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Non sapeva perché
provasse quel che provava, né dov’erano finiti
tutti i suoi ideali di purezza del sangue e altre stupidaggini simili,
ma lei gliel’aveva avvisato, una volta.
“Attento, Furetto,
finirai per caderci con tutte le scarpe.”
“Le mie scarpe
costano troppe e non le sporcherò di fango
babbano.”
“Vuoi dire che le
tue mani non valgono tanto, visto che le bagni con il mio
piacere?”
Eppure, erano mesi che provava
quel sentimento per lei. Per lei che chiedeva conferme, ma non ne
riceveva, perché lui non era mai stato capace di esprimersi:
se mai aveva provato interesse per qualcuna, lo aveva dimostrato
avvolto nelle sue lenzuola.
Ma con lei era amore e lo
sapeva. Per questo, prima di provare piacere per sé, ne dava
atto anche a lei, che riusciva ad eccitarlo solo passandosi
innocentemente la lingua sulle labbra.
Scosse la testa, tornando a
immaginarla dormire in quel letto, nella tana delle serpi.
All’inizio si era
chiesto perché lei avesse mosso quei passi verso i suoi
nemici, ma poi aveva capito e si era arreso di fronte alla
sincerità di quelle iridi dorate, di fronte alla tacita
richiesta di amore che la sua pelle candida aveva riservato per lui.
Non sapeva se
l’avesse fatta male, la prima volta, se non era stato
delicato o se, invece, era stato troppo pretenzioso verso quel corpo
che, di donna, aveva solo la forma.
Tutti i suoi dubbi,
però, erano andati scemando nelle conferme che lei gli
regalava ogni notte, con i suoi rantoli di piacere e i suoi umori
attorno al suo desiderio pulsante e vivo.
Sembrava sempre una lotta
contro il tempo che correva più veloce di loro; una lotta
contro l’alba che troppo presto rischiarava il cielo su
Hogwarts. Ma lei aveva sempre cercato di vincere e ci era riuscita
egregiamente.
Solo che, con il passare dei
mesi, lei aveva rallentato i suoi passi e non era più la
pecorella smarrita che si era rintanata nel baratro del lupo.
In fondo, cosa ci aveva
guadagnato, lei, ad innamorarsi di lui?
Nemmeno la metà di
quello che aveva guadagnato lui ad ammettere i suoi sentimenti per lei,
perché lui era codardo e si sarebbe nascosto sempre dagli
altri, perché lui, piuttosto che chiedere, preferiva
raggirarla per la pura paura che lei gli dicesse di no.
Solo che lei non gli diceva
mai di no: lo guardava con un sorriso dolce stampato in viso e, poi, si
avvicinava a lui e gli posava un leggero bacio sulla tempia.
“Va
bene.”gli rispondeva, qualsiasi fosse la sua richiesta. O
quasi.
Un fruscio fuori dalla
finestra attirò la sua attenzione, dando vita ad
un’effimera illusione che, quel suono delicato, nascesse dai
movimenti che lei compiva, delicati e sensuali, anche nel sonno.
Però lei, quella
notte, non era nel suo letto. Non era con lui, non era per lui, non era
di lui.
Chiuse i pugni attorno ad un
ricordo che aveva tenuto di lei, aspirandone l’odore mielato.
La cravatta rosso e oro si spiegazzò nella sua stretta e lui
sorrise, correndo in quei ricordi che, ogni notte, amava rivivere.
Sorrideva perché,
tutto quello che stava provando era cominciato nel momento in cui aveva
odorato dell’Amortenthia fatta dalla Parkinson, stupida e
illusa ragazza, che voleva farlo innamorare di lui.
Allora, quando ne aveva
aspirato abbastanza, si era reso conto che l’odore di quella
pozione era cambiato: sapeva di grano, di sole, di estate e di libri.
