Ciaaaaaaaao
gente!:3
Non
voglio dilungarmi troppo: mi è
venuta in mente questa fan fiction esattamente 3 ore fa e non potevo
non
metterla per iscritto u.u
Parla
di Tyler e Mallory, due giovani
che si conoscono sul Titanic. Chi dice che l’unica storia
d’amore che nacque a
bordo del Titanic fu quella di Jack e Rose?
Spero
che qualcuno la legga e che
qualcuno mi lasci una recensione. Non importa se positiva o negativa, qualsiasi recensione mi
aiuterà a
migliorare.
Grazie
mille per l’attenzione, vi
lascio alla lettura del primo capitolo:3
Sistemai accuratamente
il
fiocco sulla mia gonna larga fino alle caviglie di cotone rosa
– i miei
genitori me l’avevano regalata proprio per
quell’occasione. Posizionai una
minuscola spilla sul taschino destro della mia camicetta bianca e,
infine,
osservai attentamente il riflesso sullo specchio. La mia figura era
proprio lì,
davanti a me, snella e non molto alta. I ricci castani chiarissimi e
ben
definiti cadevano delicatamente sulle mie spalle. I miei occhi verdi
fissavano
ogni singolo dettaglio del mio abbigliamento: viste le nostre
condizioni
economiche, acquistare al mercato generale quella gonna e quella
camicia era
stato un vero e proprio strappo alla regola. La mamma mi aveva detto:
«
Amore, stiamo partendo. Sarai la più bella di tutti.
» e subito dopo mi
aveva stampato un sonoro bacio sulla fronte. La mattina della grande
partenza,
la mamma aveva decorato la nostra umile casa con tante bellissime
roselline che
aveva colto di nascosto nel giardino della donna a cui prestava
servizio. Il
loro profumo inondava le mie narici e mi faceva stare incredibilmente
bene, mi
rendeva finalmente felice della nuova vita che avrei intrapreso di
lì a poco ma
allo stesso tempo anche un po’ nervosa: quella sarebbe stata
la mia prima volta
su una nave. Sarei partita con i miei genitori dal porto di Southampton
e
insieme saremmo arrivati a New York. A
New York la vita è facile, questa è la
frase che ci sentivamo ripetere
giorno dopo giorno finché mio padre non decise di tentare e
di acquistare quei
biglietti con gli ultimi risparmi. Avrei detto addio alla vecchia vita,
presto
avrei salutato il passato lasciando spazio solamente al mio futuro.
Avrei detto
addio ai miei amici e questa era l’unica cosa che mi teneva
anche solo
minimamente ancorata al mio paese d’origine. Per il resto ero
eccitata dall’idea
di scoprire nuovi ambienti, nuove persone, nuovi usi, nuove tradizioni.
Era una
novità per me che non avevo vissuto altrove se non nel mio
paese. L’inaffondabile mi
stava aspettando: così
la chiamavano. La più grande nave mai costruita fino ad
allora, la più
maestosa, la più bella, la nave dei sogni. Chiunque avrebbe
desiderato salire
con noi ma pochi ebbero il meraviglioso privilegio di farlo. Io ero una
di
quelle persone che avevano il biglietto, quel
biglietto. E ancora non riuscivo a capacitarmene.
« Sei
pronta? » chiese mio padre riportandomi alla
realtà e strappandomi dai miei
pensieri. Stava sistemando le ultime cose nel suo bagaglio.
« Sì
papà, sono
pronta. » sapevo che quel “pronta” non si
riferiva solamente al mio abbigliamento
o alla mia capigliatura. Si riferiva anche (e soprattutto) al cambio di
vita.
« Chissà
come sarà
salire su una barca.. » cantilenò mia madre la
quale stava controllando
attentamente la sua valigia per verificare che non mancasse nulla.
« Rosie,
amore mio,
quel gigante aggeggio è molto più di una barca,
credimi! » esclamò papà
abbracciandola da dietro e lasciandole un tenero bacio sul collo.
Sorrisi. Erano
così tremendamente dolci!
Guardai
un’ultima volta lo
specchio e, non so bene per quale motivo, gli diedi un bacio.
« Ciao
specchio, mi
mancherai. » sussurrai.
Feci un ultimo giro per
la
casa, mi voltai, mi diressi verso la porta e scesi le scale
frettolosamente. Un
unico pensiero per la testa: prima uscite
di casa, prima metterete piede sul Titanic!
