caduto
A
chi mi conosce, ben ritrovati!
A
chi mi legge per la prima volta, benvenuti!
Questa
oneshot partecipa al contest “Al di là del tempo che fu”.
Io
in genere amo associare una musica a ciò che scrivo, e naturalmente
anche questa oneshot ha la sua colonna sonora. Per chi volesse
leggerla con la musica nelle orecchie, consiglio:
“Phoenix
Music – Planet Earth”
Buona
lettura.
CADUTO
DAL CIELO
*
Era
uscita a cercare bacche, quando si era imbattuta in lui.
L'aveva
trovato poco lontano dall'accampamento, sotto il riparo di un albero
secolare; la schiena appoggiata al tronco, le braccia rilassate in
grembo, la testa abbandonata a un sonno leggero e una caviglia gonfia
come il ventre gravido di una femmina.
Non
l'avrebbe mai ammesso -per la Madre Terra, non avrebbe neppure dovuto
pensare
una cosa simile!-, eppure Sheana aveva sentito chiaramente
quell'istinto curioso nascere prepotente e bloccarla lì, in mezzo
alle felci, a pochi metri da lui;
quella sorta di fascinazione che le aveva tolto il respiro e aveva
fermato lo scorrere del tempo assieme al suo cammino.
Si
era bloccata lì, davanti a lui,
come... Una
preda? Un predatore?
Non
lo sapeva, Sheana. Non sapeva come si sentiva, né tanto meno come
-si supponeva- avrebbe dovuto sentirsi. Sapeva soltanto che lui
era
biondo, un biondo apparso da nessun dove in un mondo popolato da
scuri
come
lei.
I
suoi capelli chiari, la carnagione...
Era
così diverso...
Avvicinarsi
fu l'ennesimo sbaglio che non avrebbe dovuto commettere: lentamente,
i passi leggeri e attenti, Sheana arrivò ai suoi piedi.
Fermati,
finché sei in tempo.
Oh,
per il cielo, e se avesse toccato quei suoi capelli...
Chiama
i saggi.
Se
ne avesse accarezzato la morbidezza, se ne avesse sentito la
consistenza tra le dita...
Cedette
quasi subito, troppo debole davanti a una simile opportunità. Crollò
sotto il peso di quella curiosità sedotta dalla sua
presenza, dall'occasione che lui rappresentava -lui
che era il primo che Sheana vedeva, lui
che era così simile ai maschi che apparivano nelle pitture che i
suoi avi avevano disegnato, lui
che aveva lo stesso aspetto che le leggende riportavano-. Perché se
si fosse lasciata scappare quell'occasione per conoscere... Per
sapere...
Scopri
come sono al tatto i capelli di un Caduto.
Lo
fece. Avida di scoperta, il cuore in gola e lo stomaco ridotto a un
groviglio di eccitazione, Shena si sporse fino a raccogliere in mano
una di quelle ciocche bionde che gli ricadevano sul viso e poi più
giù, a sfiorargli il collo.
E
pagò l'errore.
*
Quante
volte era rimasta davanti a quelle pitture rupestri da bambina,
incantata dalle loro forme... Aveva trascorso l'infanzia a consumarsi
gli occhi, sedotta dai colori che si fondevano nella roccia che
raccoglieva la loro storia. E i sussurri che quelle scene mitologiche
le rimandavano, quelle voci seducenti che le parlavano di una magia
mistica invisibile eppure presente ovunque attorno a lei dall'alba
dei tempi...
Nemmeno
suo padre era riuscito a saziare la sete che costringeva la gola di
Sheana a stringersi davanti a quelle pitture, dono che i loro
antenati avevano lasciato alla tribù. Ci aveva provato tante volte
-oh, quante ore avevano trascorso nella pancia della Grotta Sacra,
attorno al fuoco, con i nasi puntati alle pitture e le dita a
indicare gli uomini che cadevano dal cielo!-, ma la paziente solerzia
di suo padre aveva avuto come unico effetto quello di rendere Sheana
ancora più dedita alle storie che quei disegni raccontavano.
Gesta
di uomini diversi da loro.
