo in quelle pagine… era
terribile. Come
poteva quello essere un libro per bambini? La Regina Cattiva, no… la
madre
della futura Regina Cattiva, aveva fatto uccidere il suo unico amore e
l’aveva
costretta a sposarsi uccidendo anche la sua spensierata innocenza.
L’uomo che
era costretta a sposare era il Re Leopold, il padre di Snow White.
Ripensava,
in quel momento, che Snow White secondo la folle teoria di Henry era
sua madre,
ed era Mary Margaret là a Storybrooke. Era stata Snow White a non
mantenere il
segreto dell’amore della giovane futura Regina Cattiva: era colpa sua
se la
madre l’aveva mandato a morte.
Chiuse
il libro, in un attimo
di ansia, e si mantenne la testa fra le braccia.
Secondo
Henry, il movente di
Regina era questo, per far cadere le colpe su Mary Margaret
sull’omicidio di
Kathryn Nolan. La cosa buffa, in quel momento, è che le sembrò che
Henry avesse
davvero ragione.
Regina
aveva scatenato la
maledizione perché era stanca della felicità raggiunta da Snow White,
mentre a
lei aveva rovinato l’esistenza.
No.
Scosse
la testa ancora una volta, per poi sorridere. Quello era solo un libro
e Henry
era solo un bambino. Le fantasie dei bambini non facevano parte della
realtà.
Per
un attimo ripensò a lei,
quando era bambina: non c’era spazio per l’immaginazione e la fantasia,
ogni
volta che tentava di crearne una la realtà gliela spazzava via, dagli
adulti e il
loro grigiore, dai problemi di non avere una famiglia e una vita che
valesse la
pena vivere.
Ridacchiava,
pensando che più
per Regina, quella fiaba era adatta a lei: l’innocenza era stata
spezzata e
uccisa da un adulto senza cuore, solo che invece di essere divenuta una
Regina
Cattiva, Emma era solo diventata… Emma, una ragazza che non credeva più
a
niente.
«Emma…»…
Quella voce
risuonava nella testa. Era una voce che ricordava, familiare, e poi
vide il suo
volto, che sorrideva. La riconosceva, era Mary Margaret. No… pensò poi
di
essersi sbagliata, mentre l’immagine si faceva più nitida: quella donna
aveva i
capelli più lunghi e il suo viso pareva sofferente. Perché piangeva
così? Delle
mani la strapparono dalle sue braccia e si sentì improvvisamente più
triste.
Ora riconosceva quella scena, faceva parte delle sue illusioni, quelle
che
aveva avuto quando Regina l’aveva baciata. Sembrava così… reale.
«Emma…
Mamma».
Sua madre?
Si
svegliò e alzando
leggermente la testa vide Henry al suo fianco. Allora era lui che la
chiamava?
«Ti
sei addormentata», le
sorrise il bambino, e poi fissò il libro. «Stavi prendendo appunti per
l’Operazione Cobra?», fece entusiasta.
Emma
storse gli occhi e
lentamente alzò la testa dalla scrivania; stava per dirgli quanto
quelle fiabe
non avessero niente a che fare con Regina quando una scossa di
terremoto
improvvisa fece spaventare entrambi e afferrò il bambino, che a sua
volta prese
con sé il libro. Lo prese fra le sue braccia e si nascosero sotto la
scrivania.
La scossa durò diversi intensi minuti. Videro parti dell’intonaco
cadere, i
vetri delle finestre rompersi, il letto della cella ballare. Era la più
violenta
scossa che avessero mai sentito a Storybrooke.
Quando
finì, Emma si guardò
circospetta e solo quando pensò che la scossa non sarebbe tornata di lì
a breve
fece uscire il bambino dall’improvvisato nascondiglio.
Entrambi
si guardarono
intorno, in mezzo al disastro. Henry subito corse verso l’uscita ed
Emma stava
per raggiungerlo, quando incuriosita si fermò a dare un’occhiata alla
scrivania, domandandosi come mai questa non si mosse. La vide ancora
perfettamente attaccata al muro e scoprì delle viti. Era stata solo
fortuna.
