Questa
roba dovrebbe essere collegata a una roba precedente, tale
“Tagliatelle
e
bignè” che era stata scritta, pensate un
po', per il lontano
p0rn fest 2009. Comunque non credo che la lettura della prima parte
sia indispensabile alla fine della comprensione di questa storia,
anche perché c'è poco da capire.
Per
il Let's Ship again, su prompt del
venerdì, “sciroppo”.
Miele
e limone
Sento
Dario tossire attraverso il muro. Tira certe scatarrate che sembra
debba sputar fuori la trachea da un momento all'altro, con accessi di
tosse lunghissimi da soffocamento. Mi sembra quasi di sentirlo
sussultare da qui, come se tremasse la parete. Me lo vedo, che si
rotola nel letto cercando una posizione in cui la sua gola gli dia
tregua senza riuscirci, per poi ricominciare a tossire forte.
Mi
rotolo nel letto anche io, o in questa cosa che somiglia a un letto
nella specie di sgabuzzino in cui alloggio, temporaneamente, da sei
mesi. Beh, cavolo, un laureato non può certo aspettarsi di
poter
pagare l'affitto, no? Quindi scrocco l'ospitalità della mia
sorella
piaga finché non si sarà stufata e mi
farà sloggiare, cosa che
credevo avvenisse quando io e Dario siamo finiti a letto insieme, ma
miracolosamente non è accaduto. Quando siamo riemersi dalla
camera
lei mi ha fatto giurare che non sarebbe più successo, e ho
mantenuto
la parola. Quasi. All'incirca. Per tre giorni.
Il
fatto è che, insomma, non era previsto che io Dario
finissimo a
letto insieme, voglio dire, lui è eccessivamente troppo
bello per me
e quando sono entrato in casa ed Ofelia ci ha presentati mi
è quasi
partito un embolo, ma mai più avrei pensato di poter avere
una sola,
misera possibilità di scopare con un essere del genere. A
ben
guardare poi la colpa è tutta di mia sorella e della sua
stupida
idea vaneggiante di girare nudi per casa così da liberare
l'io, ed è
sempre lei che è rientrata con le amiche mentre io stavo
sperimentando la sua teoria e perciò mi sono nascosto in
camera di
Dario senza vestiti. Eccetera. Vorrei evitare di ricordare quella
situazione imbarazzante e quella figura idiota, anche se si
è
risolta in modo insperatamente felice.
Insomma,
ogni tanto capita che io diserti i miei fantastici alloggi di cinque
metri quadri per dormire con Dario. Niente di serio, nessun impegno,
io mi sono già fatto abbastanza male quando Marco mi ha
scaricato
come un coglione, non ci voglio ricascare e sì, va bene,
Dario è
assolutamente fantastico ma non voglio farmi castelli,
perché ce
l'ha scritto sulla fronte che le relazioni gli provocano acuta
allergia. Cerco solo di approfittare del momento, tutto lì.
E per
inciso, non è che io stia qui sveglio per qualche forma di
comprensione o partecipazione romantica alle sue sventure, è
solo
che non ho sonno e penso che magari a lui farebbe piacere un po' di
compagnia, è tremendo starsene malati a letto senza poter
dormire e
io soffro d'insonnia cronica.
Quindi
dopotutto potrei alzarmi e andare di là, bussare, chiedere
come va e
fare quattro chiacchiere, niente di più. Sì,
potrei. Ma magari
finirebbe col sembrare una specie di intrusione o qualcosa di
asfissiante e poco opportuno. Quindi rimango qui a pensare che se
fossi tanto così meno vigliacco lo potrei fare. E Dario
tossisce ed
è sveglio anche lui. Me lo conferma il fatto che tutto d'un
tratto
lo sento alzarsi, la porta della sua stanza si apre e il suo passo
saltellante si allontana in corridoio. In bagno, è andato in
bagno.
Pensa,
Samuele, pensa. Sono già seduto mentre realizzo che se ora
mi alzo,
vado in cucina a bere un bicchiere d'acqua e per caso lo incontro non
sembrerà affatto strano. Sembrerà solo patetico,
ma ormai sono già
schizzato in mezzo al corridoio. Ci rimango per qualche secondo,
indeciso tra l'andare al rubinetto e il ricacciarmi nello sgabuzzino
degli ospiti per murarmi vivo, quando la porta del bagno si riapre.
Io, i pantaloni a scacchi del pigiama e la mia mano sulla maniglia
della porta restiamo doverosamente immobili e demenziali mentre Dario
mi guarda intontito. È tutto scombinato, coi capelli
arruffati, la
faccia pesta e le occhiaie sul volto pallidissimo, sudato.
“Che
fai, Sasà?” mormora rauco.