Maschi
e femmine dai capelli biondi, rifiutati dalle braccia del dio Cielo
per avergli rubato le stelle; per avergli sottratto un po' di luce
con cui rischiarare il colore dei propri capelli. Costretti a vagare
nel mondo della Madre Terra, in una landa selvaggia che non aveva mai
conosciuto prima uomini come loro.
«Sono
stati cacciati perché hanno rotto l'equilibrio del Cielo», così le
diceva sempre suo padre quando parlava di queste persone -questi
Caduti
dal cielo.
E lei guardava il suo volto mentre si bagnava le labbra di queste
parole incredibili -ne scrutava lo sguardo assorto, catturato dalle
stesse pitture di cui raccontava i significati-, e non riusciva a
impedirsi di sperare in qualcosa.
Un'occasione,
un incontro, uno sguardo fugace rubato durante una battuta di caccia
o una raccolta, seppure dato da lontano. Un movimento tra le felci,
perfino una scoperta al limite tra l'illusione e il sogno, perché
chiamarla realtà
sarebbe
stato troppo azzardato.
Qualunque
cosa sarebbe andata bene, pur che fosse in grado di avvicinarla un
po' di più a quegli uomini biondi che, sulla roccia della Grotta
Sacra, precipitavano verso la terra e nell'ossessione di Sheana.
Qualunque
cosa, pur che fosse in grado di avvicinarla al cielo.
*
Il
prezzo da pagare fu la paura. Si trattò di uno scotto inatteso
almeno quanto la stretta
delle sue mani, che calarono rapaci su di lei. Improvvise, forti.
Inevitabili.
Più
di tutto, però -più dell'aggressività con cui le sue dita le
stringevano i polsi, più della vicinanza irriducibile al suo corpo,
persino più del guaio rovinoso che quella stretta scellerata che non
sarebbe dovuta accadere
comportava-, furono i suoi occhi azzurri
a
trafiggerla: non
le artigliarono il corpo, quanto piuttosto qualcosa di più profondo
e inarrivabile. Le colpirono l'anima.
A
lasciarla senza fiato fu la tempesta che Sheana vi lesse dentro. Fu
la confusione, l'aggressività, il furore, la vita
che
vi splendeva dentro. E fu così inatteso, così improvviso, così
intenso... Cielo, faceva quasi male.
«Non volevo farti
nulla!» Sheana si dimenò nella sua stretta cercando di non cedere
al dolore -quello del polso ritorto, ma anche quello di quel suo
cuore incastrato, trafitto, sedotto. E l'istinto che le gridava di
allontanarsi da quell'uomo, di opporsi, di riparare a ciò che di
sbagliato aveva fatto...
Ma
lui era forte, così dannatamente forte...
«Chi sei?»
Per
il dio Cielo, la sua voce!
Profonda.
Grave.
Di chi dentro di sé
porta solo oscurità.
«Mi
chiamo Sheana, del clan della Roccia Spaccata. Sono una
sacerdotessa.» Lo disse con voce malferma, rotta da respiri
ingrossati per lo sforzo di riconquistare la libertà; e poi la
speranza che ciò bastasse a convincerlo della sua buona fede,
mescolata a quella parola -sacerdotessa.
Lui
non smise di guardarla. Accolse la risposta di Sheana con prudenza,
prendendosi tutto il tempo per studiarla; per sfilacciare le sue
parole e trovare l'inghippo, per nutrirsi della sua paura e fare ciò
che a quelli come lui riusciva meglio: rompere l'equilibrio. E poco
importava che Sheana non avesse mai incontrato un Caduto prima d'ora,
perché lui la stava divorando. Lo faceva con lo sguardo, con quei
suoi occhi chiari -così straordinari, così azzurri, così...
belli!-,
con il modo con cui li faceva scivolare lungo il viso di Sheana,
sulla sua pelle ambrata, sugli amuleti che portava legati ai capelli
come segno distintivo del suo ruolo nel mondo -quello di
sacerdotessa.
La
stava. Mangiando. Viva.
È
in questo modo che hai rubato al Cielo? L'hai incantato con i tuoi
occhi?
