that smile - cap. 1
Piccola nota: questa storia si ispira al bando del concorso [Original Malefica 1] L'ala e... il Gatto,
di Eylis. Tutta la storia gira attorno al numero 7: la lunghezza deve
essere di 7777 parole, sette capitoli, sette personaggi e da sceglier
sette elementi fra quelli elencati.
Sono stata così furba da no
riuscire a consegnare in tempo, sbagliando la data di consegna, e
quindi sono finita fuori concorso X°D
Buona lettura!
• Lunghezza: 7777 parole, sette capitoli
• Genere: nonsense (più avanti), dark, sovrannaturale
• Avvertimenti: non per stomaci delicati.
• Rating: arancione.
• Personaggi: Lei, Lui, il Gatto, la Ballerina, il Demone, il Sussurro e il Tamburello.
• Elementi malefici scelti: fessura, ferita, arabesco, catena, velo, tamburello, foglia.
• Credits: il titolo è preso da una frase di una canzone dei Within Temptation, Angels.
• Note dell'autore:
sono in vena di cose vagamente psycho e dalle atmosfere tetre e buie.
L’avviso non per stomaci delicati è messo lì
più per precauzione che per altro, essendoci un po’ di
sangue in giro.
Il titolo del primo capitolo
coincide con quello della storia e ha sette parole. Che man mano
diventano sempre meno, come un conto alla rovescia. Sempre a proposito
dei capitoli, sono numerati in modo scombinato apposta, indicando, in
qualche modo, la successione temporale degli eventi. Spero non sia
troppo confusionario.
THAT SMILE WHEN YOU TORE ME APART
I. That smile when you tore me apart
Sorrideva.
Costantemente, impunemente.
Continuava a sorriderle mentre le si mozzava il respiro, mentre le
acute stilettate di dolore le impedivano perfino di urlare.
Annaspava fra le sue braccia,
artigliandogli la schiena e le spalle mentre lui continuava a
stringerla a sé, a lacerarla. La sua espressione rimase
imperturbabile quando il sangue di lei gli imbrattò le braccia,
schizzando sul pavimento e tingendolo di un rosso cupo e violento.
Rimase imperturbabile di fronte agli occhi terrorizzati della ragazza e
al rumore viscido della carne strappata.
La osservò tentare di
liberarsi dalla sua presa, sgranare gli occhi al sordo spezzarsi
dell’osso, accasciarsi quasi esanime ai suoi piedi, rotta,
incapace di sopportare oltre.
E sorrideva.
La guardava compiaciuto mentre
rantolava a terra, agonizzando per la ferita subita, sempre con quel
suo sorriso vagamente accondiscendente, vagamente comprensivo e
crudele, mentre la sua mano ancora stringeva convulsamente un’ala
bianca imbrattata di sangue.
Lasciò cadere a terra
il suo trofeo e le si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco e
sovrastandola appoggiando il proprio peso sulle mani, poste a sfiorare
le spalle della ragazza.
Una grande crepa sul soffitto
roccioso procurava all’ambiente l’unica luce e allo stesso
tempo rappresentava l’unica entrata e l’unica uscita di
quel regno buio e martoriato. E quella luce, quella stessa luce in cui
era vissuta fino a quel momento, ora appariva malevola, mentre
eclissata dal volto di lui gli avvolgeva la nuca quasi fosse
un’aureola.
Bugiarda.
Tremava per gli spasmi e per
il terrore, per l’ansia e il tradimento subito. Voleva scrutare
la sua espressione, ma allo stesso tempo non voleva rivedere quel
sorriso così contrastante con ciò che aveva fatto.
Così beffardo. Così frustrante.
Così soddisfatto.
Scorgeva solo il lieve
baluginio degli occhi, forse l’unico particolare che rivelava la
sua vera natura, mentre tutto il resto si fondeva con
l’oscurità.
Falso.
Anche così andava bene. Anche così era bella.
Le sfiorò il collo,
immergendo le dita nei capelli mogano che riflettevano il buio della
grotta e l’afferrò per la nuca, sollevandole il viso
all’altezza del suo. La baciò con irruenza.
Un bacio violento, velenoso, avido.
Lei non riusciva a ribellarsi,
non poteva ribellarsi. Non aveva più forze nemmeno per una
lacrima, e lo lasciò fare, rinunciando a graffiargli le braccia
e ferirgli le labbra.
Si spostò sul collo,
affondando violentemente i denti, e le sfiorò l’orecchio
con quella sua voce penetrante e dolorosa.
“E ora vattene, se ti riesce.”
Lo vide sorriderle ancora una
volta, raccogliere l’ala da lui stesso tranciata e voltarle le
spalle, scomparendo inghiottito dal nulla. O forse era solo la sua
vista che si stava annebbiando.
Ormai non sentiva più nemmeno il dolore.
Rinunciò a tentare di
seguirlo con gli occhi, e tornò a fissare quella beffarda crepa
sul soffitto. Era così vicina, l’uscita.
Era così vicina, e così inaccessibile.
Faceva così… male.
Chiuse gli occhi, sprofondò nel sonno.
Rimase lì, sfinita
dall’agonia, il sangue che continuava ad allargarsi in una
macchia scura e densa, il collo squarciato, piume strappate riverse ai
suoi piedi, i capelli sparpagliati attorno al capo come un’oscura
corona.
Il suo calore ancora addosso, la sua violenza ancora nell’aria.
Era in fondo a un crepaccio, illuminato dal sole invernale, che l’angelo da un’ala sola giaceva inerte.
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