Veloce uscì dall’ufficio.
Terra
nell’aria, smossa dal
terremoto, si respirava come nebbia.
Emma
raggiunse Henry, fermo
in mezzo alla strada, come tanti altri abitanti della cittadina. Tutti
stavano
intorno alla strada, osservando impietriti come quel terremoto aveva
ridotto
ogni cosa. Tutta Storybrooke era stata messa in ginocchio: non sembrava
più la
stessa, dai cartelloni a terra, dalla strada spaccata in due, dai muri
ridotti
in macerie e dalla paura nei volti dei cittadini stessi. Nessuno
gridava al
ferito, ma erano molti quelli ricoperti di polvere.
«Bisogna
andare a vedere se è
rimasto qualche ferito», subito disse Emma, ma il figlio la fermò alla
giacca
da sceriffo. «Tu devi restare in un luogo sicuro, potrebbero
presentarsi altre
scosse».
«No, no», gridò lui. «Non
capisci! È la
maledizione».
«Senti,
ragazzino, non è il
momento adatto per queste cose», incurvò la testa, tentando un sorriso.
Sapeva
quanto Henry volesse davvero dare la colpa a quello che era successo
alla
maledizione, ma un giorno anche lui – pensava – avrebbe aperto gli
occhi
com’era successo a lei.
«No,
dev’essere per forza
successo qualcosa», insistette Henry. «La maledizione si dev’essere
indebolita!
Avevo visto mia madre con una faccia terrificante, te l’avevo detto».
«Ascoltami,
Henry», si
abbassò alla sua altezza, poggiando le mani sulle spalle del bambino.
«Sono
stata a casa tua, oggi. Tua madre era esattamente come tutti gli altri
giorni,
non aveva nulla di diverso».
«E
cos’è successo? Qualcosa
dev’essere successo, qualcosa che è cambiato», insistette.
«Abbiamo
discusso».
«Come
sempre?».
Emma
tornò in piedi, pensando
bene a come dire quelle parole. «Henry… No, in effetti qualcosa è
successo». Si
bloccò per osservarlo, e quando capì che lui era lì immobile ad
ascoltarla,
decise di mentire. Decise di mentire davvero, proprio come quando gli
disse che
suo padre era un eroe, eppure stavolta non ci riuscì. Forse, una parte
di lei,
credeva davvero alla maledizione e sperava che potesse finire dicendo
la verità,
sperava che lui l’avrebbe aiutata ancora, e che stavolta le avrebbe
dato una
ragione valida per cui i suoi genitori l’avevano abbandonata. «Tua
madre…
Stavamo discutendo e lei mi ha baciata».
«Ti
ha baciato?», strabuzzò
gli occhi.
«Sì,
ma non è success-», il
bambino la bloccò all’istante.
«Anche
Graham ti aveva
baciato. E lui aveva detto di aver visto chi era quando lo aveva
fatto».
«Non
ti seguo», scosse la
testa. Era meravigliata dal fatto che Henry continuasse con le sue
teorie
nonostante gli avesse appena detto che la sua madre adottiva aveva
baciato la
sua madre naturale.
«Aveva
visto chi era: il
Cacciatore. E se a mia madre è successa la stessa cosa… Oh no», il suo
sguardo
si fece scuro.
«Che
cosa “oh no”?».
«Abbiamo
perso il nostro
vantaggio», la fissò dritta negli occhi. «Mia madre ha scoperto che sei
la
figlia di Snow White. Cercherà di ucciderti».
«Oh
ragazzino, so che tua
madre non è tutta zucchero e miele, ma da qui a pensare di uccidermi…».
Il
loro discorso restò
sospeso, gli sguardi di Emma ed Henry, come quelli degli altri
cittadini in
zona, restarono tutti intrappolati dalla stessa visione: i vetri e i
muri di
Storybrooke venivano giù come niente, uno dopo l’altro seguendo un
percorso
preciso, quello verso di loro. Infatti, non
lontano da questi, c’era la causa scatenante, coperta dalla polvere che
si
alzava nell’aria.