E, in tutto il mondo magico,
solo una persona aveva quell’odore e lui l’aveva
anelato una sola volta, ma gli era bastato perché gli
entrasse dentro e lo facesse innamorare di lei.
Era stato un dolore quasi
fisico ammettere a se stesso quello che, ormai, persino lei aveva
capito e per quel motivo lo prendeva in giro, ma senza cattiveria.
Lui la baciava e lei lo
lasciava fare, poi rideva e gli faceva presente il fatto che, a lungo
andare, sarebbe diventato dipendente di quel gioco in cui sembrava che
nessuno dei due volesse perdere.
Come al solito,
però, Draco non aveva ascoltato gli altri e si era lasciato
trascinare in una situazione che era estremamente a suo sfavore.
Tuttavia, da bravo Malfoy qual era, avrebbe rigirato tutto a suo favore.
E sembrava anche esserci
riuscito visto che lei, nonostante i suoi freddi calcoli e le sue
occhiate gelide che non lasciavano trapelare emozioni, si dimostrava
sempre cedevole; aveva continuato ad amarlo con tutta se stessa ed
aveva lasciato perdere i pregiudizi degli altri che cercavano di
allontanarla da lui.
Era rimasta con lui, per
lui, perché, anche senza rendersene conto, lei gli
stava facendo toccare le rive di quel lago in cui lui credeva di dover
annegare.
Solo che con la sua codardia
aveva rovinato tutto ed era tornato ad allontanarsi dalla riva, dalla
terraferma, per finire di nuovo a sentire l’acqua nei polmoni.
Respirava a fatica lontano da
lei, ma non lo avrebbe ammesso a nessuno, soprattutto a
lei.
Si rigirò nel
letto, in quelle coperte che avevano ancora l’odore di lei e
dei suoi capelli scompigliati sul cuscino.
Gli sembrava quasi di vederla,
mentre gli solleticava il braccio con le unghie mangiucchiate durante
le lezioni, gli occhi illuminati dall’amore che provava per
lui, le labbra che disegnavano un sorriso leggero e gentile. Quel
sorriso che lo faceva sciogliere e gli faceva avvertire un calore, fino
ad allora sconosciuto, all’altezza del petto.
Sorrise, ancora una volta,
stringendo la sua cravatta.
Chissà cosa stava
facendo in quel momento, lontana da lui.
Una domanda, quella, che gli
attanagliava anche lo stomaco, facendogli provare dolore in tutte le
ossa.
Non si faceva neanche sfiorare
dall’idea che quel Weasley le fosse accanto,
perché, se solo lo avesse pensato, sarebbe andato fin
lì a spezzargli le ossa.
Come aveva fatto ad
innamorarsi di lei? Soprattutto, quando si era
innamorato di lei? Non lo sapeva e non voleva saperlo, forse per paura
di ammettere che lo era da sempre.
Nella sua mente,
l’idea che l’avesse sempre derisa perché
l’aveva sempre desiderata cominciò a crearsi uno
spazio tutto suo, nell’angolo di quei pensieri che presto
sarebbero diventati certezze.
Quella notte, sarebbe rimasto
da solo e ammise di avere paura.
Draco Malfoy odiava avere
paura, ma lontano da lei era sempre così: aveva sempre
pensato di potercela fare da solo, che non avesse bisogno di qualcuno
su cui contare, con cui parlare e, invece, era arrivata lei ed aveva
sconvolto tutto.
Non si sentiva
all’altezza di amarla, lui che l’aveva sempre
disprezzata e l’aveva fatta soffrire, ma sentiva di dipendere
da lei. Inevitabilmente.
***
Il cielo era intriso di nuvole
cariche di pioggia. Grigie, come le iridi di Draco.
Prima di trovarlo a pochi
centimetri dal suo viso, con il respiro affannato a causa del bacio che
le aveva dato, Hermione non si era mai soffermata a guardarlo,
perciò, la prima volta che vide i suoi occhi, rimase a bocca
aperta: per sentito dire, sapeva che fossero chiari e grigi, ma mai
avrebbe pensato che potessero essere così profondi e pieni
di un desiderio che li rendeva grigi come il cielo in tempesta.
