Mentre lo
pronuncio, lettera per lettera, suono per suono, lo sento scivolarmi sulle
labbra come cioccolata calda, accarezzarmi la pelle come velluto, il tuo nome mi
inebria i sensi come un afrodisiaco. Un calore mai provato lambisce il mio
corpo; un fuoco vivo che scalda senza scottare, che brucia senza consumare.
Vedo il tuo
viso, il tuo angelico viso, sospeso sopra il mio. Sorridi. Sei triste. Perché
sei triste, amore mio?
Mi sembra di
galleggiare sospesa nel vuoto, trapunto di lucine bianche.
L’universo.
Mi ricorda l’universo, immenso, buio, trapunto di stelle lucenti, brucianti,
come me.
Sto volando.
Posso toccare le stelle. Vorrei portarne una a lui, così che la sua luce gli
tenga compagnia quando la mia si spegnerà. Presto.
Non vedo più
il suo viso. Con quei capelli del colore dell’oro filato ma gli occhi come il
buio più profondo e angosciante. Ma pieno di calore, come quello che mi stava
avvolgendo. Che fosse il suo amore?
La prima
volta che ti vidi volevo farla finita. Fosti il mio angelo salvatore. Sembrano
passato anni interi invece siamo stati insieme per soli 4 mesi. I giorni più
belli della mia vita.
Mi dissi di
trovarmi bellissima. Io ti credetti. Ricordo che il sole splendeva. Gli alberi
in boccio, l’erba tenera appena bagnata dalla rugiada, mille colori trapuntavano
quel immenso mare smeraldo. La Natura stessa sembrava prendersi gioco di me.
Una bambina
stava cogliendo dei fiori. Mi sentivo come quei fiori. Strappata dalla mia vita.
Bruscamente. Ingiustamente. Eppure tu fosti quel bicchiere d’acqua in cui venne
messo il fiore. Mi ridasti la vita e lo splendore di un tempo. Ma una rosa
recisa, per quanto eterea, prima o poi muore.
Sento la tua
mano sulla pelle. È calda. E dolce. Ti sorrido. Tu piangi. Il mio sguardo cade
sul comodino. Sono tantissimi. Non ci avevo mai fatto caso. L’abitudine. Decine
e decine di barattoli di pillole. Di ogni tipo, di ogni colore. E dire che non
mi erano mai piaciute le pillole.
L’espressione
del medico era di compassione ma sotto tutto questo c’era anche un profondo
imbarazzo. Avrei voluto urlare, rompere qualcosa, la testa del medico se fosse
stato possibile. Era colpa loro. Lo sapevo io e lo sapevano loro. Ma non
riuscivo. Non potevo. Io non potevo urlare in pubblico. Mamma non avrebbe
voluto. Con quell’espressione profondamente delusa negli occhi. Non potevo
farlo. Terapia, medicinali. Avrei potuto sopravvivere sei mesi. Forse. Se solo
avessero visto quel tumore prima, invece di scambiarlo per qualcos’altro, non so
nemmeno io cosa. Da quel momento la mia vita ruotava intorno alla terapia e ai
“se solo” a cui continuavo a pensare.
Tu mi hai
salvato. Mi hai dato la vita laddove altri stavano cercando di togliermela.
Io capisco.
Ogni
qualvolta mi guardavi negli occhi sapevo che c’era sotto qualcosa. Tutte quelle
volte che mi guadavi con occhi pieni d’amore dicendomi che sarebbe finita
presto. Quando mi tenevi la mano di notte quando non riuscivo a dormire. Quando
mi asciugavi le lacrime dopo la terapia. Quando cercavi di farmi ridere anche se
un altro giorno era passato e io mi vedevo la vita scorrere davanti agli occhi
troppo in fretta per poterla fermare.
Ma io ti
amavo. E ti amo ancora di più oggi.
Qualunque
cosa avessi fatto io ti avrei perdonato perché ho fiducia in te.
Qualcuno dice
che l’amore copre gli occhi e annebbia la ragione. Secondo me ti fa solo vedere
la vita da un altro punto di vista. Più bello. Un mondo migliore.
Era accanto
al mio bicchiere dell’acqua. La siringa che hai usato per me. E una boccetta di
liquido trasparente. Non so cosa sia. Ce n’è un’altra poggiata su un vassoietto.
È ancora piena.
Mi sento
galleggiare sopra il letto. Leggera. Inconsistente. Come un vento. Un vento che
soffia sulla terra, sulla gente. Sono vicina a tutti quelli che mi amano. Io
sono un vento. E posso star loro accanto mentre mangiano, mentre dormono, mentre
lavorano. Anche mentre piangono per me. Io sono lì che veglio su di loro.
Mi si è
annebbiata la vista. Non riesco più a distinguere i tratti del tuo viso. Ti
leggo le labbra. Staremo insieme per sempre. E poi aggiunge un’altra parola.
Scusa. Io sorrido debolmente.
È vero. Mi
hai uccisa. Ma io ti ho già perdonato. Ti amo. Mi ami. Questo è quello che
conta.
Un’ultima
lacrima accompagna l’ultimo respiro della ragazza. Il ragazzo la raccoglie con
un dito e se la porta alle labbra. Poi si sdraia accanto a lei e la prende tra
le braccia. Il contenuto della siringa si perde nel suo corpo e mentre sente che
la sua anima si sta ricongiungendo a quella dell’amata, le da un ultimo bacio.
Non un bacio d’addio, ma di arrivederci.
Insieme. Per
sempre.
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