Angeli Azzurri e Blue Moon.

di PiccolaEl
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Prologo.

Dicono che New York sia una bella città. Magari è veramente così. Eleonor guarda dal finestrino e con suo sommo dispiacere non vede niente di bello in quel momento; guarda dal finestrino e tutto quello che riesce a vedere è una macchina che le copre il sole non troppo caldo della metropoli non troppo grande per i suoi gusti. Pensa che si sta perdendo il meglio delle sue girls, pensa che Matt le manca da morire, pensa che Juan sia davvero uno stronzo. Conta il tempo che la separa dall’arrivare in hotel, pensa al discorso che dovrà esibire di lì a poco ed è stufa. E’ stufa perché ancora non ha cantato e vorrebbe tanto farlo; è stufa perché lasciare Bath è stato pari ad un suicidio, sociale e psicologico; è stufa perché un’estate intera del cazzo la passerà lontano da tutto e tutti all’insegna della musica. Ripensandoci, di quest’ultimo non è stufa per niente. Il discorso è questo: un giorno una ragazza registra un cd, tutto registrato senza base e senza un cazzo. Lo spedisce a due scuole di canto professionali: Seth Rights in New York e Roger Love in Los Angeles. Boom. E’ fatta, entrambe accettano con entusiasmo. Sta a lei poi scegliere. E sceglie proprio quella che le sembra più per lei: estate non troppo calda e nessuno a sostenerla. Fa le valigie e parte. Ed ora, eccola lì, la piccola El che ha attraversato un oceano per seguire il suo sogno, eccola lì, nel suo trench verde come il mascara che le colora le ciglia e le scarpe che porta ai piedi. Il taxi inchioda di botto e lei sbatte la testa non molto piano davanti a sé. Apre gli occhi, fino a quel momento rimasti chiusi –per la paura o per la stanchezza. Ciò che non deve accadere, accade. La macchina che fino a quel momento le fa ombra si lascia attraversare dai raggi del sole che si riversano direttamente su di lei. Sbatte gli occhi, più e più volte. Si sente osservata. Si sente decisamente osservata. Ritrova un po’ di forza e li apre del tutto. A fissarla ritrova due iridi di un colore pari soltanto al mare in burrasca, al cielo cobalto, ad un Angelo Azzurro scolato di botto. Distoglie lo sguardo e lo posa davanti a sé.
“Siamo arrivati, Miss.” Il tassista, con il tono più paziente che ha, la riscuote dai pensieri e da quegl’occhi, fruga nella borsa, anch’essa verde, e paga il tassista, ringraziandolo.
Egli, in cambio, la aiuta a portare la valigia fin dentro l’hotel di lusso davanti al quale sono fermi. Una folla di ragazzine blocca con noncuranza l’entrata, ma Eleonor con strafottenza spinge tutte le stupide che si mettono davanti al suo cammino. Un buttafuori le chiede il nome e lei glielo indica, nel mentre di tutto il baccano spacca timpani, da una lista con dei nominativi. Corruccia le sopracciglia, lo trova e lo spunta. Le chiede infine di accomodarsi nella hall, presto qualcuno si occuperà di lei. La piccola Foglia prende l’iPod riposto in tasca, indossa le cuffie a forma di fragola e preme Play. Anche l’attesa era stata messa in conto: spunta anche questa.




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