«Puoi
aiutarmi? La caviglia...» lui le lasciò i polsi e cercò di
mettersi in piedi, ma una fitta di dolore lo costrinse a fermarsi. E
quando la guardò senza aggiungere altro, con l'offerta di quella
frase che gravitava nel silenzio, Sheana capì che non esisteva
equilibrio da rompere perché, qualunque cosa fosse accaduta a
quell'uomo, il suo si era rotto spontaneamente nel momento in cui
l'aveva visto e aveva capito che quella
era
l'occasione che stava aspettando da una vita.
Così
gli toccò il fianco, un contatto lento e quasi indeciso, una
prudenza che si faceva emozione più che timore. La pelle calda sotto
la sua mano, il braccio che sgusciava verso la schiena, il cuore che
prendeva coraggio, decisione. Scelta.
«Appoggiati a me.»
*
Si
inoltrarono nella foresta, una camminata a contatto che fece vibrare
il cuore di Sheana. Furono braccia su schiena, pelle su pelle; e
vicinanza, pensieri che si mescolavano senza mai avvicinarsi troppo,
quasi potesse rivelarsi pericoloso
guardarsi.
Cosa
sto facendo?
Sheana
non riuscì a trovare una risposta. Per tutto il tempo in cui
camminarono tra le felci, avvolti in un silenzio che rendeva ancora
più assordante l'assurda vibrazione che rispondeva alla loro
vicinanza, seppe soltanto sentire.
Catturare
tutto ciò che lo riguardasse.
L'altezza
che nemmeno il suo moto ingobbito dal dolore riusciva a nascondere...
Il
peso che il suo braccio schiacciava su di lei...
Il
calore della sua pelle nuda...
Il
rumore dei suoi passi sul fogliame...
Sheana
ascoltava lui.
*
Lo
nascose nella Grotta Sacra, proprio sotto quelle pitture che
narravano la caduta di quell'uomo dalla volta celeste. Lo sottrasse
al mondo, alla Madre Terra che l'aveva accolto, agli occhi dei suoi
compagni che probabilmente l'avrebbero ucciso, se soltanto fossero
venuti a conoscenza della sua
esistenza.
Lo
tenne per sé, egoista e affascinata, troppo gelosa di
quell'occasione per pensare di condividerla con qualcun altro. Troppo
spaventata dalla possibilità di vederla scivolare via, per rischiare
di perderla.
Lo
curò senza mai toccarlo più del necessario. Lo sfamò ogni giorno,
rubando il cibo alla sua tribù di nascosto; gli portò acqua,
compagnia, calore. Fece
tutto questo in silenzio, e per ogni volta che tornava alla grotta
con le mani cariche di offerte e di speranze, trascorreva infiniti
minuti a guardarlo recuperare le forze.
Sguardi
dati da lontano, con pazienza infinita, come un guardiano ammirato
davanti alla propria vocazione. Quella di Sheana si chiamava Jawad.
Le aveva svelato il
suo nome davanti al fuoco, quando lei gli aveva portato il primo
pasto del loro incontro -una manciata di bacche e alcune radici,
quanto bastava per mettere a tacere i morsi della fame
Jawad
separato dalla propria tribù durante una battuta di caccia andata
male.
Jawad
che si era spinto troppo lontano per ritrovarli.
Jawad
ferito, con una storta alla caviglia che era peggiorata fino a
condurlo ai piedi di quell'albero, dove lei l'aveva scoperto sfinito
dalla fatica e vinto dal dolore.
Parlavano
di tutto e di niente durante quei momenti attorno al fuoco. Sotto le
pitture di Caduti che venivano respinti dal Cielo, Jawad le
raccontava di come fosse stato certo di morire sotto le fronde di
quell'albero, sbranato da qualche predatore.
E
poi le raccontava della sua tribù -un gruppo di maschi e femmine dai
capelli biondi,
proprio come lui-, delle loro usanze, delle loro famiglie. Del loro
incredibile modo di amare una donna soltanto, per tutta la vita.
Oh,
quante volte avrebbe voluto chiedergli se l'avesse già trovata,
quella donna! Sapere come fossero gli occhi di un Caduto mentre
parlava d'amore, e come brillassero i suoi
occhi, soprattutto... Avrebbe voluto chiedergli tante, troppe cose,
eppure non gliene domandò nessuna.
