Quattro
paginette per l'ennesima versione del Grande Ritorno. Breve ma
intensa: angstangstangst e poi tanto ammmore, come piace a noi
masochiste Sherlockian.
The
Longest Night of Our Life
Sferoidi
luminosi di plasma che generano energia nel proprio nucleo attraverso
processi di fusione nucleare. Quante volte hai osservato questi
inutili fenomeni astrofisici senza che essi suscitassero in te la
minima reazione apprezzabile? Tutta la vita. Perfino adesso.
Perché
non sono le stelle. Affermare che delle mastodontiche masse di gas
che bruciano la loro energia a milioni di anni luce dalla Terra
possano in qualche modo influenzare le tue emozioni, sarebbe
illogico. È evidente che si tratta dell'associazione mentale che
dalle stelle ti porta a pensare a qualcosa che ti suscita emozione.
È
accaduto – e accade tuttora – ogni volta che in questi tre,
lunghi anni la nebbia ha dato una tregua alla brughiera dove sei
relegato e il cielo notturno si è ritrovato inaspettatamente scoperto. È
accaduto – e accadrà sempre – solo a partire dal momento in cui,
ormai solo della tua solitudine, hai preso la tua anima in disparte e
ci hai fatto due chiacchiere.
Le
hai spiegato con franchezza come il sistema binario del quale facevi
parte si sia spezzato. Un'operazione che avrebbe dovuto essere
relativamente indolore, non è andata esattamente come doveva. E il
buio siderale ha inghiottito il tuo cuore di recente scoperta. Non
sei più stato in grado di ritrovare la tua stella gemella. Colpa
tua: sei così maldestro in certe cose.
Tutto
quanto era stato preventivato si è puntualmente verificato, con il
trascurabile effetto collaterale di spazzare via in una deflagrazione
interiore quel poco di bello che c'era nella tua vita. Conti i
frammenti, luminosi e brucianti. C'è una buona metà di te che è
andata dispersa nel disastro delle tue azioni. Provi a rimettere
insieme quel che ti resta, come un puzzle dai tasselli mancanti, uno
specchio non ricostruibile. La tua immagine si rifrange mille volte,
mille differenti te, accomunati dalla stessa menomazione, mutilati di qualcosa di
vitale.
Non
ci hai mai provato a colmare quel vuoto: avresti ridicolmente fallito. Perché si tratta di una mancanza unica e insostituibile, un bisogno di
possessione che non è possibile tamponare con surrogati. Soluzione
al 7% – come ai bei vecchi tempi – o intricati casi di spionaggio
internazionale serviti su un piatto d'argento da Mycroft: del tutto
inutili. Si riducono a labili distrazioni cui impegnare un cervello
che non ha ragione di rifiutare un lavoro. Il lavoro nobilita l'uomo.
Ma non riempie i vuoti dell'anima.
Sherlock
Holmes è un uomo a metà. Il consulente detective dimezzato. Perso
senza il suo blogger. Sarebbe ironico se non facesse male come una
ferita aperta. Lasciarsi andare alla cancrena è giunta spesso nella
tua vita come un'idea consolante, ma paradossalmente men che meno
adesso. Sopravvivere a Moriarty fingendo la propria morte,
infrangendo un numero rilevante di leggi, coinvolgendo i servizi
segreti e mentendo alle persone che ami, non è qualcosa che possa
trovare un finale degno nella disfatta del suicidio premeditato.
Devi
qualcosa a te stesso e a loro. Devi qualcosa ad una vita negata, ad
un sistema binario interrotto.
Così
riapri sistematicamente quella ferita. Per ricordare, per
sopravvivere. Il dolore per continuare a mantenersi in bilico
sull'orlo dell'esistenza. La lama è sottile, ma tu sei agile,
allenato a tenerti in equilibrio tra le tue idiosincrasie e un mondo in cui
non hai mai trovato posto. Certo, all'inizio è stato difficile. Un
anno e mezzo al fianco di una persona che riesce a trovare
affascinante la tua natura disumana fino a far riemergere quel cuore
che credevi morto alla nascita. Eri un po' fuori allenamento.
Lo
sei tuttora. E continuerai ad esserlo. Lo dimostra quella ferita che
continui a voler riaprire. Ha fatto più John in quell'anno e mezzo
di inestimabile lealtà, che tu nei tuoi trenta e passa anni di
misantropia.
Mycroft
ti guarda con gli occhi pieni di pena, ma non ti secca. In fondo,
riesci a scorgere in lui un'invidia per quell'umana condizione che
hai vissuto e stai vivendo tuttora e che a lui è ancora sconosciuta.
L'amore,
nell'accezione più completa e populistica del termine. Tachicardia
ed eccesso di sudorazione alla presenza della persona verso cui si
nutre il sentimento. Desiderio di possesso carnale. Futili fantasie a
lieto fine. E vissero per sempre felici e contenti, risolvendo casi,
bloggandoci su e dimenticando i pantaloni.
