Ricordo
Quella macchina da scrivere lo aveva
ossessionato per
giorni, per settimane, per mesi. Ritta su quel tavolino, come una di
quelle
statue moderne che stavano andando così di moda in quegli
anni, in attesa di
essere utilizzata, di piantare su un foglio di carta la sua
storia… la loro
storia.
Scrivi di
noi…
Ancora quelle parole così
dolorose che tornavano a
straziargli le orecchie.
- Ti prego, smettila! Non ce la
faccio!
…
così sarò sempre con
te.
- Smettila di tormentarmi! Come fai
ad essere con me? Tu non
ci sei più, te ne sei andato per sempre, mi hai abbandonato.
Non voglio
sentirti nel mio cuore. Ho bisogno di sentirti accanto a me quando mi
sveglio e
quando vado a coricarmi, quando respiro l’aria della
città fuori dalla finestra,
quando scrivo…
Scrivi di
noi…
- Perché non posso
smettere di pensare? Perché non posso
smettere di ricordarmi di te? Perché non posso smettere di
amarti?
Tutte le
parole che
non ti ho detto… tutto quello che avresti voluto
dirmi… Il nostro sogno… la nostra
vita…Comunque vada… Ricordi?…
Sì, ricordava. Per questo
si era mosso verso la macchina da
scrivere.
L’aveva osservata da
lontano, senza mai avvicinarsi ad essa,
quel marchingegno che gli ricordava quanto inchiostro aveva versato per
quello
spettacolo che avrebbe dovuto salvare un intero mondo fatto di artisti,
ballerine, poltrone foderate di velluto rosso, di lampadari di finti
diamanti,
di statuine orientali e che invece era naufragato, lasciandosi dietro
un
portone sigillato con un cartello che diceva
“Fallito”; i tasti che aveva
premuto per dare vita all’inno al suo amore, al loro amore
rifiutato da tutti,
vissuto di nascosto, consumato in quella stanza.
Come se
fosse la prima
e ultima volta.
Si avvicinò alla macchina
da scrivere ne accarezzò i tasti,
uno ad uno, soffermandosi sulle lettere che componevano il
“suo” nome, passò le
dita sul nastro fino a farle diventare nere per l’inchiostro,
cancellando ogni
residuo delle parole scritte in passato.
- E’ questo quello che
vuoi? Va bene, anch’io lo voglio.
Prese una sedia, una risma di fogli e
si sedette di nuovo di
fronte alla machina.
Come iniziare? Mettendo un foglio
nella macchina,
naturalmente, ma con quale parola iniziare? Con quale lettera?
Dal principio, quindi dalla prima
lettera dell’alfabeto: la A, un calice rovesciato
che
spargeva una storia sulla prima pagina, poi una M, per portarti in alto
e poi
gettarti di nuovo sulla terra, la O
che ti risucchia come un abisso, una R tortuosa che ti assale come un
cavallo
imbizzarrito, per poi mettere una E che chiude il tutto come un
cancello.
- Rimbaud, tu hai colorato le
vocali*; ma io ho dato la vita
a delle lettere.
Cosa aveva scritto? AMORE
Non avrebbe potuto dare un inizio
più adatto. Adesso avrebbe
continuato e non si sarebbe fermato più.
E’ iniziato tutto nel Moulin Rouge. Tutti
lo conoscevano quando era
ancora all’apice della sua gloria e alcuni lo ricordano con
una nota di
rimpianto adesso che è abbandonato al tempo inclemente.
Il Moulin Rouge era tante cose. Un locale notturno.
Una sala da ballo.
Un bordello. Un’isola di piaceri proibiti. Il regno di Will
Schuester. Il luogo
di ritrovo dei vecchi uomini d’affari, dei giovani che si
affacciavano alla
vita, dei ricchi signori annoiati dalla vita familiare. Il posto in
cui chiunque
poteva andare a divertirsi con giovani e belle creature di malaffare.
Dove si
poteva pagare una notte di fuoco al prezzo di un orecchino, di un
anello, di un
bracciale.