In
quei momenti si limitò a lasciarlo parlare e ad ascoltare il rumore
del suo respiro, a imprimerselo nella mente e a rubare pezzi di
realtà che sarebbero inevitabilmente diventati ricordi. Perché era
questo a cui Sheana era destinata: ricordi, nient'altro che frammenti
di memoria. E mentre guardava Jawad -il modo in cui il fuoco
disegnava riverberi di luce e ombra sul suo bel viso-, quella
consapevolezza le si incollò addosso in modo doloroso, sulla pelle e
oltre, proprio dove lui
si
stava facendo strada.
Perché
Sheana aveva trovato la sua occasione.
E,
con essa, molto di più.
*
Successe
quando il sole era ancora alto nel cielo.
Accadde
dopo giorni trascorsi a guardarsi l'un l'altra, a coltivare la voglia
di toccarsi, di sentirsi,
perché non era possibile fare diversamente. Non con quella comunione
mistica a unirli in un legame che non possedeva nome, ma che di
vibrazioni
invece ne aveva eccome.
Accadde
dopo ore passate a pensare a lei, a quel suo modo unico di guardarlo,
alla gentilezza che l'animo di Sheana gli regalava. Lei che era così
incosciente da trascorrere il suo tempo con lui, lei che gli regalava
le sue cure, il suo conforto...
Lei
che non si era mai fatta troppo vicina, quasi avesse paura di
scoprire che fosse tutto un sogno...
Accadde
dopo tempo interminabile trascorso nella solitudine, la testa
appoggiata alla parete, proprio sotto quei disegni che narravano di
un evento che Jawad non ricordava. Tempo passato a nutrire il
pensiero di lei con il ricordo del suo odore di muschio e natura,
l'unico frammento di Sheana che fosse riuscito a catturare.
Accadde
mentre era talmente intento a desiderare la sua compagnia da
sobbalzare, quando le sentì.
Grida.
Parole
brusche piegate nella sofferenza, lanciate nella foresta come se
potessero essere una liberazione da ciò che le stava facendo male.
Un litigio.
Sheana!
Conquistare
la posizione eretta non fu difficile, almeno non come Jawad aveva
temuto: ad aiutarlo a vincere il dolore fu il pensiero di lei in
mezzo alla foresta, assieme a chissà chi; con chissà quali mani che
la costringevano a restare ferma, a subire parole aggressive, a
rispondervi con grida che traboccavano di rabbia e paura.
Avrebbe
voluto raggiungerla e aiutarla come lei aveva fatto con lui.
Avrebbe
voluto raccoglierla da qualunque cosa
la
facesse gridare in quel modo per portarla lì, in quella grotta che
era diventata sacra persino ai suoi occhi, perché era il luogo che
lo univa a lei.
E l'avrebbe fatto, dannazione. L'avrebbe fatto, se le grida non
fossero cessate all'improvviso.
Cosa
ti è successo?
Jawad
rimase sulla bocca della caverna ad aspettare qualcosa,
l'udito all'erta, il cuore stretto nella preoccupazione. Quando la
vide sbucare dai cespugli, perfettamente integra
nonostante i capelli più arruffati del solito -e con uno sguardo
arrabbiato che la rendeva deliziosa-, quel peso che gli opprimeva il
cuore svanì all'istante, così com'era venuto.
«Non
dovresti essere in piedi. Che stai facendo?»
«Ti
ho sentita gridare.» Lo disse guardandola negli occhi, attraverso
quella maledetta distanza che Sheana non osava mai spezzare. Anche in
quel momento, mentre la sua confessione le chiedeva di
più,
lei non osava avvicinarsi troppo. Restava a pochi metri da lui,
immobile, gli occhi caldi fermi sui suoi, la voglia di avvicinarsi
trattenuta da una testardaggine che Jawad non riusciva a comprendere.
Avvicinati,
avrebbe voluto dirle.
Lasciati
toccare,
avrebbe desiderato chiederle.