---
Impossibile descrivere
le
emozioni che provai appena vidi quell’oggetto mastodontico
davanti ai miei
occhi. La mia bocca era spalancata e.. non lo era mai stata in quel modo! Vedevo tante facce stupite
quanto me che mi circondavano e, allo stesso tempo, vedevo tante facce
che non
facevano altro che sbraitare per ogni singola cosa, per ogni singolo
errore. Erano
le facce dei ricchi, quei viziati che non riuscivano a provar
meraviglia per nulla,
neanche per una nave così stupenda. Le loro facce sembravano
annoiate e stanche
di tutto quell’andirivieni. Ci scrutavano con occhi attenti e
indagatori e,
sicuramente, speravano che la prima classe fosse situata ben lontano
dalla
nostra terza classe. Come si fa a non
provare meraviglia per nulla? C’è
un
modo? Come si fa a rimanere imparziali di fronte a tanta bellezza?
Eppure ho
sempre desiderato con tutte le mie forze di essere ricca, di avere a
mia
completa disposizione un guardaroba da fare invidia a tutti e di vivere
in una
villa meravigliosa con tanto di piscina. Ma anche in questo caso, i
miei valori
sarebbero differenti. Nessuno avrebbe potuto privarmi delle mie
emozioni, della
meraviglia, dello stupore. Nessuno sarebbe mai stato in grado di
svuotarmi l’anima.
« Mallory,
dobbiamo
andare, hanno iniziato a fare i controlli dell’igiene a tutti
coloro che s’imbarcheranno
nella terza classe. » mi strinse la mano destra e con
l’altra reggeva il
bagaglio. La seguii immediatamente, impaziente di salire a bordo.
---
Dopo tutti i vari
controlli, finalmente misi piede su quel pavimento. L’odore
di nuovo si fece
subito sentire e lo assaporai immediatamente. I marinai dirigevano il
tutto con
un’estrema delicatezza e precisione. Al momento
dell’imbarco dovevamo mostrare
il nostro biglietto e loro ci avrebbero indirizzati verso le nostre
stanze. Ebbi
il forte impulso di seguire una ragazza ben vestita che si stava
dirigendo
verso la prima classe. Da quanto potei capire, si chiamava Rose. Volevo
vedere
le suites di cui si parlava tanto in quei giorni perché
erano descritte come “piccole
dimore”. Volevo vedere l’immensa scalinata che
posizionata al centro della sala
principale, quella scalinata che aveva occupato la prima pagina di
numerosi
quotidiani. Invece uno dei marinai mi invitò a seguire i
miei genitori che già
si stavano avviando verso quella che presto sarebbe diventata la nostra
stanza.
« Sei
troppo pigra!
Potresti almeno aiutarci a portare qualcosa. Hai sedici anni e sei
persino più
sfaticata di noi che ne abbiamo quasi il triplo. » sorrisi a
mia madre
che mi stava facendo la predica. Ero troppo impegnata nelle mie
riflessioni per
pensare ai bagagli.
Quando aprirono la
porta,
entrarono e videro che ero rimasta immobile sulla soglia,
mi fecero
un sorriso d’incoraggiamento.
« Cosa
fai lì
impalata? » chiese papà dopo aver poggiato il suo
bagaglio su uno dei
sei letti disposti ordinatamente nella stanza. Erano letti a castello
suddivisi
in file da tre.
Sinceramente, mi
aspettavo qualcosa
in più: le stanze non erano poi così belle. In
fondo però, non alloggiavo in
una “piccola dimora”..
Sorrisi a me stessa ed
entrai. Poco dopo entrò un’altra famiglia che
occupò i tre letti accanto ai
nostri.
« Salve,
io sono
John e lei è mia moglie Rosie – indicò
la mamma – Lei invece è mia figlia
Mallory. Piacere di conoscerla. » disse educatamente
presentandosi.
L’uomo
indossava una giacca
marrone, un paio di pantaloni scuri ed un paio di scarpe decisamente
sporche. «
Piacere mio, – gli strinse la mano – questo
giovanotto è mio figlio Sam, mentre
lei è mia moglie Melanie. Oh, e io sono Jared. »
continuò amichevolmente
Jared.
