Amami
due volte.
Liam
sta dicendo le parole giuste, nel momento giusto, nel modo giusto.
E forse sarà l’aria della primavera a
suggerirgliele, o i tenui raggi di sole
che gli baciano la pelle, o forse ancora quel porto sicuro che,
nonostante
tutto, riesce ancora a trovare negli occhi di Susan.
St.
James Park che li circonda col suo verde e loro che si lasciano
sopraffare, che
vogliono affogare in quel profumo inebriante, nel colore opaco e appena
accennato dei fiori.
Susan
sta contro il suo petto, gli sente il cuore battere e sorride pensando
che lo
fa per lei.
Susan
e Liam, Liam e Susan. L’inizio e la fine di un mondo agli
occhi di tutti, loro
nel loro piccolo microcosmo fatto d’amore, di baci e ancora
d’amore, almeno
all’apparenza.
“Sue…”
inizia Liam dopo un breve silenzio e il profumo dello shampoo di lei
gli entra
nei polmoni.
Inspira.
Espira.
Quella
perenne paura appena sotto la pelle che ormai fa parte di lui tanto
quanto il
sangue, i polmoni, il suo unico rene. Quella perenne paura che lo fa
sospirare
ancora una volta prima di iniziare a parlare.
“Sì?”
lo incita lei, incantata dagli occhi del ragazzo, comuni eppure
così rari.
Forse
sono le cose che ci brillano dentro a renderli unici, come un
po’ tutte le
cose, tutte le persone.
È
chi siamo dentro che ci rende unici.
“Domani
parto.” E lei trattiene il fiato e cerca di non esplodere, le
viene da
piangere.
“Quanto…
Quanto starai via?” chiede a fatica, deglutendo a vuoto e
sentendo le orecchie
ronzare, lo stomaco chiudersi.
“Due
settimane, con i ragazzi andiamo in Spagna, in Francia, in Belgio e
facciamo
una piccola sosta anche in Olanda.” Spiega lui, diretto e
breve; trema
leggermente.
“E
perché me lo dici solo ora, eh?” Le orecchie
ronzano più forte mentre la voce
di lei aumenta d’intensità.
“Perché
non me ne hai parlato prima!?” continua, lo stomaco in una
morsa e il punto di
non ritorno sempre più vicino.
Liam
alza gli occhi al cielo e cerca nel Sole un antidoto, una cura.
Nel
frattempo la stringe più forte a sé
perché sa quello che sta per succedere,
perché l’aveva previsto, perché Susan
è così.
“Perché non volevo succedesse questo.”
Sussurra, ma lei lo sente comunque e si
stacca da lui, fa qualche passo in avanti, veloce, mentre
nell’universo-Liam la
gravità è diventata spropositata e lui non riesce
a muovere un muscolo. Anche
respirare fa male.
“Questo
cosa, eh? Questo cosa!? Non volevi che urlassi, che smettessi di dirti
‘ti
amo’? Non volevi che mi mettessi ad urlare verso di te in un
parco?” La voce di
lei sale, sale, sale.
La
sciarpa arancione che porta si muove, scossa dalle sue mani che
gesticolano; i
pantaloni della tuta sono blu, il pesante giaccone in velluto marrone.
Incoerente nel vestire, semplicemente perché non si ricorda
come si fa. Liam
ripensa alle compere al supermercato quando lei era ancora la vera lei, quando lo era sempre.
Ritorna
con la mente alle sue belle gambe fasciate in jeans stretti, quelle
gambe che
ora sono nascoste e sembra non abbiano forma. Ripensa ai capelli lisci
e
piastrati, immobili e perfetti, che ora sono mossi dal vento
primaverile che
soffia da Est e, come avrebbe detto la
lei di un tempo: “segnano i quattro punti
cardinali.”
“Ma
i tuoi tentativi sono falliti! Tu sei un fallito! Non posso aspettarti
tutta la
vita! Non posso stare qui e aspettare che tu arrivi per salvarmi dai
miei
mostri, per fare a botte con loro! Non ci crederai, ma non servi a
nulla, non
servi a me, né tanto meno ai miei incubi!”