Sospirò, quasi
dolorante, quando si rese conto che quell’essere infimo e
bastardo era diventato il primo pensiero del mattino,
l’ultimo della sera. Il pensiero fisso delle sue giornate,
l’unica costante a cui sentiva di potersi aggrappare.
Eppure, per lui non sembrava
essere lo stesso, nonostante le cose tra di loro fossero cambiate
totalmente: si erano odiati nei corridoi della scuola e così
continuava ad essere agli occhi di tutti gli altri, ma, in quelle
lenzuola, il mondo non esisteva e lui si sentiva libero di amarla.
Forse, il suo poteva anche
essere un sentimento sincero, ma Hermione era convinta che la vergogna
che provava a farsi vedere con lei era più forte di quello
che provava per lei.
Non sapeva cosa fosse successo
in quei mesi, cos’era stato ad allontanarli prima, ad
avvicinarli poi ed ad allontanarli ancora, senza la
possibilità di uscire da quel circolo vizioso.
Non sapeva neanche cosa
l’avesse fatta innamorare di lui, perché tutto
quello che amava, probabilmente, non era mai esistito o, forse,
esisteva solo in quel letto in cui lei si sentiva amata, desiderata,
bella, sua. La sua Granger.
Piccole gocce di pioggia
cominciarono a rincorrersi lungo le vetrate e lei le osservò
a lungo, persa nei pensieri e nei dubbi che le impedivano di pensare
con lucidità, poi, scese per dirigersi in Sala Grande a fare
colazione.
Erano tutti lì e
molti dei presenti la stavano osservando, ma lei avvertiva un solo
sguardo sulla pelle, perciò alzò gli occhi e
trovò conferma alle sue ipotesi.
Sorrise e guardò
altrove. Un sorriso rivolto a lui, ma che, forse, Draco non aveva
neanche visto.
Si sedette e si strinse nelle
spalle ad una constatazione ovvia di Ron: che fosse in ritardo lo
sapeva anche lei. Lei sapeva tutto di tutti, più o meno;
erano gli altri a non sapere nulla di lei.
Di lei e di Draco Malfoy.
Di lei e di Draco.
Aveva cominciato a chiamarlo
per nome, senza neanche imporlo a se stessa: era stato un passo
naturale, nel terreno dell’incertezza di quella storia mezza
clandestina e mezza imprevedibile, ma si era mossa con cautela.
Lui non aveva mai smesso la
sua maschera, né aveva cominciato a chiamarla per nome, ma,
nella sua voce, alla cattiveria si era sostituito un calore con cui lei
amava scaldarsi.
Fino a che le cose non erano
cambiate.
Per questo, più che
mai, evitavano di punzecchiarsi. Lei si sentiva colpevole quanto lui ad
aver perso le redini di quella situazione, ma sapeva fin
dall’inizio che non sarebbe potuta finire bene: nessun lieto
fine, nessun “vissero per sempre felici e
contenti”, nessun principe azzurro e nessuna principessa che
si risvegliava con un bacio d’amore.
Era stato un po’
come risvegliarsi da un sogno che sembrava essere bello,
all’inizio, ma che si era rivelato essere il peggiore degli
incubi.
Il Serpeverde Purosangue era
rimasto tale, e lei era sempre la Grifondoro dal sangue sporco che gli
sporcava l’aria.
Avvertiva, comunque, la sua
mancanza, ma l’avrebbe rinnegato fino a stare male da morire.
O, forse, una parte di lei era
già morta nel momento in cui aveva chiuso la porta di quel
dormitorio, giù ai sotterranei.
“Cosa è
cambiato, Granger? E’ sempre stato così.”
“Ed io non voglio
più che sia così.”
