Lil' prosa.

di addo
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E improvvisamente sentì colpire lievemente la sua porta. Si avvicinò insicuro. Non aprì. Tornò al suo letto, ma subito ricominciò quel bussare crepitante e fastidioso. Ancora era fortemente indeciso quando balzò da quel letto nell'angolo e spalancò la porta. Nessuno ovviamente. Come al solito era una proiezione della sua mente malata e ormai ben oltre l'esaurimento. Si accostò alla porta, l'annusò e la leccò. Era fredda e dolciastra, ma stranamente lo teneva lì, stupidamente, con la lingua di fuori. Poi richiuse la porta e stravaccò sul letto. Ma il bussare, di nuovo, cominciò. Stavolta sorrise e si fece travolgere da quel suono picchiettante. In un attimo si trovò coinvolto in qualcosa che forse era più grande di lui. Un sogno talmente reale da sembrare tangibile. Quelle atmosfere rosa antico lo catturarono immediatamente. Sembrava un dimora ottocentesca e fortemente sfarzosa. Riaprì gli occhi per non essere completamente rapito da quel mondo che nella sua testa toglieva sempre più spazio alla realtà. Ma il rumore restava lì. Forse non era solamente pazzia la sua. Magari era lucido, era una follia razionale. Ad un tratto la porta si aprì da sola… C'era qualcuno sulla soglia. Si aveva un camice. Dietro di lui comparvero altri due uomini. Anche loro con i camici. Erano ovviamente lì per lui. Si avvicinarono e quello in mezzo tra i tre, da dietro i suoi occhialetti rettangolari, disse:"Tocca a te ora Andrea. Tocca a te. Non sentirai niente tranquillo". Andrea immediatamente capì che non era pazzo, che non era su un letto, nè in una stanza e ovviamente non c'era neanche una porta. Ma ormai era tardi il veleno che quell'uomo gli aveva iniettato era già in circolo. Irradiò subito tutto il corpo. Formicolio. Torpore. Buio. Fine.




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