Pensieri
disconnessi, gliel’avevano detto e lui aveva chiuso gli occhi
e annuito.
Susan
alza la voce ancora, ormai tutto il parco è girato verso di
lei che urla, e
gesticola.
Poi,
all’improvviso, si mette a piangere.
Calde
lacrime le solcano le guance disegnando righe scure di mascara.
“Susan…”
Liam allunga una mano, come per prenderla e lei fa un passo indietro.
Con
la manica si asciuga il viso.
“E
quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi così?!
Queen, mi chiamo Queen!”
Le
spalle le tremano.
Queen,
la Regina. Strano quanto le piccole cose possano influenzare la nostra
vita.
“Q
– e – e – n !” gli fa lo
spelling con le lacrime ai bordi degli occhi, sempre
pronte a cadere.
Un
nome per sentirsi importanti, per sentirsi qualcuno. La
vera lei si chiama Susan e ama il suo nome.
Suo
padre l’aveva chiamata Queen, scherzando, prima di salire per
l’ultima volta in
macchina e andare ai 90 km orari verso la sua morte.
Suo
padre l’aveva chiamata Queen sorridendo storto
perché sapeva che lei odiava
quel nome.
“Credevo
fossi intelligente, Liam! Queen, cinque lettere, non è
difficile, no?”
Lui
si lasciava insultare, sputare acido sulla pelle e tremava, tremava
ogni volta.
“Non
ci sono cure alla schizofrenia, Liam.” Gliel’aveva
detto la madre di lei al
ritorno dall’ospedale.
“Vattene,
non prenderti nemmeno la briga di scrivere uno straccio di biglietto,
nemmeno
due righe buttate lì così. Vattene.” E
lui aveva solamente chiuso gli occhi,
come se quel gesto potesse impedirgli di vivere le cose, non solo di
vederle.
Così
era rimasto, spingendole a forza pillole, tante pillole, giù
per la gola.
Era rimasto e avevano pianto assieme, e lui aveva visto a poco a poco
scomparire Susan.
Ma
quella mattina era di nuovo lei, di nuovo quegli occhi calmi e sereni
che
pensava di non ricordare più e che invece, con sua sorpresa,
gli erano sempre
rimasti in testa.
“Da
quando hai smesso di prendere i farmaci, eh, Queen?”
Pronunciare
il nome gli fa male, una fitta gli prende la bocca dello stomaco
lettera dopo
lettera.
Ma
se questo la rende felice la chiamerà così anche
davanti all’altare.
Lei
sgrana i grandi occhi verdi e qualcosa sul loro fondo si muove, torna
in vita.
“Chiamami
Susan, ti prego.” Sussurra e lui la lascia condurre,
ripetendo e cambiando il
nome.
“Da
quanto tempo non prendi le pastiglie, Susan?”
Lei sorride tenue e le guance le si infiammano.
“Bentornata.”
Aggiunge subito dopo lui ed un sorriso torna a sporcargli il volto.
“Liam…”
inizia lei, sentendosi morire dentro. “Mi
dispiace.” Gli sussurra.
“Da
quanto, Sue?!” ripete più deciso lui, con la paura
di vederla sparire e non
poter fare niente che gli cambia la luce negli occhi.
“Due
settimane.” Sentenzia la ragazza avvicinandosi di un passo.
“Perché?”
ed è più una richiesta d’aiuto che una
domanda vera e propria. Aiutare se
stessa per aiutare lui.
“Perché
mi sono stancata di nascondere, soffocare, odiare una parte di me.
Perché sono sempre io.
Qualsiasi nome la gente
mi dia, in qualsiasi modo mi comporti. E, oh Dio, Liam io ti amo
sempre, in
ogni modo. Quindi niente più pastiglie, per Susan, per
Queen, per me. Già lo
psicoterapeuta, con le sue domande incomprensibili, sono una pena
troppo grande
da sopportare. Ma ricordati che ti amo, Liam, ricordatelo per quando
sarò io a
quella che non ricorderà.”
“Ti
amo anche io.” Le dice e le riconsegna il cuore, per
l’ennesima volta.
“Amami due volte, ti prego.”
“Ti
amerò sempre.”
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