Regina
era sospesa a
mezz’aria, le braccia spalancate, il fumo sotto i suoi piedi. Indossava
ciò nessuno
mai le vide indossare a Storybrooke, ma solo nel luogo dal quale
provenivano. Tutti
restarono a bocca aperta ed alcuni preferirono scappare. Il mantello le
ondeggiava tra il vento. Sul viso portava un maestoso e ben ritrovato
sorriso.
«Oh
mio Dio», sussurrò Emma,
ad occhi spalancati.
Henry
alzò il viso verso di lei
e la donna ricambiò con uno sguardo allarmato.
Sì,
ora lo credeva. Come
poteva insistere con la fantasia di Henry quando questa aveva
incontrato la sua
realtà, quella che le avevano imposto da bambina?
La
Emma bambina voleva credere
che un giorno i suoi genitori sarebbero passati a prenderla, che
avevano avuto
dei contrattempi, e che doveva smettere di piangere altrimenti non
l’avrebbero
ritrovata. La Emma bambina voleva credere che i suoi veri genitori
avrebbero
aperto la porta dell’ufficio dove ogni volta veniva rispedita dopo che
gli
ennesimi nuovi padre e madre non la volevano più con sé, e che
l’avrebbero
ripresa. La Emma bambina voleva credere che esistevano, da qualche
parte, e che
ripetere prima di addormentarsi una preghiera gliel’avrebbe riportati.
La
Emma bambina era durata molto
poco, cresciuta in fretta, delusa, quando ogni giorno si accorgeva
sempre più che
i suoi veri genitori non sarebbero mai arrivati e che gli adulti
intorno a lei
la volevano grande, e forte, perché nella vita niente regala niente.
Una
Regina Cattiva faceva
parte della fantasia. I genitori adottivi, malauguratamente, della
realtà.
Una
realtà.
La
sua.
La
sua di quando era bambina.
Ma
la Regina Cattiva, che
esisteva quant’era vero che esisteva lei, probabilmente aveva lasciato
i segni
della sua maledizione anche sulla sua anima, nonostante Snow White e
James, il
Prince Charming, avevano cercato di proteggerla.
«Lei
è vera», sibilò Emma.
«Più
vera che mai… E sta
arrivando qui», disse Henry.
Regina
era ormai a pochi
metri dai due e il suo sorriso si spense. Con sguardo arrabbiato
arruffò il
naso, e gli indicò. «Lui… è mio
figlio».
Emma
si frappose tra lei ed
Henry e Regina sembrò non gradire affatto quel gesto. La donna ringhiò
e
accecata dalla rabbia mosse il braccio destro contro un negozio, che
crollò
come se fosse stato accartocciato.
Emma
deglutì. Questa nuova
Regina aveva poteri che mai si aspettava di vedere, e soprattutto,
cominciava a
sentir la mancanza di quella che conosceva.
«La
vedo piuttosto arrabbiata»,
esclamò Emma.
«Tu
sei l’unica che può
spezzare la maledizione e ha paura che le porti via ciò che ha
costruito».
Che
ha costruito…?
Emma
restò immersa nei suoi
pensieri. Se la fiaba che aveva letto nel libro di Henry, su di lei,
era vera…
Regina aveva ragione di esser arrabbiata. Sua madre aveva ucciso il suo
amore e
la sua innocenza, ma non aveva giustificazioni riguardo l’esser
divenuta
malvagia. Lei e Regina avevano subito ingiustizie simili, ma al
contrario lei
non si sentiva una Regina Cattiva.
Regina
si era sentita
giustificata a diventar simile a sua madre: ma non esisteva
giustificazione,
qualsiasi cosa succeda, per le nostre azioni… Pensava Emma.
«L’avevo
avvertita, no, Miss
Swan? Che non aveva idea di quel che sarei stata capace di fare», disse
Regina,
interrompendo i suoi pensieri.