Un campo disseminato di ballerine di can can e di
atletici giocolieri
che avevano il compito di svegliare virilità sopite e di
attizzare un fuoco che
crepitava in petti inesperti. Fanciulle ingioiellate e truccate
pesantemente
con gambe e seni scoperti, ballerini che mostravano arti fasciati da
strette
calzamaglie; questi erano i “fiori” del Moulin
Rouge. E il più bello di questi
fiori era il ragazzo che amavo…
- Dammi la forza di scrivere il tuo
nome, di riportarlo nel
mio cuore, sulle mie mani e sulle mie labbra.
Kurt, un prostituto che vendeva il suo amore agli
altri. Lo chiamavano
“L’Angelo di Diamante”… e lo
era. Era lui l’angelo custode del Moulin Rouge,
colui che lo manteneva in piedi con la sua bellezza, la sua
capacità di
fingere, il suo talento, la sua crudeltà, il suo corpo.
Senza di lui non
sarebbe esistito nulla di quel mondo. Si faceva donare ogni cosa:
denaro,
gioielli, finanziamenti, per una sola notte di finzione, di false
carezze e di
vuoti baci e di un corpo freddo che simulava un calore ed una passione
che non
aveva. Per tutti era una tigre che si nascondeva dietro le sembianze di
un
gatto, un uccello rapace in grado di spolpare chiunque fino al midollo;
ma lui
era ben altro. Pochissime persone conoscevano la sua vera natura,
quella che
lui nascondeva dietro gli abiti sgargianti e ambigui e un lieve strato
di
cerone e un sorriso smagliante; io ero una di queste persone. Io ho
potuto
vedere ed ho potuto toccare con mano il suo vero essere. Io lo amavo.
Il ragazzo che amavo è…
Una parola può fermarti ed
impedirti di andare avanti con la
sua ineluttabile crudeltà. Perché sai che
è vera e la verità è la cosa
più
dolorosa che esista. Ma c’è sempre qualcosa che ti
spinge a continuare.
- Te l’ho promesso.
Non era tanto diversa dalla prima
parola che aveva scritto.
Doveva superare quella M irta come una montagna per gettarsi nello
scuro abisso
racchiuso nella O e lì trovare il cuore della parola, il suo
nucleo che aveva
la forma della R, risalire quel lungo pilastro che era la T
che lo avrebbe portato verso
la luna nuova, piena e scura che chiudeva la parola. O.
MORTO
Ecco, l’aveva scritto.
L’aveva detto. Non poteva accettarlo.
Sì, il ragazzo che amava
era morto.
C’era una macchia di sangue
sul colletto della sua camicia;
l’unica cosa che gli era rimasta. Il suo ultimo bacio.
Quello che
senti nella
mia bocca non è sangue; è la passione,
è il nostro amore…
- Il nostro amore… Per te
scrivo questo. Andrò avanti e se
non riuscirò a proseguire, torna da me a punzecchiarmi, mio
piccolo fringuello…
Solo per te.
E riprese a scrivere.
Nota
dell’autore
* Riferimento alla poesia
“Voyelles” (“Vocali”) del poeta
francese
Arthur Rimbaud (1854-1891), mio autore preferito che vi consiglio
caldamente.
Sì, sono ritornato, anche
se in ritardo ma, come molti
sanno, sono molto lento.
Da dove nasce questa nuova long?
L’idea ha preso forma da
una delle mille volte che ho rivisto “Moulin
Rouge!” di Baz Luhrmann e
l’impennata per scrivere mi è stata data dalle
ragazze di “You’re killing me
now” alle quali dedico questo mio primo capitolo.
Anticipo che questa non
sarà una song-fic. E che non sarà un
unico “copia-incolla” del film. E anche che, questa
volta, causa impegni, mi
risulterà difficile essere costante e preciso con gli
aggiornamenti; se volete
poi avere aggiornamenti riguardo alle mie storie, questa è
la mia pagina
d’autore su facebook: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
So che a molti potrebbe non piacere
ma, come chiedo sempre,
non giudicatemi per quello che scrivo ma per come lo scrivo. Fatemi
sapere cosa
ne pensate : D
Lusio
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