Sono
giorni che muoio dalla voglia di sentire com'è la tua pelle,
era tentato di confessarle. Invece, le sue labbra ben più sagge
dissero tutt'altra cosa.
«Cos'è
successo?»
Sheana
gli si fece vicino. Finalmente
vicino.
Gli sfiorò il torace
nudo
con un tocco delicato, una carezza gentile proprio come il suo animo
luminoso. La mano lenta che indugiava sulla sua pelle calda; che
disegnava la linea pronunciata del petto e andava più giù, verso il
fianco.
Oh,
per la Madre Terra!
Jawad
la guardò sempre, per l'intera durata di quella manciata di istanti,
eppure Sheana non sollevò mai lo sguardo su di lui. Lo mantenne sul
suo torace, su quella mano che ne spargeva il calore; muta, come se i
pensieri fossero troppo assordanti per permetterle di superarne la
cortina attraverso la parola. Come se la trattenessero in qualche
modo indietro.
Vicina a lui, fisicamente
vicina,
eppure non nel modo totale che Jawad desiderava.
Guardami.
Avvicinati a me anche con gli occhi.
Poi,
finalmente, Sheana lo fece. Alzò lo sguardo sul suo volto, eppure...
Eppure in quel momento tutto cambiò.
Fu
per colpa della paura.
Fu
a causa della preoccupazione e della rabbia.
Fu
l'angoscia, lo sconforto, il timore per... Per
che cosa? Di cos'è che hai così tanta paura?
Fu
ciò che c'era nei suoi occhi, a gelare Jawad; l'intensità di quelle
emozioni che rendevano il viso di Sheana una supplica fatta di carne
e sangue, la netta sensazione che qualcosa -chissà poi cosa!-
si fosse incrinato per sempre.
«Non
dovrei essere qui. Non dovrei, non so... Non so cosa sto facendo,
Jawad!» Sheana gli confidò e, mentre abbassava di nuovo lo sguardo,
appoggiò anche l'altra mano sul suo fianco in una carezza che sapeva
di appiglio disperato e di gesto d'addio.
«Sono
promessa a uno dei cacciatori della tribù. Si chiama Rashid. Mi ha
seguita, ha notato che sparisco dal campo per molto tempo.» Un
attimo di silenzio, un istante che Sheana si concesse per guardare
Jawad negli occhi prima di quell'ultima sentenza.
«Crede
che io abbia un altro.»
E
non è così, forse? Non vieni tutti i giorni a nutrirmi, a tenermi
compagnia, a raccontarmi di te?
Non
glielo chiese, naturalmente. Non c'era tempo per farlo; di più, non
c'era cuore.
Esistevano
invece sconforto e timore, il sentore che qualcosa
sarebbe inevitabilmente giunto al termine dopo quel giorno. E la
certezza che non ci fosse più alcun posto per loro due, nessuna
Grotta Sacra, nessun utero del mondo che gli prestasse uno spazio in
cui potersi sfiorare così, come stavano facendo in quel momento.
Con
le mani sulle mani.
Pelle
su pelle.
E
occhi incatenati ad altri occhi, imbrigliati da ciò che era nato in
quella caverna, alla luce del fuoco. Sotto la caduta di uomini
espulsi dal Cielo.
E
Sheana... Oh, che la terra potesse spaccarsi sotto ai loro piedi in
quel momento, Sheana si bagnò le labbra con le parole che più di
tutte sembrarono l'epilogo di qualcosa.
L'ultima concessione prima della fine che gravitava nell'aria, sopra
le loro teste.
«Mostrami
come ama un Caduto.»
*
Quella
notte non restarono più distanze da abbattere. Si amarono con una
tenerezza e un'emozione che non avevano nulla di terreno, non nel
modo in cui le mani di Jawad toccavano la pelle ambrata di Sheana. Il
suo tocco lento e affamato fu ciò che più di tutto le strappò
pezzi d'anima: il modo in cui le entrò dentro attraverso i confini
del corpo, la profondità con cui riuscì a raggiungere il suo cuore,
il calore che la sua
presenza
generò dentro di lei...