Come
avrebbe potuto
sconfiggere una Regina Cattiva? Altri avevano deciso che lei sarebbe
stata la
prescelta, ma nessuno forse immaginava che sarebbe stata una
normalissima
umana, senza poteri che le permettessero di combattere. E ci sarebbe
stato
bisogno di combattere, in fondo?
«Ehi,
ragazzino, il tuo libro
dice come sconfiggere la Regina del Male?».
«Emh…
No», sorrise innocentemente.
«Le ultime pagine parlavano della tua nascita, ma non dicevano altro. E
le
avevi bruciate».
«Mi
stai prendendo in giro?!»,
si voltò a lui meravigliata. «Va bene», strinse le labbra. Prese passo,
decisa,
in un qualche modo bisognava sistemare quella situazione.
«Cos’hai
intenzione di fare?»,
urlò Henry.
«Sconfiggere
la Regina
Cattiva», sorrise Emma. «Tu stai al sicuro».
«Sconfiggere
me?», rise
Regina. «Credi davvero di poterlo fare? Sei soltanto lo sceriffo di una
piccola
cittadina che non è nientemeno che un’illusione. Un’illusione che io ho
creato.
Non appartieni a questo posto e non hai nulla per sconfiggermi! Anche
se sei la
figlia di Snow White, le cose non cambiano. Sei un nulla che è arrivato
qui per
caso… Tremotino quella volta disse il falso. Tu non puoi niente contro
di me».
Ma
Emma non si lasciò
travolgere da quelle parole e senza paura si avvicinò a lei, tentando
di
mantenere la calma. «Perché mi hai baciato?».
Quella
domanda lasciò
perplessa Regina. Non ci mise così poco a formulare qualcosa da
risponderle. «Dove
vuole arrivare con questo, Miss Swan? Le cose non cambieranno anche se
l’ho
baciata: lei ha rovinato tutto».
«Notavo
come, leggendo la tua
storia, ci sia qualcosa di simile alla mia. Te la sei presa con Snow
White, ma
la verità è che le cose non sempre vanno come vorremmo andassero.
Quando ero
bambina avrei voluto svegliarmi e scoprire che era stato tutto un
incubo, che
avevo una famiglia che mi voleva bene ed eravamo felici. Ma ho
aspettato quel
giorno invano. Potrei dire che è stata colpa tua, a causa della
maledizione, ma
la verità è che è una cosa che è successa e non ha senso prendermela
con te».
Regina
restò a fissarla
imperterrita, senza dire una parola, e lentamente cominciò a toccare di
nuovo
terra coi piedi.
Perché l’aveva baciata?
La
maledizione non aveva
solamente privato a tutti del loro lieto fine, ma era stato impresso
anche in
lei stessa. Anche Regina era stata maledetta dalla sua stessa
maledizione. Ventotto
lunghi anni a vivere come una persona qualunque, era stato l’arrivo di
Emma a
risvegliare in lei la vera se stessa che era stata assopita dalla
maledizione. Regina
aveva ritrovato la vena di combattere per quel poco, che
difficoltosamente,
aveva guadagnato: Henry. Lei voleva ricominciare a vivere a
Storybrooke, ma non
era mai riuscita ad avere l’amore che avrebbe voluto da suo figlio. Non
capiva
che c’era qualcosa che non riusciva a permetterglielo. Se l’era presa
con Snow
White per quello che le era successo e non c’era stato più verso di
farle cambiare
idea, voleva vendicarsi e quello era stato il risultato. La vendetta
non le
aveva comunque permesso di essere felice. Ed ora, perché non riusciva
ad avere
l’amore di Henry, affidava lo stesso la colpa agli altri.
La
verità era che vedeva Emma
simile a lei. Aveva un dolore dentro che non riusciva a colmare e
Regina riusciva
vederlo solo perché provava lei stessa dolore.
Aveva
rovinato tutto… Poteva
essere una persona qualunque, perché proprio la figlia di Snow White?
Si
domandava.
Una
persona qualunque avrebbe
potuto… ricambiare. La figlia di Snow White invece, era lì solo per
sconfiggerla.
«Tu
non sai niente di me»,
sussurrò Regina.