”Non posso accontentarti.”
“Avevi giurato che
mi avresti accontentata sempre.”
”In questo caso non posso.”
”Non puoi o non vuoi? Sai, c’è una bella
differenza tra le due cose.”
“Tutt’e
due.” ammise, serio, con un’espressione
indefinibile sul volto.
“Bene.”
“Cosa
succederà ora?” aveva chiesto, con voce decisa e
ferma, ma che, in realtà, nascondeva il tremore che lei gli
vedeva scuotere in corpo.
“Tornerà
tutto come prima…”
“Allora, torna a
letto…”
“Prima di questa
cosa.”
”Non dormirai con me?”
”No.”
“Resterai ancora un
po’?”
“No.”
”Tornerai domani?”
“No.”
Sembrava piegarsi un
po’ di più ad ogni risposta negativa, come lei
sentiva di non potersi reggere ancora in piedi ancora per molto, mentre
gli diceva addio.
“E’
finita?”
”Sì.”
L’unica risposta
positiva che gli aveva dato era stata mille volte peggio di tutti quei
“no.”
Draco alzò lo
sguardo e le aprì la porta, invitandola con la mano ad
uscire da quello che, per mesi, era stato il teatro del loro amore.
Un teatro in cui non dovevano
fingere di essere attori, ma erano i protagonisti reali di quelle
notti d’amore meraviglioso.
Con le lacrime agli occhi,
Hermione aveva richiuso la porta, attirandola a sé, ed era
andata via. Lontano da quel dormitorio, lontano da lui, lontano da
quell’amore insano.
Era già sera quando
smise di piovere.
Hermione Granger lo aveva
saputo dal primo momento che i sentimenti che nutriva nei confronti di
Draco Malfoy l’avrebbero ferita, ma un graffio in
più sulla pelle era un prezzo che avrebbe pagato volentieri
per un po’ di felicità da condividere con lui.
Quando qualcuno le strinse il
polso, Hermione cercò di raccogliere la bacchetta che
portava sempre sotto il mantello, ma un’altra mano le
bloccò i movimenti.
Sentì il suo cuore
accelerare e allora capì che non c’era motivo di
provare paura.
Solo rabbia, quella
sì.
“Cosa
vuoi?” gli chiese, spostando il viso quando lui
cercò di fissarla negli occhi.
Era da tempo che non la
guardava negli occhi quando la distanza tra loro era compromettente.
“Guardami.”
l’autorità, nella sua voce, aumentò la
voglia di non ascoltarlo. “Ti prego…”
Così, Hermione
alzò lo sguardo e si rese conto che quello era
l’unico lago in cui avrebbe voluto affogare.
“Ti sto
guardando.”
”Io ho capito.”
“Non credo, ma, in
fondo, è meglio così, no?”
”Non proprio, Granger.”
“Cosa
c’è di peggio?”
”Non tante cose, in realtà… anzi, forse
hai ragione tu.”
“Infatti. Ricorda
che le tue scarpe sono troppo costose per sporcarle con fango
babbano.”
“E tu”
disse, avvicinandosi pericolosamente, consapevole
dell’effetto che aveva su di lei. “ricorda che le
mie dita si sono bagnate di te.”
Lo vide ghignare, di un ghigno
dolce, nel momento in cui sentì il calore
dell’imbarazzo soffermarsi sulle sue gote.
“Non lo ricordo
nemmeno.”
“Ah no?”
”No.”
”Vuoi che ti rinfreschi la memoria?”
“Dubito che
riusciresti a farlo.”
“Cos’è
cambiato?”
“Non lo so e non
m’importa.” sapeva che come bugiarda valeva davvero
poco. Sapeva anche, però, che quella bugia
l’avrebbe salvata dal dare spiegazioni a se stessa, in una
situazione che non era spiegabile né con la logica
né con la fantasia.
“A
quest’ora non dovresti essere per i corridoio della
scuola.”