Quella
notte Sheana sentì Jawad legarsi a lei, al suo sangue, a ogni fibra
di carne che vibrava sotto il suo
peso.
Per tutti i baci di cui la cosparse, per tutti i respiri che lei
raccolse sulle sue labbra; per ogni carezza, per ogni spinta... Con
lo sguardo costantemente annegato in quello di Jawad, in quell'atto
d'amore che mai
la
sua tribù aveva consumato in quel modo- faccia a faccia, come se ci
si dovesse scambiare l'anima-, e lui... Lui non smise mai di amare
ogni cosa dei suoi occhi.
La luce struggente
che vi si consumava dentro mentre la prendeva.
Le mille parole che
li riempivano mentre affondava le mani nei suoi capelli, tra una
spinta e l'altra.
E quella promessa
d'amore mai pronunciata, quel legame che era esistito da subito tra
loro, all'ombra di quell'albero che li aveva portati l'uno tra le
braccia dell'altra...
Lo vide, Sheana.
Vide l'amore che Jawad nutriva per ciò che trovava nel suo viso. Per
quella piccola parte di anima che si spargeva sul suo volto, l'ultimo
granello di ciò che era nato in quella grotta.
Mentre faceva
l'amore con lei.
Come se volesse
portarla con sé nel cielo.
*
L'utero del mondo si
ruppe dopo poco più di un giorno trascorso nel sapore logorante
dell'incertezza.
Il
segreto che la Grotta Sacra aveva custodito per tutti quei giorni, il
loro
calore,
il loro
amore,
le loro
carezze...
Ogni cosa s'infranse definitivamente laddove era nata, in mezzo alla
foresta.
*
Il pezzo di carne
che reggeva sottobraccio, avvolto nella pelle conciata dalle donne
della tribù, era frutto di un furto che Sheana aveva tentato a lungo
di compiere.
Era
stato riposto assieme ad altri tranci, ancora fresco di caccia, e lei
non aveva saputo resistere alla tentazione: l'aveva preso pensando
che nessuno ne avrebbe notato l'assenza, non quando c'era così tanta
abbondanza
di cui nutrirsi.
Non
aveva pensato, però, che il problema potesse essere ben altro: non
aveva tenuto conto del diametro entro cui si muoveva lo sguardo di
Rashid, un diametro che peraltro prevedeva sempre lei
come punto centrale; così come non aveva tenuto conto della sua
costanza nel raccogliere i suoi movimenti, della luce circospetta che
gli illuminava gli occhi.
Non aveva visto.
Non aveva notato.
Non
lo aveva sorpreso
a infilarsi nella foresta, a poca distanza da lei, cauto e
silenzioso.
Fu dopo chilometri
di camminata, che Sheana iniziò a insospettirsi. Furono i rumori
delle foglie, i loro movimenti ripetuti; piccoli indizi che
sembravano seguirla da quando aveva lasciato l'accampamento. La
conferma, però -una conferma tremenda e disgustosa-, venne in
prossimità della Grotta Sacra. Arrivò all'improvviso sotto le
spoglie di un corpo alto e robusto, pesante, che la travolse
inchiodandola con la faccia all'albero più vicino. Un impatto che le
strappò la carne di mano, facendola ruzzolare a terra.
«Puttana!»
Rashid si premette contro di lei per trattenerla, le mani che le
torcevano i polsi e li costringevano dietro la schiena. E la sua voce
che le gettava all'orecchio sentimenti crudeli e violenti che non
avrebbero aspettato,
che le avrebbero strappato tutto
ciò che potevano prendere da lei... Furono quelli, a schiacciarle il
cuore.
«Stavi andando a
farti montare dal tuo uomo, eh?!»
«Non so di cosa
stai parlando!» Sheana cercò di lottare, di scrollarselo di dosso,
ma Rashid era ovunque: sulla sua schiena, sulle sue braccia, ovunque
lei tentasse di guardare. Era in ogni possibilità di liberazione, in
mezzo a qualunque occasione di fuga. Sempre lì, costantemente, a
strapparle dalla pelle ciò che era rimasto delle carezze di Jawad. A
portarle via con mani violente e frettolose quello che Sheana avrebbe
voluto portare con sé per sempre.
