Riflessioni davanti a uno specchio
Riflessioni davanti a uno specchio
Mi mancheranno i campi giochi e gli animali e i lombrichi nella terra,
mi mancherà il comfort della mamma e il peso del mondo,
mi mancherà mia sorella, mio padre, il mio cane e casa mia,
e sì, mi mancherà la noia, la libertà e il tempo passato da sola. *
Quella si sarebbe prospettata una lunga giornata.
Ero sveglia da prima
dell’alba e, secondo il cliché della sposa perfetta, le
mie poche ore di sonno erano state tormentate dall’agitazione.
Poi, a colazione, non avevo mangiato niente, ma non per la paura di non
riuscire ad entrare nell’abito bianco, bensì a causa della
morsa che mi chiudeva lo stomaco.
Stavo aspettando che mia
madre o mia sorella salissero in camera mia per aiutarmi con il
vestito, ma la porta non si apriva. Sentivo dei rumori provenire dal
piano di sotto, un brusio indistinto di varie voci: gli ospiti stavano
arrivando. Probabilmente la mia famiglia era impegnata a intrattenerli
con il rinfresco e aveva perso la percezione del tempo.
Guardai la sveglia sul comodino. Erano le dieci in punto.
La parrucchiera e la
truccatrice se n’erano già andate e, in quel momento, mi
trovavo da sola con il mio riflesso allo specchio. Continuavo a fissare
i miei occhi castani, che mi guardavano smarriti: non riuscivo a
riconoscermi, così truccata e acconciata.
Strani pensieri sconvolsero la mia mente.
E se, a distanza di anni,
riguardando le foto di quel giorno non fossi davvero riuscita a
riconoscermi? Se mi fossi sentita un’estranea, come se non avessi
vissuto in prima persona quell’evento speciale?
Ero agitata e forse
l’inquietudine era la causa di quelle riflessioni. Non essendoci
nessuno a tenermi occupata, era inevitabile che quei pensieri confusi
si accumulassero nella mia mente
Riflettei su ciò che mi stava succedendo.
Da lì ad alcune
ore mi sarei sposata. Non avevo dubbi riguardo l’uomo con il
quale avrei passato il resto della mia vita: Andrea era il ragazzo
più dolce e premuroso del mondo. Non era un tipo romantico, che mi
regalava mazzi di rose o cose simili, ma sapeva prendersi cura di me e
farmi stare bene. Non era forse ciò che tutte le donne
desideravano?
In effetti, il problema era un altro.
Andrea lavorava come promotore finanziario per una grossa azienda e, qualche mese prima, era stato trasferito a Londra.
Sarei dovuta andare ad
abitare con lui all’estero e la cosa mi preoccupava parecchio. Il
pensiero di essere lontana dalla mia famiglia mi terrorizzava, ma loro
non sembravano averla presa male. Ero sicura che fossero dispiaciuti di
non potermi vedere spesso, ma l’unica emozione che avevano
mostrato era la felicità.
“Tesoro, è
una grandissima opportunità!”, aveva esclamato mia madre,
quando le avevo riferito la notizia del mio trasferimento
all’estero.
“Sicuro”,
aveva replicato mio padre, ma dal suo sguardo era trapelato una
profonda malinconia. D’altronde, ai suoi occhi rimanevo sempre la
sua bambina.
Già, andare a
vivere a Londra era un’opportunità per il mio lavoro di
interprete. Ma che ne sarebbe stato della mia vita?
Appena io e Andrea ci
eravamo fidanzati, avevo iniziato a pianificare tutto. Avremmo comprato
una casa con il giardino, non lontano dai miei; i nostri bambini
avrebbero frequentato le nostre stesse scuole, li avremmo portati al
parco giochi il pomeriggio e in chiesa la domenica; mia madre sarebbe
stata una nonna a tutti gli effetti e avrebbe permesso ai nipotini di
usare i miei giochi di quando ero piccola.
Ma, quando avevo saputo di dovermi trasferire a Londra,
il mondo mi era crollato addosso. I progetti che avevo fatto erano
svaniti, così come sarebbero pian piano scomparsi i ricordi che
possedevo dei luoghi che avevo frequentato da bambina e da ragazza.
Mi sarebbero mancati il
parco dove mia madre mi portava appena uscita da scuola, i cani con i
quali giocavo lì e i lombrichi che trovavo quando scavavo nella
terra assieme ai miei amichetti.
Mi sarebbero mancate le
coccole della mamma, che consolavano le mie lacrime quando piangevo per
un ginocchio sbucciato, o per una delusione d’amore, o per quelle
volte in cui scoprivo che il mondo non era roseo e bello come le favole
facevano credere.
Mi sarebbero mancati mia sorella, mio padre, il mio pastore tedesco e la mia casa.
E sì, mi sarebbe
mancata anche la mia camera e tutti i ricordi legati ad essa: la noia,
la libertà e il tempo passato da sola ad ascoltare canzoni
malinconiche e a struggermi nel mio dolore.