Non
andrà così, e lo sai. Il che va a cozzare pesantemente col perché
tu stia guidando all'una di notte verso Londra. Ma sono trascorsi mesi
da quando la tua farsa ha perso la sua originaria utilità, facendosi
superflua. Mesi in cui sei passato dal nasconderti dai cecchini di
Moriarty al nasconderti da te stesso. È qualcosa che ha a che fare
con gli sguardi pietosi di tuo fratello e con i frammenti che non
riesci a mettere insieme. E sei stufo – degli uni e degli altri, ma
sopratutto di stesso.
Così
sei in auto e mentre ti sforzi di non applicare metodologie
scacchistiche nel tentativo di prevedere le future mosse di John
davanti al tuo miracoloso ritorno, ti ritrovi sotto il 221B di
Baker Street. È notte lì come lo era nel Hertfordshire. Le stelle
devono essere da qualche parte, là sopra, oltre le nubi e la
copertura di luce della metropoli. Non le vedi, ma ci sono. Àncorati
a questo pensiero mentre cerchi un'altra luce.
Miliardi
di volte più piccola e miliardi di volte più vicina di una stella, unico
rettangolo accesso di elettricità nei muri della strada silenziosa.
Ti chiudi la portiera alle spalle e la osservi fino ad imprimertela
nella retina. La sua macchia ti danza davanti agli occhi mentre copri
quei tre metri di marciapiede che ti separano dal portone d'ingresso.
La chiave è già nella tua mano. Ha atteso tre anni di essere presa
dalla tasca ed è fredda contro le tue dita, come freddo è il sudore
che ti sta colando tra le scapole.
Non
ti premuri di fare piano. Se la signora Hudson continua ad avere il
sonno pesante come una volta, sarà solo John, insonne per gli
incubi, ad accorgersi della tua intrusione.
Ma
adesso non rientrare nel loop delle manovre mentali e concentrati su
quello che senti. Fallo, una buona volta. È più crudo di quel che
immaginavi, come hai modo di rilevare, ma ormai non ti sembra più così difficile. Dopo tutto, hai avuto tre anni per prepararti a
questo.
Per
accettare l'odore familiare di the e la stampa della tappezzeria che
ti accolgono all'ingresso. Il solito suono ovattato sotto le scarpe
che pulisci sullo zerbino. Il movimento dell'aria provocato dalla
porta che si richiude alle spalle, incastrandoti in quella gabbia di
ricordi. Gli scalini di legno che scricchiolano uno dopo l'altro e la
parete aspra che scivola sotto i tuoi polpastrelli.
Ti
fermi così.
Ti
fermi e si ferma anche lui.
Lui
è immobile sulla soglia dell'appartamento. Una mano ancora stretta
sulla maniglia della porta, l'altra che tiene la tazza di the che si
è preparato nella speranza di riuscire ad ammazzare il tempo di quella lunga notte uguale a tante altre.
Indossa uno dei suoi orribili maglioni, uno di quelli a cui hai
ripensato centinaia di volte in questi anni. Non si è fatto la
barba. I suoi occhi sono una barriera d'inconcepibile rifiuto.
Tu
sei in piedi sul penultimo scalino. Le dita di una mano ancora ferme
sulla parete, quelle dell'altra che tengono le chiavi. Indossi il tuo
cappotto e la tua sciarpa blu, gli stessi con cui ti ha visto morire.
I tuoi capelli sono un po' più lunghi. I tuoi occhi non sanno come
aiutarlo.
E
siete cristallizzati nel vostro osservarvi, nel vostro ritrovarvi,
dopo anni luce di quel viaggio solitario al quale tu hai condannato
entrambi.
Qui
il tuo cervello ha un lasco infinitesimale di tempo che riesci a
colmare con tutte le variabili possibili. Ci sono diverse conseguenze
che con varie percentuali di probabilità possono verificarsi nel
caso in cui due stelle incrocino le loro orbite:
che
si ignorino reciprocamente proseguendo nelle loro orbite separate
che
si respingano ai lati opposti dell'universo
che
una venga catturata dalla gravità dell'altra diventandone un
satellite
che
formino un sistema binario
che
s'inglobino a vicenda creando un'unica entità
Vista
la rotta intenzionale che hai impresso alla tua orbita, puoi
escludere la prima ipotesi, ma niente ti dice che non sia John a
volerti ignorare. Teoria non del tutto campata in aria, dato che il
primo movimento che scongela la situazione è quello del suo braccio
che richiude la porta.
Dietro
il vetro smerigliato, la sagoma curva delle spalle, il profilo del
volto fatto di tasselli di mosaico, dal punto di vista ottico appena
intuibile, per te perfettamente deducibile in tutti gli angoli e le
increspature.
Poi
la porta si riapre. Quell'inconcepibile rifiuto si è trasformato in
shock da accettazione e puoi vederne i segnali accrescersi assieme al
suo respiro spezzato e al tremore diffuso. La tazza s'infrange sul
pavimento di legno senza che nessuno dei due trovi utile prestarle
attenzione.