E
l'orrore che ne seguì... Oh, l'orrore...
Ti
prego, fermati!
«Non lo sai, eh?
Vedremo se sarai ancora così bugiarda, quando saremo sposati»
Rashid le sussurrò all'orecchio, la voce riempita da una malizia
crudele; la mano che si infilava sotto lo straccio di pelle che
copriva i fianchi di Sheana, che toccava, che violava, che si
arrogava libertà che lei non avrebbe mai voluto concedere.
E
quando quella stessa mano raggiunse il punto più estremo delle cosce
-quel punto nascosto dalla pelle d'animale, quel punto che Jawad
aveva toccato, baciato, leccato
per
ore soltanto la notte precedente-... Oh, per il dio Cielo, fu allora
che l'orrore divenne qualcosa che non poteva più essere tenuto a
bada: si scatenò attraverso la gola, nel fiato, come un grido di
morte lanciato negli ultimi istanti di vita, quando la comprensione
di ciò che sta per accadere diventa estrema e insopportabile.
Fu la sua anima, a
gridare.
«JAWAD! JAWAD,
AIUTO!»
Non poté dire
altro: Rashid le coprì la bocca con la mano, mentre con l'altra
l'allontanava dall'albero quel tanto che bastava per averla piegata,
il bacino rivolto verso di lui, scoperto e indifeso. Pronto all'uso.
«È
così che si chiama? Jawad?»
Poi, quella stessa
mano che premeva sulla bocca di Sheana si chiuse sui suoi capelli, e
tirò. Le costrinse la testa all'indietro, la curva del collo
prigioniera di una posizione assassina capace di incastrare qualunque
parola in gola. Eppure, nonostante tutto, lei riuscì a pronunciarne
una.
Una soltanto; una
che tratteneva in sé tutta la rabbia, l'impotenza, la dignità
ancora integra che Rashid stava disintegrando pezzo dopo pezzo.
«Fottiti.»
«Oh, non ho dubbi
che fotterò, Sheana.»
Fu sul punto di
farlo davvero. E Sheana era così certa che sarebbe andato fino in
fondo, in quel modo, con una mano sulla sua schiena e l'altra a
trattenerle i capelli come se fossero una collottola... Come se lei
fosse una femmina da monta di qualunque specie, come se fosse un
animale, come se non fosse una donna...
Jawad!
Fu sul punto di
farlo davvero, Rashid. Fu sul punto di strapparle fino all'ultima
traccia di sé che Jawad le aveva lasciato addosso, dentro, in ogni
parte di lei. Fu sul punto di cancellare il suo odore, il calore, il
sapore delle sue spinte, eppure non fece in tempo.
Venne sbalzato a
terra all'improvviso, lontano da lei, e tutto ciò che Sheana riuscì
a sentire fu un gemito di dolore bagnargli le labbra. Ma quando si
voltò... Quando si raddrizzò, il volto sconvolto resosi perfetto
dipinto dell'orrore che l'aveva sfiorata...
Che il cielo potesse
spaccarsi sopra la sua testa, in quel momento l'orrore divenne una
bestia che non aveva nome.
Jawad era lì, tra
lei e Rashid; alto e pericoloso, aggressivo, gli occhi che
promettevano sangue e violenza se solo avesse osato rialzarsi.
E, di più, era
fuori dal nascondiglio che gli aveva permesso di strappare un po' di
tempo da trascorrere assieme a lei senza che nessuno sapesse della
sua esistenza.
Era
davanti a qualcuno che non avrebbe dovuto vederlo.
Era
davanti a uno scuro,
Jawad; lui che di scuro non aveva proprio niente. Lui che era un
Caduto dal cielo, lui che, secondo la leggenda, faceva parte di gente
pericolosa.
Lui che avrebbe
rotto l'equilibrio della natura.
Lui che avrebbe
portato sventura.
Lui che era stato
l'occasione che Sheana aveva aspettato per tutta la vita; la sola che
avrebbe mai avuto.
Lui...
Lui era lì, davanti a lei e a Rashid. Perduto per sempre.
No,
no, NO!
