Capitolo II
Ancora una volta un paziente era salvo: Foreman
aveva intuito la diagnosi prima del suo capo. Da un paio di settimane a questa
parte non sembrava più una novità straordinaria: House, lo ammettesse o no, non
era più lo stesso.
All’inizio sembrava essere tutto a posto, la partenza di Cameron non l’aveva scombussolato più di tanto, anzi, si
era subito divertito a prendere in giro il nuovo medico del suo team, Jimmy Hicks, limitandosi solo a
sospirare ogni tanto “Come vorrei che Chase diventasse donna, manca il tocco femminile qui…”.
Wilson e la Cuddy lo osservavano in continuazione, pronti a cogliere un qualsiasi segno di
cedimento, e dopo una settimana House li aveva accontentati.
Era più nervoso e irritante, meno lucido,
come se il Vicodin non gli bastasse più; aveva sempre
qualcosa di meglio da fare che curare i pazienti, ma poi lo sorprendevano a
fissare lo schermo del computer come se fosse trasparente; dormiva molto di più
di giorno(in ospedale) e molto di meno la notte.
Il bello era che continuava a non voler ammettere che tutto
questo dipendesse dall’assenza di Cameron. “Ah,
scusami Cuddy, ma in questi giorni ho il ciclo, per
questo non mi sento bene…”replicava al suo capo che si preoccupava della sua
salute. “Hai ragione, Wilson, mi manca qualcosa…ah si, mi manca la tua
mancanza!”
Per sapere di Cameron non aveva
mosso un dito, forse aspettava un’altra sua mossa, che arrivò
con le sue dimissioni definitive; non voleva sapere perché se ne stava andando,
perché non lo aveva nemmeno salutato o chiamato.
“Tu ti senti responsabile della sua partenza” - aveva
tuonato Wilson – “Forse.” – aveva ammesso House –
“Perché non la chiami, non vuoi sapere nemmeno come sta ora?” – “Lei ha chi le faccia compagnia.” – “La lezione di Stacy
non ti è bastata? Vuoi rinunciare anche a Cameron per
il tuo smisurato desiderio di soffrire?!” – “Ehi la
pianti!” – sbottava House, tutte le volte che lo disturbavano con questa
faccenda – “Ma non vedi come sei ridotto? Tu eri grande perché eri un medico
geniale, se perdi anche la tue capacità mediche
diventerai solo un miserabile uomo sofferente!”. A quel punto House gli
sbatteva la porta in faccia e si rintanava nel suo ufficio.
‘Non può essere Cameron
che mi fa tutto questo! Maledetta piccola crocerossina…non avrei mai pensato
che mi avrebbe sconvolto così tanto la sua partenza. E’ vero, mi piaceva sia
come donna che come medico, ma mi piaceva, diamine, non ne ero
innamorato…ero io ad influenzare lei, non il contrario!’ House faceva sempre
gli stessi pensieri, non riusciva a scrollarseli di dosso. Ogni tanto tornava a
riguardare quella mail così fredda: la cosa che non
accettava di più era stata la freddezza di Cameron.
Non una chiamata, non un addio. Eppure lui era convinto che lei fosse
innamorata…o no? Non era proprio lui che diceva che quello non era amore, ma puro istinto da crocerossina, lui era invalido e a
lei piaceva, semplice.
Possibile che la dottoressina
dolce si era dimenticata di lui? Era bastato un giorno, no poche ore, per
decidere così a cuor leggero di andarsene. E poi, alla carriera non ci pensava?
Con House avrebbe acquisito prestigio anche il suo lavoro, avrebbe avuto le
porte aperte per una grande carriera, e invece se
n’era andata sul più bello.
Tutto questo lo turbava profondamente.
A decine di chilometri di distanza, una ragazza dagli occhi
azzurri e dai lunghi capelli neri si concedeva una pausa con un caffè, dopo una
mattina di lavoro intenso. Di solito era instancabile, ma
quel giorno aveva bisogno di qualche minuto di tranquillità, una tranquillità relativa,
visto che appena si fermava i suoi pensieri correvano ad House. Non voleva
andarsene così, ma purtroppo non aveva potuto evitarlo. House, House, chissà
cosa stava facendo. Cameron era certa che ogni tanto
la pensava, Wilson l’aveva chiamata e le aveva detto
tutto. Wilson la teneva aggiornata su House, la chiamò proprio
mentre lei sorseggiava il suo caffè; le chiese di chiamarlo, almeno per
il bene dell’ospedale. “Cosa dici, Wilson?! Lo sai che
sarebbe utile solo a fargli sfogare tutta la rabbia su di me. Saprebbe solo
trattarmi male, e io proprio adesso non riuscirei a sopportarlo, dopo tutto quello che mi è successo negli ultimi tempi…” – “Credo
che tu abbia ragione Cameron. Spero solo che si
decida lui a chiamarti.” – “Io dubito che lo farà.
Sono convinta che la sua è solo rabbia: me ne sono andata in quel modo, non gli
ho dato soddisfazione. Me l’ha detto un centinaio di volte che io non sono la
donna per lui.”