Fermai il fiume dei
pensieri che stava cercando di sopraffarmi, tentando allo stesso tempo
di non far scendere le lacrime, altrimenti il trucco si sarebbe
rovinato.
Le mie riflessioni mi
avevano resa triste in modo controproducente. Affliggermi così
rendeva le prospettive della mia vita futura cupe e infelici.
Ma cavolo, stavo per
sposare l’uomo dei miei sogni! Anche se fossi andata a vivere in
capo al mondo, avrei sempre avuto lui al mio fianco.
E poi, il cambiamento del
luogo in cui avrei abitato non doveva modificare i miei piani. Avrei
potuto avere lo stesso futuro, anche se in una città diversa. Ci
sarebbero stati altri parchi giochi, cani e lombrichi; sarei stata io
la mamma che avrebbe coccolato i propri figli per un ginocchio
sbucciato o per una pena d’amore; avremmo potuto prendere un
pastore tedesco, che potesse fare parte della famiglia; avrei potuto
consolare il dolore dei miei figli quando si struggevano nel dolore
chiusi nella loro camera.
Guardai la sveglia sul comodino. Erano le dieci e diciannove.
Qualcuno bussò alla porta. “Tesoro, posso entrare?”.
Mi assicurai che sul mio
viso non ci fossero i segni delle mie riflessioni, poi risposi di
sì. Mia madre entrò e mi diede una mano ad infilarmi il
vestito.
Restai a fissarmi allo
specchio per un minuto con il lungo abito indosso. L’effetto del
vedermi specchiata fu diverso da quello di prima: in quel momento
sapevo di essere io quella riflessa; ero conscia del fatto che, se
avessi guardato le foto del mio matrimonio a distanza di anni, mi sarei
riconosciuta, non sarei stata un’estranea.
Mi sentivo davvero pronta ad affrontare il mio futuro.
Uscii dalla stanza, accompagnata da mia madre, consapevole di una cosa.
La mia vita sarebbe cambiata totalmente, ma allo stesso tempo sarebbe rimasto tutto come prima.
Diciannove
minuti bastano per falciare il prato davanti casa, tingersi i capelli,
cuocere al forno i biscotti, ordinare una pizza e farsela consegnare.
Ma diciannove minuti bastano anche per convincersi che la vita che si
è scelta per se stessi sia la migliore che si possa desiderare.
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* La citazione è tratta dalla traduzione del testo della canzone "Time to pretend" degli MGMT.
Nota dell'autrice
Questa storia ha partecipato al Nineteen Minutes Contest indetto da hhhavoc e al contest And the winner is... indetto da Dark Aeris nel forum di EFP.
Il primo concorso (non andato - ahimè - a buon fine a causa di
pochi partecipanti) richiedeva, basandosi sul testo di una canzone, di
scrivere una storia in cui accadesse un evento importante in 19 minuti
(ecco spiegato il titolo del contest). Mi sono soffermata su una strofa della
traduzione del testo che mi ha colpito particolarmente (quella che si trova dopo il titolo) e su quella ho costruito
la mia storia, che di per sé non c’entra niente con il titolo della canzone né
con la totalità del testo.
Il secondo concorso si svolgeva come una sorta di notte degli Oscar,
con nomination e premi (idea davvero originale! :D). La mia storia non
ha purtroppo vinto alcun premio, ma sono comunque orgogliosa
delle nomination che ho ricevuto:
Miglior personaggio protagonista femminile:
Questa protagonista è di un'intensità pazzesca. In poche righe si riesce ad
entrare nella sua mente in modo fluente, senza che i suoi pensieri possano
sembrare, anche solo per un momento, incoerenti o strani. E' semplice, è
spaventata, è umana in tutta la sua essenza. E ciò che attraversa la sua mente
è così normale, così facilmente comprensibile per il lettore, che non si può
che essere d'accordo con lei e condividere i suoi sentimenti.
Premio lacrima d'oro
Migliore Citazione
Mi sarebbero mancati il parco dove mia
madre mi portava appena uscita da scuola, i cani con i quali giocavo lì e i
lombrichi che trovavo quando scavavo nella terra assieme ai miei amichetti.
Mi sarebbero mancate le coccole della
mamma, che consolavano le mie lacrime quando piangevo per un ginocchio
sbucciato, o per una delusione d’amore, o per quelle volte in cui scoprivo che
il mondo non era roseo e bello come le favole facevano credere.
Mi sarebbero mancati mia sorella, mio
padre, il mio pastore tedesco e la mia casa.
E sì, mi sarebbe mancata anche la mia
camera e tutti i ricordi legati ad essa: la noia, la libertà e il tempo passato
da sola ad ascoltare canzoni malinconiche e a struggermi nel mio dolore.
Visto che siete arrivati fino a qui, sorbendovi i miei sproloqui e
vaneggi vari, sarei molto contenta se mi lasciaste un commento piccino
piccino! :)
Hope you enjoyed it! :D
Chiara
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