Sorrisi cordialmente
e
con la mano salutai. Il piccolino fece lo stesso e subito dopo mi fece
la
linguaccia. Scoppiammo a ridere.
Un suono molto forte ci
distrasse. Ci guardammo sconcertati.
« Penso
proprio
che.. siamo partiti. » dichiarò mio padre
emozionato.
Sentii i miei occhi
bagnarsi di lacrime. Uscii correndo dalla stanza e mi precipitai sul
ponte che
era praticamente stracolmo. C’erano tantissime persone che
stavano sventolando
fazzoletti a più non posso per salutare i propri cari. Non
c’era nessuno per me
e lo sapevo bene ma anche io volevo dare l’addio a quella
città. Fu
estremamente difficile trovare spazio per appoggiarsi lungo la
ringhiera che
era stata letteralmente presa d’assalto. Finalmente
però, ci riuscii. Il vento
scompigliò i miei ricci ribelli. Salutai con la mano
chiunque mi capitasse
davanti agli occhi e pian piano vedevo le minuscole figure delle
persone
diventare sempre più piccole. Una lacrima
attraversò la mia guancia e mi lasciò
del tutto sorpresa. Con la mano l’asciugai.
« Lasciato
qualcuno
di importante? » chiese pochi secondi dopo una voce maschile
a me
sconosciuta.
Alzai gli occhi verso
il
ragazzo vicino a me. Era appoggiato alla ringhiera con fare disinvolto:
non una
lacrima sul suo volto, non un benché minimo segno di
malinconia o nostalgia. In
bocca aveva una sigaretta spenta.
Piano piano tutte le
persone che si stavano sbracciando pochi istanti prima per farsi
vedere,
stavano rientrando al coperto.
« mm,
no. Lieve
attacco di nostalgia. » sorrise.
« Piacere,
io sono
Tyler. » scosse il capo spostandosi una ciocca di capelli
castani dagli
occhi azzurri. Mi porse una mano e sorrise mostrando i suoi denti
bianchi
perfetti.
Strinsi la sua mano
cordialmente. « Piacere mio, mi chiamo Mallory. »
Tornai a guardare
l’oceano:
la costa ora sembrava lontana.. era difficile distinguere le persone.
« Contenta
di
partire? » domandò.
« Molto,
aspettavo
da tanto questo momento. – deglutii – tu?
»
« In
realtà non
sapevo bene cosa fare.. In pratica, sono scappato. Ma l’ho
deciso all’ultimo
momento ed.. eccomi qui. » rise guardandomi.
« Ma
sono contento
di essere qui, su questa nave. » aggiunse poco dopo. Il suo
sguardo
lasciava intendere una cosa fondamentale: non era pentito di
ciò che aveva
fatto. Guardando quell’oceano
cristallino, chi poteva esserlo?
« Anche
tu terza
classe? » chiesi.
« Terza
classe. » sorrise.
« Quindi
ci
incontreremo. » dissi.
« Lo
spero. »
per un secondo mi lasciai distrarre da quegli occhi così
chiari. Arrossii
imbarazzata.
« I
miei si staranno
chiedendo dove mi sono cacciata.. Sarà meglio rientrare.
E’ stato un piacere. »
sorrisi educatamente e mi voltai pronta a dirigermi verso la mia stanza.
« Mallory?
»
« Sì?
»
« Quanti
anni hai? »
domandò. Quella domanda inadeguata all’occasione
mi lasciò sconcertata.
« 16,
tu? » è
strano ammetterlo ma la curiosità mi stava uccidendo.
« 19.
»
« Perché
me l’hai
chiesto? »
« Perché
ho vinto la
scommessa. »
« Quale
scommessa? »
« Quando
incontro
qualcuno, mi piace immaginare la sua età. »
Scoppiai a ridere.
«
Quindi appena mi hai vista hai capito che avevo 16 anni? »
« Esattamente.
» sorrise.
Scossi il capo e tornai
sui
miei passi.
« Un’ultima
cosa –
si voltò verso di me – se ti capita di vedermi..
ti conviene stare lontana da
uno svitato come me. » fece l’occhiolino.
« Terrò
conto del
tuo consiglio. » risi. Tyler tornò a fissare
l’oceano mentre l’unico
oceano a cui riuscivo a pensare in quell’istante era quello
dei suoi occhi.
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