Cameron era comprensibilmente
scettica, e del resto come non esserlo?
La sua pausa era terminata, salutò Wilson e tornò al suo
lavoro.
La Cuddy fece chiamare House, il
quale si trascinò stancamente verso il suo ufficio. “Cosa vuoi, mio dolce
raggio di sole?” – la Cuddy lo fissò un istante e poi
partì all’attacco: “Ti licenzio! Altri due giorni così e ti licenzio, lo
giuro!” – House quasi sorrise – “Non lo faresti mai, sai che l’ospedale va
avanti anche grazie a me, e poi tu mi stimi…” – “Beh, forse una volta era così.
Si, fino ad un mese fa mandavi tu avanti l’ospedale, d’accordo. Si, fino ad un
mese fa ti stimavo. Ma ora…Ormai sei praticamente inutile qui” – “Io inutile?!” – “Si, proprio così! Non fai le tue ore di ambulatorio,
non curi più i pazienti che ti affido, Chase e Foreman non ti vedono da giorni!” – “Ah, non dargli retta…”
– “Ma quale genio? Loro e il nuovo medico stanno
faticosamente risolvendo tutti i casi che hanno tra le mani, e lo stanno
facendo senza di te. Come vedi hanno imparato bene dal
maestro House! E poi ti sei guardato? Sembri un relitto umano, la
faccenda di Stacy non ti ha ridotto peggio di così,
ti rendi conto? Non hai nemmeno la forza per rispondermi!” – “E quindi mi stai
cacciando…Hai detto due giorni?” – “Si, non ti concedo di andare oltre con
questo tuo atteggiamento…ti preferivo quando eri
odioso, adesso sembri davvero un cane bastonato…” – “Ok,
ok Cuddy. – il medico si
accomodò su una poltrona, come se si fosse arreso – Ok
Cuddy, Lisa. Parliamone. Dimmi tu, secondo te cosa ho
che non va? Mi sento strano in questi giorni, su questo non ti do torto. Però
non mi sono reso conto di stare esagerando…” – “Pensavo che certe sensazioni
non fossero sconosciute per te, mai sentito parlare di ‘mal d’amore’ mio
geniale diagnosta?” – “Ancora con questa storia?! Non è per Cameron che sto
così…” – “House, fermati un attimo. Ti invito a
riflettere su come sei cambiato in questi anni con lei vicino, e come senza di
lei sei cambiato in peggio in meno di un mese. Comunque so che non lo
ammetterai mai, e del resto non è questo il problema: se vuoi farti del male
sono problemi tuoi, ma se non riesci a curare i pazienti è un problema
dell’ospedale, quindi mio. Su, cerca di fare qualcosa, quello che vuoi…ma non voglio vederti così.” – “Ok
mammina, allora io vado a svolgere diligentemente il
mio lavoro” – “Ti ho avvertito House, non più di due giorni per ritornare te
stesso…”.
“Dottoressa Cameron, il primario
vuole vederla nel suo ufficio.”. Cameron si chiese
cosa volesse mai il dottor Marlon e raggiunse
velocemente il suo ufficio.
“Dottoressa Cameron, le devo
parlare. Ho acconsentito ad assumerla subito in virtù del suo ottimo curriculum
e della sua delicata situazione familiare. Ora però le chiederei un piccolo
piacere: ho bisogno di una relazione, firmata dal dottor House, sul lavoro che
lei ha svolto nel suo team di diagnostica, sul suo ruolo e sui casi concreti su
cui ha lavorato” – “Mi scusi dottore, ma questo è praticamente impossibile! – Cameron era impallidita – Ci vorrebbe troppo tempo, e poi
io non posso andare a Princeton, lei sa…” – “Mi rendo perfettamente conto della
sua situazione, dottoressa, ma, vede, a me serve conoscere i dettagli della sua
esperienza lavorativa che immagino più significativa. Il dottor House è un
medico molto stimato in campo internazionale, e ho bisogno di una sua opinione
in merito alle sue potenzialità. Non si preoccupi per sua madre, suo fratello
ha avuto il permesso di stare qui per qualche giorno e l’ospedale non le farà
mancare niente.” – “No, forse lei non ha capito, non
posso tornare a Princeton…” – “Dottoressa, lei mi porterà quella relazione, potrà
partire domani stesso”. Il discorso era chiuso. ‘Che dittatore’ pensò Cameron, ma del
resto non poteva biasimarlo: l’aveva assunta il giorno stesso in cui era
arrivata a New York solo grazie ad una telefonata della Cuddy,
era più che normale che chiedesse referenze un po’ più dettagliate. Fino a quel
momento Cameron aveva fatto un po’ di tutto,
ambulatorio, pronto soccorso, laboratorio, ma sembrava che non gli si potesse
trovare un posto che le si confacesse completamente.
Al pensiero di dover tornare al PPTH le si
strinse un nodo in gola, non era pronta a rivedere House. Beh, doveva
farlo, quindi lo avrebbe fatto. Si sarebbe preparata ad affrontarlo. Prese il
suo telefono e compose un numero “Kyle, mi servirebbe
il tuo aiuto…si, sei davvero un tesoro…”