10
10.
LA
CITTÀ
DEI REIETTI
*
Erano
diretti verso una piccola cittadina dimenticata dagli dei che si
affacciava sulla costa a ovest del continente. Guardava direttamente
sul Grande Mare, l’unica barriera naturale che separava i maghi dai
demoni.
Amaya
si era chiesta più volte come dovesse essere Shaula, madre di tutto
ciò che era proibito nel regno dei maghi. Giungevano voci secondo
cui quelle fossero terre morte, battute da un vento così gelido da
somigliare al respiro della Morte. Secondo i più, perfino la natura
risentiva del potere distruttivo dell’energia demoniaca propria
della magia nera, e si diceva che le acque vicino alle coste avessero
assunto molti secoli or sono un colore cupo e scuro, che si
diffondeva lentamente come un cancro. Si diceva che neppure un
singolo raggio di sole riuscisse a penetrare quelle acque così nere
da sembrare maledette, ma Amaya aveva la vaga impressione che fossero
tutte fantasie frutto di gente semplicemente spaventata.
Ogni
cosa sembrava avvolta nel caos e distorta dalla paura, eppure la
Corporazione esercitava un controllo quasi maniacale sulla
situazione: era necessario che la popolazione non si facesse prendere
dal terrore verso il nemico, che pensasse che la situazione era
completamente sotto controllo. Questo è quello che desiderava Amos.
Lui
controllava minuziosamente tutto ciò che accadeva nel regno, lo
sapeva bene, ma non immaginava certo che uno sputo di terra come
quello in cui si trovavano fosse il luogo in cui avvenivano tutti i
traffici illeciti sfuggiti all’occhio vigile del mago.
Silas,
la città dei reietti.
Ora
che vi metteva piede per la prima volta, Amaya si rese conto che era
esattamente come Volker l’aveva descritta durante il viaggio: cupa,
tetra, perennemente battuta dalla pioggia e coperta da coltri di nubi
che nascondevano il sole. Gli edifici dalla forma massiccia si
stagliavano minacciosi a poca distanza dalla scogliera che dava sul
mare, dalla quale giungeva il rumore di onde infrante.
Amaya
sentì un brivido correrle lungo la schiena, e si strinse le braccia
al petto. I vestiti stavano cominciando a inzupparsi, e i capelli
erano ormai appiccicati al viso.
«Ora
dove dobbiamo andare?»
Volker,
accanto a lei, le rivolse un sorriso gioviale, che l’elfa non
restituì.
«A
cercare qualcuno che possa aiutarci. Sai che se sorridessi ogni tanto
saresti più bella?»
Amaya
per tutta risposta sbuffò, alzando gli occhi al cielo. La
disinvoltura nel tono della voce dell’umano e la confidenza che si
stava prendendo la irritavano.
Trattieniti,
ti serve vivo. Fallo per Sari.
«Sta’
zitto e pensa a dove dobbiamo andare» borbottò, cercando di
resistere all’impulso di girare sui tacchi e sbrigarsela da sola.
Volker
per tutta risposta abbozzò un sorriso leggero e cordiale che stonava
con i lineamenti duri e decisi del viso. Aveva già inquadrato il
carattere rigido dell’elfa, ma metterla in difficoltà lo
divertiva.
«Seguimi,
e ricorda che quando arriveremo a destinazione non dovrai mai
allontanarti da me.»
Amaya
non replicò. In quella frase non c’era malizia, né ironia. Era la
prima volta che lo sentiva parlare con una tale serietà, come se
l’argomento fosse davvero importante. Le diede una strana
sensazione, quasi di disagio.
La
faccenda non prometteva bene.
*
Avevano
continuato a camminare in silenzio tra la gente, l’uno di fianco
all’altra. Amaya ne aveva approfittato per lanciare qualche furtiva
occhiata a Volker di soppiatto, studiandolo con attenzione.
A
giudicare dall’aspetto era legittimo pensare che fosse una persona
poco raccomandabile e, in effetti, non ispirava certo fiducia di
primo acchito.
La
benda che gli copriva l’occhio sinistro sembrava addirittura essere
un avvertimento, o almeno ad Amaya dava quest’impressione, ma il
sesto senso della ragazza le diceva chiaramente che non era poi così
terribile come poteva apparire.