“Bere,”
gorgoglio. “Vado a bere,” ripeto in modo
più intelligibile.
Dario
sospira e dà un colpetto di tosse, annuendo nel tornare
verso la sua
porta.
Di'
qualcosa, Samuele. Qualcosa di decontratto, di gentile e soprattutto
di intelligente.
“Arr...”
Complimenti.
Qualcos'altro,
magari.
“Me
ne porti un bicchiere?” domanda Dario come se non avesse
sentito il
mio raglio, appoggiato allo stipite della porta.
Dio,
anche quaranta.
“Certo.”
Mi
catapulto in cucina, mi avvento sulla bottiglia, decapito en
passant
un pentolino di sugo avanzato facendo precipitare rumorosamente il
coperchio a terra, agguanto due bicchieri e trotterello in corridoio
cercando di avere un'aria serena. Busso alla porta socchiusa.
“Posso?”
“Vieni.”
Dario
si è infagottato sotto il piumone, tossisce ancora mentre
entro,
trema un po'. È bello lo stesso, porco cazzo, non so come
faccia.
“Grazie,”
bofonchia mentre gli passo il bicchiere pieno. Poi sorride
leggermente, arricciando un po' il naso. “Siediti.”
Non
lo dice né con troppa noncuranza né col tono
nervoso che avrei io,
ma come dice tutte le cose, con quel suo tono gentile e trasognato.
“Non
riesci a dormire?” butto lì tanto per non stare
zitto, mentre mi
accomodo su un angoletto del suo materasso. È una domanda
idiota da
fare alle tre del mattino a uno che sta sputando i polmoni da un
giorno e mezzo. Dario me lo conferma annuendo appena prima di
prodursi in un accesso di tosse violenta che scuote davvero tutto il
letto.
“Dovresti
prendere qualcosa,” suggerisco a mezza voce.
Dario
fa una smorfia riprendendo fiato, poi tracanna il bicchiere.
“Non
mi piacciono le medicine. Con le schifezze che ci mettono dentro, e
poi le industrie farmaceutiche e tutto il resto,” risponde
scuotendo la testa, con una vocetta sottile.
Ridacchio
senza potermi trattenere. Demente.
“Almeno
uno sciroppo, sono sicuro che Ofelia ne ha,” riprendo
cercando di
darmi un tono. “Hai la tosse grassa o secca?”
Dario
mi guarda in silenzio. Qualcuno mi faccia star zitto.
“Che
minchia di domanda è?” ribatte, prima di mettersi
a ridacchiare.
“Non lo voglio, lo sciroppo di Ofelia. Come tutte le sue
storie, il
feng shui, la meditazione e l'equilibrio interiore,” e
tossisce di
nuovo, a siglare il suo pensiero.
“Un
giorno devi dirle che quella roba non ti tange.”
“Te
l'ho detto, Sasà. È la mia migliore amica, e a
lei fa piacere
pensare che mi interessi. E poi tanto non l'ascolto neanche.”
scuote la testa, vago.
Il
mio sguardo si è ancorato al pavimento, su un fiocco di
polvere
nell'angolo del muro. Vorrei avere un soggetto di conversazione
pertinente da introdurre e so che ci sono effettivamente un sacco di
cose che io e Dario abbiamo in comune, ma com'è, come non
è, quando
siamo insieme nel mio cervello si fa il vuoto.
“Almeno
miele e limone?” ipotizzo. Non so perché l'ho
fatto, seriamente,
forse dovrei soltanto stare zitto.
“Eh?”
“Miele
e limone... È un rimedio delle nonne. Non è una
medicina, è
solo... Miele e limone,” borbotto.
Dario
mi guarda incerto.
“E
funziona?”
Scuoto
le spalle.
“Calma
l'infiammazione.”
Dario
abbassa la testa e ride piano. Tossicchia, nel farlo, ma non smette.
“Che
tipo che sei,” mormora senza malizia. “Me lo
prepari, papà?”
Rido
anche io, adesso, stupidamente, mentre mi alzo dal letto.
“Certo.”
In
cucina faccio anche il gran gesto di raccogliere il coperchio che ho
fatto cadere. Mentre mescolo il miele e il succo di limone sento
Dario tossire di nuovo, a lungo, poi Ofelia compare zampettando, in
camicia da notte, arruffata anche lei. Mi guarda con la faccia pesta.
“Tiene
sveglio anche te?” bofonchia poi, insonnolita. Al mio
assenso,
sbuffa. “Ci vorrebbe l'eutanasia. Che stai facendo?”
“Miele
e limone,” rispondo vago. Ora Ofelia mi guarderà
storto, dirà che
sono un cretino, che non devo fare lo zerbino e combinare casini col
suo coinquilino.