«Vattene,
prima che ti ammazzi»
Jawad
sibilò, ma la serietà della sua minaccia non sembrò impressionare
Rashid. Ciò che invece lo lasciò scosso -e, per l'amor del cielo,
fu quello
ad
atterrire Sheana più di ogni altra cosa-, fu la sua stessa presenza,
lì, davanti ai suoi occhi. Una leggenda in carne e ossa, viva,
palpabile.
Una
leggenda che non poteva restare in un angolo, consumata in silenzio
senza che nessuno sapesse.
E quando Rashid si allontanò senza dire una parola, Sheana capì.
Lottò contro
quell'egoismo infantile che l'aveva spinta a portare Jawad alla
Grotta Sacra contro ogni buon senso. Lottò contro la voglia di
trattenerlo lì, accanto a sé. Abbracciò la scelta più saggia,
l'unica che gli avrebbe fatto davvero del bene.
Quella che, anche se
le avrebbe soffocato il cuore, le avrebbe comunque lasciato una
speranza finché lui fosse rimasto vivo.
«Devi andartene.»
«Come?»
«Devi andartene! La
mia gente crede che voi Caduti portiate sventura.»
«Sheana,
io non
sono un
Caduto. Sono un essere umano, proprio come te.»
«Per loro non è
così!» trattenere la voce non fu possibile: Sheana gli donò il
proprio dolore, l'angoscia che le incrinava le parole. Ogni cosa
attraverso lo sguardo, con quelle mani che gli sfioravano il braccio.
«Ho bisogno di saperti vivo. Ti prego, Jawad...»
Lui però esitò. Si
guardò attorno, in quella foresta che li aveva fatti incontrare;
l'indecisione che gli appesantiva lo sguardo. Ed era bello persino
così, con quell'espressione grave che lo faceva sprofondare lì, in
quel tratto di terra e universo, lo stesso in cui si trovava anche
lei. Poi la guardò, gli occhi resi accecanti da una luce di speranza
che le trafisse il cuore.
«Vieni con me.»
Si stavano dicendo
addio.
«Non posso, Jawad!
Rashid avrà dato l'allarme, se resto qua posso depistare la mia
gente. Li terrò lontani dal tuo percorso.»
E
poi... Poi tu devi tornare dai tuoi compagni. Devi tornarci vivo,
senza una donna scura
che
possa metterti nei guai.
Lo vide esitare, un
momento d'incertezza che lei sfruttò per rendere ancora più
pressante la sua opera di persuasione.
«Faresti meglio a
incamminarti: la caviglia non è ancora guarita completamente e
potrebbe rallentarti.»
«Sheana...»
«Per
favore, va'!»
Solo in quel momento
-con la voce alta che trasudava tormento e necessità-, Jawad sembrò
crollare davanti alle sue richieste: le prese il volto tra le mani,
una carezza dolce con cui in realtà cullò il suo cuore. E quando lo
guardò negli occhi, Sheana capì che non erano rimasti loro altri
istanti.
«Mi
hai chiesto di mostrarti come ama un Caduto. Ebbene, non so come
amano loro, ma posso dirti come lo fa la mia gente: una donna
soltanto, per la vita. La mia donna sei tu.»
Poi, un ultimo
bacio.
Una promessa.
«Tornerò
a prenderti.»
*
NOTE DELL'AUTRICE
Nella
oneshot parlo di “scuri” e di “biondi”, riferimenti
rispettivamente all'uomo di Cro-Magnon e a quello di Neanderthal,
ominidi che hanno convissuto per un periodo di tempo prima
dell'estinzione del secondo.
La
storia però è nata dall'idea di un pensiero mistico, qualcosa che a
livello primordiale probabilmente è sempre esistito: volevo dare
risalto a un legame un po' ritualizzato con la natura e con il mondo,
per farci entrare alla fine l'amore.
Vi
ricordo che, per chi volesse, può trovarmi nel gruppo facebook
dedicato alle mie storie oppure nel mio contatto facebook: mi fa
sempre tanto piacere poter conoscere le mie lettrici, per cui
sappiate che le mie porte sono sempre aperte.
Un
saluto,
Vale
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