In amore non esistono differenze

di DiannaHananel
(/viewuser.php?uid=185295)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.






Mi acquattai contro il muro del vicolo, vedevo il mio respiro caldo prendere una forma fumosa nell'ambiente freddo e sentivo ancora la ragazza gemere e l'uomo che rideva.
Schifoso bastardo.
Mi feci avanti e sbirciai la scena che si prospettava alla fine della strada alla luce fioca di un lampione.
- Ehi tu! - urlai con un sorriso di sfida - Perchè non te la prendi con qualcuno capace di tenerti testa? -
Il demone bruno si voltò lentamente con un ghigno, mollando la presa sulla ragazza che cadde rovinosamente a terra e si trascinò dietro ad un cassonetto della spazzatura, piangendo sommessamente.
- Tipo una come te, biondina? -
- Esatto. - sorrisi più apertamente e spalancai le ali bianche che si aprirono in tutta la loro grandezza e luminosità dietro alle mie spalle, provocandomi un brivido di piacere lungo la schiena. Un ringhio basso e roco si levò dalla gola del demone che iniziò ad avvicinarsi. Era un'esemplare giovane, ferito ad una gamba e vestito in modo trascurato e sudicio; i capelli neri corvino gli ricadevano in modo scomposto sul viso e una luce di follia ardeva in quegli occhi scuri. Nessun demone anziano, o semplicemente con un minimo di esperienza, si sarebbe ridotto in quel modo: erano estremamente egocentrici e narcisisti, preferivano usare la seduzione per la cattura delle loro vittime, non la violenza. Feci una smorfia disgustata e mi spostai di lato per evitare un pugno mal assestato del demone.
 
Mi presento, sono Imogean, un angelo di primo grado da oltre 400 anni. Si, lo so, ho un nome strano e impossibile da pronunciare, ma mio padre era un tipo strano ed eccentrico. Sono cresciuta alla Corte dei Cieli, allevata dagli arcangeli che mi fecero da padri e da madri e che mi hanno insegnato tutto sui demoni e su come combatterli. Questo era il mio compito: proteggere, uccidere e non rimanere uccisa.
 
Parai un altro pugno e ne sferrai uno poco sotto le costole del demone che ormai respirava a fatica, stanco di attaccare e di non riuscire a colpire. Sorrisi concentrata e con un movimento fluido mi rigirai trovandomi alle spalle del demone a cui centrai la schiena con un calcio. L'essere cadde a terra e si rigirò a pancia in su guardandomi con una maschera di odio puro dipinta sul volto. Sorrisi gentilmente.
- Di addio a questo mondo. - feci uscire un coltello d'argento dalla manica e chinandomi velocemente su di lui lo feci scivolare all'interno del petto, dritto al cuore.

Mi scostai i capelli biondo oro dal viso con un soffio e pulii il coltello sulla maglietta del corpo esanime che giaceva a terra e lo rinfoderai. Senti un piccolo gemito e mi diressi verso la ragazza dai capelli rossi rannicchiata contro il muro, il viso pallido e rigato da lacrime di paura e dolore. Le sorrisi.
- Ti prego, non farmi del male… - sussurrò scossa dai singhiozzi.
- No calmati, non ho intenzione di fartene. Io posso aiutarti. Devi solo fidarti di me. – mormorai guardandola negli occhi, tentando di infonderle sicurezza.
La ragazza annuì piano. Guardava oltre le spalle, in direzione delle mie ali. Gli uomini comuni non potevano vederle ma le ritirai comunque istintivamente. Le presi la mano e mi smaterializzai nella hall del centro di accoglienza del regno, dove sia angeli sia protetti umani venivano curati, e chiamai a gran voce Evelyn, la caposala. Era una cherubina cicciottella con un viso buono e dolce, sempre invaso da una calma irreale, che induceva tutti a fidarsi ciecamente di lei. Più volte mi aveva aiutato a riprendermi dopo dei combattimenti andati male.
- Oh bambina! Come ti hanno ridotto? – mormorò affettuosa stringendo tra le braccia la ragazzina.
- Ci pensi tu Eve? -
- Ovvio che si! Ti rimettiamo come a nuovo. – mormorò raggiante.
- Stai tranquilla, Juliette. Sei in buone mani, Evelyn saprà aiutarti. – sorrisi alla ragazzina, che solo ora mi accorgevo non superava i quindici anni di età.
- C-conosci il mio nome? – sussurrò lei. Le sorrisi come risposta.
- Santo Cielo, Imogean. E’ tuo quel sangue? -
Mi guardai la maglietta. – Diamine, era la mia maglietta preferita. No è del… dell’aggressore. Ora vado, devo fare rapporto a Daniel. -
- Certo, certo. Vieni dolcezza. –

Daniel. Daniel era l’ultimo arcangelo sopravvissuto che mi aveva cresciuta fin da quando ero piccola ed ora era a capo del regno. Era come un padre.
Arrivai davanti alla grande porta in mogano della sua stanza e bussai. Attesi qualche istante prima di sentire un “avanti” quasi sussurrato. Entrai chiudendomi la porta alle spalle; erano solo pochi giorni che non lo vedeva, ma le era mancato terribilmente. Quando lo vidi in piedi in mezzo alla stanza, eretto in tutta la sua altezza e con le braccia aperte, mi fiondai verso le sue braccia abbracciandolo. Sentii la sua bocca posarsi sui miei capelli per un bacio paterno, e sorrisi contro il suo petto muscoloso, fasciato da una maglia grigia.
- Mi sei mancata, bambina. -




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1022824