Invece
la piaga mi osserva in silenzio, e so che sta pensando queste cose ma
non ne dice nemmeno una.
“Lo
sciroppo gliel'hai dato?”
La
maledizione dei gemelli eterozigoti: non ci somigliamo, ma ci
somigliamo troppo.
“Non
lo vuole.”
“Lo
so. Ma te lo prendo lo stesso, magari tu riesci
nell'impresa,”
ribatte lei sparendo verso il bagno. “Sfigato,”
puntualizza.
La
sento armeggiare con l'armadietto, Dario tossisce ancora, io impugno
la mia tazzina e la aspetto accanto alla porta.
“Toh,
tieni,” mi dice, riapparendo in corridoio.
“Ofelia
è sveglia?” gracchia Dario dalla camera.
“Come
tutto il condominio, fenomeno,” risponde lei a voce alta.
“Notte,
Samu.”
Sparisce
nella sua stanza e io ritorno da Dario, sfoderando tazzina di miele e
limone e boccetta di sciroppo.
“Che
rompiballe,” bofonchia lui, e ancora scatarra.
Mi
stringo nelle spalle.
“Ci
teneva,” buttò lì.
Dario
fa un cenno vago, si fa passare la tazzina e io mi siedo di fianco,
automaticamente. Rimango lì a guardarlo mentre ne butta
giù un
cucchiaino, grattandosi la gola. Poi fissa il contenuto della tazza.
“Bono,”
mormora, prendendone un altro po'. “Vegli al mio
capezzale?”
“E'
per l'estrema unzione,” puntualizzo, compito. Dario ridacchia
e mi
sento meglio, mi piace quando lo diverto.
“Ti
va di giocare a Tetris?”
“Certo.”
Tetris:
la prima grande passione che abbiamo scoperto di avere in comune.
Quel vecchio giochino che per la nostra generazione ha il sapore del
mito, dei primi computer, dei pomeriggi infantili e degli sfidoni a
chi raggiungeva il livello più alto. Io e Dario ci giochiamo
insieme, adesso, quando non abbiamo niente da fare. Ci mettiamo
seduti vicini e roviniamo splendide partite.
“Quello
va di là.”
“Ma
no, a destra.”
“No,
no, giralo, giralogiralo!”
“Oh,
ma leva la mano! E leva!”
“Ma
quello va capovolt...e lasciami giocare!”
“Ma
è mia, la tastiera!”
“Molla!”
“E
levati!”
“Ma
sei incapace! Di làaa! Dammi qua!”
Come
al solito.
Quando
il primo schema somiglia per la quarta volta a un'accozzaglia di
pezzi lasciati cadere a casaccio Dario, che intanto si è
fatto fuori
tutta la tazzina, sbuffa accasciandosi sul cuscino.
“Va
meglio,” osserva trasognato.
“Con
lo sciroppo sarebbe meglio ancora,” ribatto di getto.
Dario
mi guarda in silenzio, stringendo le labbra, sospettoso.
“Fammelo
provare. Provare, solo,” precisa solenne.
Gli
passo la boccetta cercando di non sorridere troppo. Dario se la gira
in mano, sospira e la stappa scuotendo la testa.
“Spero
non sia una porcata.”
“E'
naturale.”
Ne
versa un po' nel cucchiaino, storce il naso e butta giù come
se
fosse veleno. Poi sta un po' fermo, si lecca le labbra e mi guarda in
modo quasi mistico.
“E'
buono,” commenta.
“Li
fanno così apposta.”
Dario
scrolla le spalle, sbadiglia e sistema il cuscino.
“Credo
di avere sonno, adesso.”
“Strano,
sono solo le quattro e mezza,” rispondo divertito.
Mentre
faccio per alzarmi, a malincuore, Dario solleva appena la testa.
“Dormi
qua?” chiede, e questa volta persino la sua voce, che di
solito
esprime tutta la calma possibile, suona leggermente incerta.
“Sono
a fette eh, ma solo... Per dormire. È meglio del materasso
buttato
per terra, no?”
Faccio
un po' fatica a deglutire e mi è quasi impossibile
rispondere. Anzi,
è impossibile del tutto, quindi annuisco soltanto mentre
sollevo
piano la coperta per infilarmi sotto, molto cauto, come se mi stesse
per azzannare e mi sdraio con gli occhi sul soffitto. Dario allunga
il braccio e spegne la luce.
È
strano. Non ho mai dormito con Dario così. Di solito
dormiamo
insieme quando scopiamo, ma non è mai successo, finora, che
mi
mettessi semplicemente a dormire lì con lui. Mi fa sentire
quasi a
disagio, e mi stringe un po' lo stomaco. Ma sono solo paranoico,
perché invece Dario sbadiglia, si stiracchia e annega la
faccia nel
cuscino, mugugnando.