Ben
più problematico era il suo atteggiamento, così sfrontato da
rasentare a tratti la malizia. L’idea di dover stare in compagnia
di un buffone come lui non la allettava particolarmente, ma si
rendeva perfettamente conto che non avrebbe potuto continuare a
ignorare a lungo l’umano.
Ma
nulla imponeva una conversazione intima: bastavano anche poche
parole, tanto per rompere il ghiaccio. Decise di fare uno sforzo.
«Quella
da dove arriva?» domandò, indicando la benda. Volker accarezzò il
tessuto nero che gli copriva l’occhio, con un inaspettato sorriso
amaro. Amaya quasi si pentì di aver posto la domanda.
«Mi
ricorda cosa devo fare.»
L’elfa
ritornò in silenzio, guardando la strada di fronte a sé. Aveva la
sensazione di aver toccato un argomento delicato di cui l’uomo non
amava parlare. Decise di non insistere.
«Siamo
arrivati.»
Quando
Amaya sollevò lo sguardo, si accorse di essere all’entrata di
quello che appariva come un locale pubblico. All’esterno, un
nutrito numero di persone occupava l’entrata, ciarlando a voce
alta. Alcuni avevano un aspetto poco raccomandabile, altri avevano
volti contratti in ghigni per nulla rassicuranti, ma Amaya capì
subito che non erano lì per caso.
C’era
chi cercava qualcosa che non poteva essere reperito da nessun altra
parte, qualcosa che era proibito nella maniera più assoluta nel
regno, e c’era chi era lì per concludere qualche affare
interessante. Amaya divenne consapevole di avere mille occhi puntati
addosso che la studiavano, ridevano di lei, così palesemente fuori
posto tra quella manica di criminali.
Si
sentì a disagio.
Volker
la afferrò per un polso trascinandola dentro al locale, e l’elfa
provò un fastidioso moto di gratitudine verso di lui.
Quando
varcò la soglia d’entrata venne sorpresa da una musica
particolare, ammaliante, ma diffusa a volume così alto da ferire il
suo udito sensibile. Con una smorfia si tappò le orecchie, cercando
di proteggersi da quel suono troppo forte per una della propria
razza.
C’erano
persone che ballavano ovunque, in pista o all’interno di gabbie
assicurate al soffitto. Intrugli dai colori bizzarri e luminescenti
vagavano su vassoi trasportati da uomini bellissimi, androgini, e
Amaya si guardò attorno stordita.
«Che
posto è questo?»
«Il
posto in cui troveremo quello che stiamo cercando. Mi raccomando,
stammi vicino.»
Amaya
non se lo fece ripetere due volte,
improvvisamente dimentica della propria
insofferenza verso l’uomo. Si sentiva come un pesce fuor d’acqua,
e aveva l’impressione che se si fosse persa sarebbe stata
agguantata da qualche trafficante di oggetti demoniaci. Si stava già
cacciando in guai non indifferenti e non ne voleva altri.
Seguì
Volker tra la folla, ignorando gli sguardi insistenti che le
scivolavano addosso. Si diressero verso un bancone, dietro il quale
un donnone ben piazzato trafficava con le bottiglie di alcolici.
Quando Amaya si avvicinò abbastanza da poterne vedere i movimenti,
si accorse che gli intrugli che aveva visto passare erano preparati
da lei.
Si
muoveva veloce, precisa, sicura. Non si accorse dei due e alzò lo
sguardo solo quando Volker tossicchiò.
«Non
ti hanno ancora ammazzato?» domandò con noncuranza, ritornando al
proprio lavoro. L’uomo sghignazzò, scuotendo appena il capo.
«Anche
a me fa piacere rivederti Kaja.»
«Non
ti avevano arrestato? Come diavolo hai fatto a fuggire?»
«È
una lunga storia» Volker si strinse nelle spalle, strizzando
l’occhio ad Amaya. «Piuttosto, sai dov’è Zorlan?»
Kaja
guardò Volker, seria in volto.
«Vieni
con me.»
Li
condusse per corridoi accessibili solo al personale. Erano vecchi e
umidi, Amaya lo capì dall’odore di muffa che impregnava le pareti.
Si
chiese dove stessero andando e chi fosse questo Zorlan. Probabilmente
era un pezzo grosso, a giudicare dallo sguardo della donna. Si
fermarono davanti a una porta di legno, alla fine del corridoio. La
musica era diventata null’altro che un rumore lontano.
