Denti

di Ezrebet
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In certi momenti, avrebbe voluto gridarlo. Gridarlo forte in faccia al suo personale carnefice tutto l'odio, tutto lo schifo che l’aveva invasa nell’attimo stesso in cui aveva capito.

Era arrivato come un pugno nello stomaco, di quelli che tolgono il respiro, che costringono a piegarsi, a cercare l’aria, a lottare per restare in piedi. O la punta di un coltello, che si era fatta largo nelle sue carni rapida e precisa.
Alcune volte, lo sognava, quel grido trattenuto che la stava divorando da dentro e la costringeva a svegliarsi di soprassalto, il cuore impazzito, il sudore che impregnava le vesti e le lenzuola. E durante il giorno, sentiva i suoi denti morderla, tenerla  come un cane affamato; sentiva le sue spire, come quelle di una medusa che avvolge e avvelena.
E si chiedeva quando il  grido muto e privato, che, come uno sgradito ospite, dimorava in lei, si sarebbe spento, liberandola infine dal morso di quel doloroso addio.







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