“Come
va l'insonnia?” mormora.
“Penso
di potermi addormentare,” rispondo quasi del tutto
onestamente,
abbassando la voce a mia volta.
Dario
inspira profondamente, poi allunga un braccio intorno al mio torace,
è proprio vicino, lo sento respirare contro la mia spalla.
Lo sento
anche grattarsi la gola e poi mettersi a ridere.
“Che?”
non
risponde, ma mi tasta la spalla, e capisco da solo che è
rigida e
tesa come un cavo tirato. Rido nervosamente anche io, senza sapere
bene cosa dire. Dario si rotola dall'altro lato ma non lo toglie, il
braccio.
“Samuele,
a volte mi metti quasi a disagio,” getta lì, con
quella sua
leggerezza.
“Cos...?
No, tu... mi metti a disagio,” ribatto
con molto meno
aplomb.
“Lo
so, per questo mi metti a disagio. Mi rendi nervoso.”
“Io
sono sempre nervoso,” osservo atono.
“Sì,
e infatti...” tossisce piano. “Cazzo, piantala. Se
continuo a
scopare con te evidentemente è perché mi va.
Quindi smettila di
pensare che mi dà fastidio ogni volta che mi parli o di...
fare
finta di andare a bere alle tre di notte per chiedermi se sto bene e
se ho già sputato le corde vocali.”
Fortunatamente,
al buio, non può vedermi diventare viola.
Vorrei
rispondere qualcosa, o forse vorrei solo alzarmi e andare a chiudermi
nello sgabuzzino, perché sono una cosa schifosamente,
incommensurabilmente patetica, e grottesca, e ridicola. Sono un uomo
adulto e mi comporto come un coglione dodicenne.
“Eh...”
mormoro.
Se
prima ero rigido ora devo somigliare a un palo della luce. Dario si
gira nel letto, si puntella sul gomito e lo intravedo proprio accanto
alla mia testa, lì sopra.
“Se
ti bacio ti attacco la tosse,” osserva, di nuovo meditativo,
dariesco. E mi si rompe una cosa, nello stomaco, perché la
differenza tra me e Dario è tantissima e so che non capisce
un sacco
di cose di me, di come sono paranoico e insicuro quando lui
è come
un pascià in qualunque posto e qualunque situazione, e a
volte penso
che sono un idiota e non riesco a concepire come piacergli anche solo
discutere con me, figuriamoci fare sesso, e invece Dario mi lascia
così. Inerme. Così inerme che non ho nemmeno il
minimo controllo di
me, o di quello che faccio e che dico.
“Eh-e
tanto c'è lo sciroppo,” rispondo infatti come un
perfetto ebete e
poi, mentre mi bacia piano, come se mi fosse scoppiato fuori come una
pallottola, “mi sto innamorando di te.”
Che
è la cosa più idiota che una persona possa dire,
nella vita,
soprattutto quando sa che le probabilità di non mettere in
fuga
l'interlocutore sono minime. Ma è venuto fuori da solo,
spontaneo,
nel modo in cui germogliano le piante.
“E
va beh,” conclude Dario scrollando la testa, poi mi bacia
ancora.
Che
non è “anche io” ma non è
neanche “vaffanculo”. Allora
prendo fiato, finalmente, e mi scivolano le mani intorno i suoi
fianchi, che sono asciutti, morbidi, e sotto la maglietta, sulla
pelle, e rimangono solo lì mentre gli annego contro la
labbra, tra i
denti, sulla lingua. Poi Dario gira la testa e tossicchia.
“Non
respiro,” sussurra.
Lo
spingo giù, sul materasso, affondando la faccia nel suo
collo.
“Buonanotte,”
mormoro.
“Dormi,”
sbadiglia Dario, con la mia mano sul fianco.
E
rimango sdraiato per un paio di minuti ad ascoltarlo respirare sempre
più profondamente, finché la sua mano si muove
piano sul cuscino e
sfiora la mia testa, le dita mi scivolano tra i capelli in una
carezza leggerissima e poi rimangono appoggiate lì, con le
nocche
appena a contatto col mio zigomo. Dopo nemmeno un minuto lo sento
iniziare a respirare nel modo pesante di chi sta dormendo, e non so
come a un certo punto mi addormento anche io.
Mi
sveglia una tosse secca e pungente. Non quella di Dario, ma la mia,
un accesso breve che mi gratta la laringe. Dalle imposte filtra la
luce e mi brucia la gola, è giorno, mi fa male la testa.
“Cazzo,
mi è venuta la tosse,” farfuglio truce, girando la
faccia contro
la federa.
“Tanto
c'è lo sciroppo,” gorgoglia Dario, e sta ridendo.
Stronzo.
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