“Neanche
tu.”
”Io sono un prefetto.”
”E questo è il mio turno di ronda,
perciò…”
“E’ una
minaccia?”
”No, è un dato di fatto, Malfoy.”
Dire quel cognome era stato
difficile quanto ingoiare il dolore di un pugno.
Aveva visto gli occhi di lui
spalancarsi per un attimo e, allora, il dolore era diventato
più forte. Poi, Draco era tornato alla sua maschera di
strafottenza e lei a quella da maestrina tutto sapere.
“Ah,
Granger… hai lasciato la tua cravatta nel mio
letto.”
“Fottiti,
Malfoy.”
Si era avvicinato a lei,
posandole una mano dietro alla nuca, attirandola a sé e
dandole un bacio sulla fronte, poi, era andato via.
Sentiva ancora il calore nel
punto in cui Draco aveva poggiato le sue labbra. Un calore che le
infiammava l’anima, un calore a cui non aveva smesso di
essere abituata e che la faceva sentire viva.
***
Si sistemò nel
letto, tirando a sé le coperte che scivolavano dal lato
opposto.
Le narici ancora piene del
profumo di Hermione, le orecchie che ancora producevano l’eco
della sua voce e quella brutta sensazione allo stomaco che aveva
provato quando lei l’aveva chiamato con il cognome, come
aveva fatto negli anni precedenti.
Intorno a lui, la notte era
vellutata e il cielo era puntellato di stelle – lo aveva
visto prima di rientrare nel suo dormitorio - ed aveva espresso il
desiderio che lei tornasse.
Non l’aveva chiesto
a lei, no. Lo aveva chiesto alle stelle che, silenziose, brillanti e
strafottenti, lo guardavano dall’alto delle loro migliaia di
anni.
La porta emise un suono
morbido, richiudendosi e lui sorrise.
Sapeva che, senza di lei,
prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti con quella parte di
sé che la vedeva ovunque, ma non credeva che quel giorno
sarebbe arrivato tanto presto.
Sentiva l’odore dei
suoi capelli e la loro morbidezza sul petto, il suo respiro caldo sulla
pelle e la sua voce. Quella voce che, più di qualsiasi
musica, lo faceva volare lontano dalle sue paure.
“Buonanotte,
Furetto…”
“Buonanotte,
Mezzosangue.”
Aveva avuto paura di perdere -
e lui odiava avere paura -, ma quando era successo, gli era sembrato
che non fosse cambiato niente né in lui né
all’esterno del suo corpo. Apparentemente,
almeno.
In realtà, Draco
sapeva bene che indossare quella maschera di strafottenza di fronte a
lei, accompagnando la consapevolezza che non fosse più sua,
sarebbe stato difficile e anche inutile, forse.
Ed ora, in quel frangente di
felicità che credeva un dono della sua follia,
desiderò che fosse quella sua realtà: Hermione
addormentata tra le sue braccia.
Non sapeva, però,
che al suo risveglio, quella realtà sarebbe rimasta
lì, e avrebbe aperto gli occhi su quelle lenzuola in cui
tante volte si erano donati se stessi, senza probabilità di
ritornare a quelli che erano stati un tempo.
Perché -
Draco ormai ne aveva fatto una teoria - negli anni passati, su di loro
era stato fatto uno strano incantesimo che li spingeva ad odiarsi e,
quando lui si era reso conto che, in realtà,
l’amava, l’incantesimo si era spezzato.
Angolo Autrice:
Buona domenica a tutti!!!
Questa cosetta avrebbe dovuto partecipare ad un contest che ho perso di
vista da un po' di tempo, ma ne vado abbastanza fiera,
perciò sarete voi i giudici! Che onore, eh?
L'ho scritta tenendo conto del carattere reale dei personaggi: niente
OOC, niente romanticherie fuori posto.
Spero che vi piaccia.
Un bacio, la vostra Exentia_dream
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