Kaja
bussò due volte, ma nessuno rispose.
«Capo,
è tornato Volker.»
«Fallo
entrare.»
Quando
Amaya entrò al seguito dell’evaso, si ritrovò in una stanza in
cui l’unica fonte di luce erano delle candele posate qua e là.
Nonostante
la penombra, riuscì chiaramente a distinguere un numero
impressionante di volumi corposi e oggetti dalle forme più
disparate, riposti con cura maniacale nei ripiani di un mobile.
Un
uomo era seduto dietro a un tavolo. Amaya ne colse immediatamente i
lineamenti delicati e armoniosi, di una bellezza squisitamente
elegante. I capelli neri, perfettamente pettinati, risaltavano sulla
carnagione pallida del volto.
A
giudicare dall’aspetto, doveva essere vicino alla mezza età.
«Molte
voci ti davano per spacciato, Volker» esordì l’uomo alzandosi in
piedi, rivelando una lunga tunica di raso nero decorata con motivi
argentati. Quando si accorse di Amaya, un sorrisetto lascivo gli
curvò le labbra.
«E
lei?»
«Lei
è con me, Zorlan. Sono qua perché mi serve un favore.»
L’uomo
annuì, invitando Volker a proseguire con un cenno della mano.
«Ho
assoluto bisogno di avere un drago al più presto, un esemplare
veloce che sappia coprire in breve tempo una distanza abbastanza
lunga.»
Zorlan
studiò Volker, prima di guardare Amaya sospettoso.
«Che
dovete fare con un drago? »
«Penso
che tu abbia sentito la notizia della fuga di quell’assassino da
Artika.»
Zorlan
annuì grave, e Volker indicò Amaya con un cenno del capo.
«Ha
preso in ostaggio una sua amica, e se aiuterò la polizia a
riprenderlo mi faranno fuggire dal regno. »
Contro
ogni aspettativa di Amaya, Zorlan scoppiò in una risata roca.
«E
tu vorresti un drago per cercare dall’alto questo fuggiasco? Non
essere sciocco Volker: ti hanno promesso la libertà, ma dove
potresti andare? Non puoi stare nel regno dei maghi e non puoi
cercare asilo tra i demoni. Lo sai bene questo, sai che non puoi
andare da chi ti ha fatto quello» terminò indicando la benda
sull’occhio sinistro del fuggiasco.
Amaya
all’improvviso capì. Pensò a quello che gli aveva ingenuamente
chiesto riguardo al suo occhio sinistro, e cominciò a pensare a lui
sotto una luce diversa. Per la prima volta, provò pietà per
quell’uomo. Quando lo guardò, si accorse dell’espressione irata
sul viso di Volker.
«Ho
detto che voglio questo drago. Quello che farò poi non è affar
tuo.»
Un
sorriso calcolatore curvò le labbra di Zorlan.
«Non
ti conviene parlare così a chi ti ha aiutato per così tanto tempo.
Ricordati che mi sei debitore, Volker. »
«Ti
sarei debitore se avessi ottenuto dei risultati, ma non sono arrivato
da nessuna parte. Ora per favore, ho bisogno di questo drago.»
Zorlan
rimase in silenzio per un momento che ad Amaya parve interminabile, e
l’elfa ebbe quasi l’impressione che volesse prendersi gioco di
loro.
«Cosa
ti fa pensare che io abbia un drago, Volker?»
«Non
prendermi in giro, abbiamo fatto affari in passato e so…» il
fuggiasco fu interrotto bruscamente da Zorlan. «E se tutto questo
fosse solo un trucco per incastrarmi? Se stessi aiutando la polizia a
catturarci? Credi che sia così sciocco da ammettere di possedere un
drago?»
Amaya
sorrise in silenzio di fronte l’astuzia di Zorlan, e attese di
sentire la risposta di Volker.
«Credi
che farei mai una cosa del genere? Io, a te? Andiamo, lo sai che di
me ti puoi fidare. Aiutami a non tornare ad Artika.»
Zorlan
rimase ancora una volta in silenzio per qualche istante. Volker lo
guardò con aria speranzosa, e quando lo sentì sospirare capì
all’istante di aver vinto.
«Forse
me ne pentirò, ma va bene. Ti darò questo drago.»
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