John
è in iperventilazione e fare un passo avanti non è una buona mossa.
Si ritrae, infatti, la testa appena chinata in uno sguardo nuovo con cui ti
fissa sottecchi. Chiude le dita a pugno e le riapre con un movimento
nervoso, un avvertimento che tu ignori deliberatamente. Avvicinarsi
lo alleggerirà del senso di colpa, facilitandogli il compito.
Incassi
il pugno senza fare un fiato. È sempre stato bravo a menare le mani
e non si è smentito neanche stavolta, come puoi constatare tastandoti il setto
nasale incrinato. Adesso ti tocca respirare con la
bocca, ma è poca cosa. Non importa, davvero. Cominci a sentire un
bruciore che ha poco di fisico. Ed è un sollievo.
John
pensa bene che quello sia il momento adatto per occuparsi della
tazza. Ti chini anche tu e lo aiuti a raccogliere i frammenti bagnati
di the. Curvi tutti e due sul pavimento, a constatare il danno,
raccattando i cocci di qualcosa che si è infranto così tante volte
da essere diventato schegge. Le vostre amabili schegge.
Quando le
sue dita smettono di muoversi, lasciando cadere i frammenti, ti
accorgi del suo pianto. È silenzioso – i soldati non frignano.
John non frigna: non l'ha fatto al tuo funerale, non lo sta facendo
nemmeno adesso. Non lo farà mai. Ma è umano e gli esseri umani, di
solito, quando non sopportano qualcosa, quando non riescono a
contenerla, la fanno sfogare sotto forma di lacrime.
Si
passa il dorso della mano sulla fronte, John. Ed esala un sospiro che
ti spezza in due, alimenta il bruciore e ti scava dentro fino a raggiungere
quella ferita aperta, cauterizzandola.
E
dopo ti ha catturato. È un'orbita instabile quella in cui ti fa
crollare. Un'orbita fatta ti braccia forti ma impacciate e rumore di
stoffa e i vostri piedi che slittano sul pavimento. Un'orbita che sa
di paura e dolore e odori ritrovati. Un'orbita umida di the e lacrime
e sangue. E quando i vostri respiri s'incontrano, anche di altro.
È
con una certa fatica che riuscite sincronizzare l'inclinazione delle
vostre teste – destra, sinistra, insomma da che parte? – e con
non poche difficoltà respiratorie che riuscite a baciarvi.
Sono
due frammenti che non hanno mai avuto modo d'incastrarsi. E non è il
momento giusto, ma c'è qualcosa che v'impedisce di pensare. C'è
qualcosa che non riuscirete a fermare. A volte capita. Una manovra
sbagliata, un calcolo errato, un'interferenza imprevista.
Questa
cosa giusta nel momento più sbagliato vi sta facendo annaspare sul
pavimento in un intrico di arti e vestiti e parole spezzate. Tra la
tua esperienza paragonabile a quella di un seminarista e la ritrosia
così borghese di John, riuscite a ristabilire una specie di
equilibrio tra le parti e a risollevarvi – letteralmente e
metaforicamente – da quella situazione.
Poi in qualche modo
arrivate alla stanza di John ed ecco che ha modo di riemergere una vaga eco della
vostra coscienza. Potete riprendere fiato e fermarvi un momento a
contemplare cosa sta succedendo. Asciugarvi a vicenda gli umori che
vi imbrattano il volto, chiedendovi vagamente se e quanto
trattenervi. John sfiora con delicatezza disumana il naso che ti ha rotto con quella stessa mano. E tu chiudi gli occhi, deglutendo l'emozione di
quell'assoluzione totale, di quell'atto di fiducia incondizionata.
Potreste
frenarvi adesso e sapreste entrambi che sarebbe la fine – completa
e definitiva – di un embrione mai nato e la rinascita – incerta e
pericolosa – di qualcosa che è morto da tre anni. La prospettiva
di quella soluzione ti sta uccidendo e francamente preferiresti
morire in un altro modo.
Dopo
tutto, c'è ancora un'ultima ipotesi sulle conseguenze che può
portare l'incontro tra le vostre orbite.
Quanto
sei disposto ad annullarti, è tutto da vedere. Ma d'altra parte la
natura delle stelle è ancora largamente sconosciuta e il loro
comportamento difficilmente prevedibile. Un dato di fatto che non
toglie niente a quello che sta succedendo tra di voi.
Nuovi
frammenti si disperdono ad ogni vostro movimento. Cerchi un nesso tra
di loro e ti accorgi che questi stanno lentamente scivolando senza
soluzione di continuità tra te e John. Vi danzano sulla pelle e tra
le vostre lingue e nell'aria ferma rotta dai vostri respiri
soffocati. E lo senti già. Devi imparare a pensare in maniera
diversa, ma lo senti già. Sarà così difficile e
incomprensibilmente bello.
Sherlock
Holmes non è più mutilo del cuore. Non lo sarà mai più.
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