La
terra ricominciò a tremare
e la gente ad urlare.
Henry
pensò che la
maledizione fosse ormai agli sgoccioli, che qualcosa sarebbe accaduta
di lì a
presto.
«Mi
dispiace per quello che
ti è successo… Ma puoi sempre ricominciare», disse seria.
A
Regina calarono alcune
lacrime, ripensando al suo defunto padre, che credeva in lei e invece
accecata
dal rancore non aveva creduto e infine ucciso. La maledizione non
l’aveva
portata a nulla e solo un forte vuoto si era preso cura di lei per quei
ventotto anni. Poteva rifiutare ciò che le veniva detto e strapparle il
cuore,
come aveva fatto quella volta con lui, ma qualcosa la bloccava: Emma
era colei
che avrebbe potuto distruggere la maledizione e forse non la poteva
toccare… o
forse, pensava, l’aveva baciata perché c’era qualcos’altro.
Avrebbe mai potuto strappare il
cuore di chi amava?
Emma
in quel momento si sentì
di fare ciò che mai avrebbe immaginato: si era avvicinata e l’aveva
abbracciata. L’unica cura che esisteva per distruggere una maledizione
nata dal
dolore, era l’amore.
Regina
l’abbracciò a sua
volta e chiuse gli occhi. Decise: avrebbe ricominciato… avrebbe
ricominciato da
lì.
Emma
aprì gli occhi
lentamente e guardò attraverso le tende della finestra. Un’altra
mattina era
iniziata. Mise i piedi fuori dal letto e restò immobile, dopo essersi
stropicciata gli occhi.
Ricordava…
tutto.
Era
una situazione strana:
ricordava che Regina l’aveva baciata e di aver scoperto che tutte le
bizzarre
teorie di Henry sulle fiabe erano la verità. Aveva accettato di essere
la
figlia di Snow White, ovvero Mary Margaret, e di aver sconfitto la
maledizione
da una Regina veramente Cattiva.
Ci
rise su, vestendosi.
Vide
che Mary Margaret era
già uscita di casa, sentì uno strano effetto nel constatarlo, e
indossando la
giaccia da sceriffo uscì di casa anche lei.
Trovò
Henry da Granny e
l’accompagnò fino a scuola, mentre il bambino non faceva che parlare
dell’Operazione
Cobra. Dopo aver fatto quello strano sogno non le sembrò quasi più lo
stesso
sentir parlare di quelle fiabe e della Regina Cattiva. Salutò Henry e
voltandosi notò Regina. S’incantò nel vederla, aveva qualcosa di…
diverso:
sorrideva.
Sorrideva
diversamente a come
aveva sempre fatto ed Emma si chiese così se, forse, una maledizione
non si
fosse veramente spezzata.
Sorrise
anch’essa e di buon
umore s’incamminò verso il suo ufficio.
***
Non
chiedetemi niente! Non ho idea di come sia uscita ‘sta cosa… Cioè, sì,
volevo
scrivere una piccola fan fiction senza pretese e vagamente SwanQueen,
solo che
poi mi è uscito fuori tutto un patra-trac! Ho perfino tolto dalla scena
personaggi che sarebbero potuti comparire per finirla il prima
possibile XD
Infatti, non credo che ‘sta cosa sia granché, ma fa nulla, volevo
scrivere
qualcosa giusto per divertirmi e bon.
Lo
spoiler sta per l’episodio 1x18, dove vedremo il passato di Regina. E,
naturalmente, per gli episodi finora usciti in America, per chi segue
solo la
programmazione italiana. Per il resto… dai, è tutto inventato da me,
quindi
chissà come andrà a finire :)
Beh
sì, ammetto comunque che un finale SwanQueen non ci starebbe affatto
male nella
serie <3 XD
Era
da molto tempo che non scrivevo una fan fiction e, comunque, non credo
scriverò
ancora su Once Upon a Time XD Per quanto ami questo telefilm, mi basta
seguire
la serie e disegnare ogni tanto qualche sketch cretino sui personaggi
XD
Ciao,
ciao da Ghen =^____^=
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