Titolo:
Motivo invernale costruito su cinque petali azzurri.
Fandom:
Harry Potter
Personaggio/Coppia:
Severus/Harry
Prompt:
061-Inverno per la Big Damn Table
Rating:
verde (per tutti)
Genere:
romantico
Avvertimenti:
slash, relazione adulto/minore
Conteggio Parole:
3042 (contatore)
Disclaimer:
i personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti
legali. Questa storia non ha nessuno scopo di lucro.
Riassunto:
dopo un incidente a pozioni, Harry cerca di rimediare procurando un
ingrediente raro.
Note: la
storia si colloca come prequel di "Coclearia's
effects" e risponde ad una richiesta di appletree79. Come il resto
di questo verse, non tiene conto degli ultimi libri della serie.
Tabella: Bdt
I prati
della scuola erano coperti di neve e un vento gelido sferzava le pietre
e i giardini, invitando tutti a ripararsi accanto al più vicino
caminetto e godersi una tazza di cioccolata calda, mentre l'aria umida
impregnava qualsiasi cosa si muovesse, gelando perfino il sangue.
Solo
pochi gufi sfidavano quella terribile serata, preferendo ritirarsi in
alberi cavi o nella guferia e così lasciando il parco in un sonnolento
silenzio. Perfino dalla Foresta Proibita non si levavano rumori di
sorta, quasi fosse ormai solo lo spettro di un antico incubo.
In quella
gelida sera, tutti sembravano aver scelto il tepore domestico, fatto di
caminetti accesi e calde coperte, tutti meno qualcuno. In lontananza,
oltre la capanna del guardiacaccia e i prati per la classe di Cura
delle Creature Magiche, una debole luce filtrava da una delle vetrate
opache delle serre, quasi incurante dell'ora e delle condizioni
proibitive.
Nella serra numero dieci, una figura maschile era
china su una delle vasche a terra, intenta a raccogliere dei piccoli
fiori bianchi e azzurri, del tutto simili alle rose, con movimenti
lenti e, per quanto possibile in quelle condizioni, precisi.
Si era
avvolto in un mantello nero e pesante e gli alamari gli artigliavano
già la gola da quanto erano stretti, ma, nonostante tutto, le sue mani
erano ceree e tremavano, mentre con le forbici recideva le piccole
corolle.
«
Merlino, non finirò mai in tempo ».
La sua
voce era uscita fioca e il fiato si era velocemente condensato in
nuvolette di vapore; se fosse stato abbastanza vicino alla vetrata,
questa sicuramente si sarebbe appannata. Quanto rimpiangeva d'aver
lasciato il caldo della sua stanza, ma doveva portare a termine
quell'incarico, soprattutto se voleva rimediare a ciò che aveva
provocato quella mattina.
Così,
soffiatosi in fretta sulle mani per scaldarle, riprese il lavoro. Le
ginocchia gli dolevano e le sue dita si erano riempite velocemente di
piccoli tagli e vesciche... be', queste ultime provocate soprattutto
dalla sua goffaggine e dalla linfa che fuoriusciva da quelle piante
recise. Non che la cosa avesse importanza, ma almeno c'era la
consolazione di non essere lì solo per essere feriti dalle condizioni
inclementi di quell'anno.
Fuori un
gufo solitario sorvolò la serra, bubbolando. Doveva essere ormai
passata la mezzanotte, o forse erano appena le dieci e solo per una sua
impressione il tempo era diventato così lento, quando la figura
finalmente si alzò, tenendo contro il proprio petto l'involto con le
corolle e stringendosi ancora di più nel mantello per ripararsi dalle
folate, sempre più inclementi.
In fretta sbatté la porta della serra alle sue
spalle e, senza preoccuparsi se fosse chiusa al meglio, avanzò
velocemente verso il portone del castello, dove ormai poche luci
illuminavano la facciata di pietra, con i piedi che affondavano ad ogni
passo nella neve. Era sicuro esistesse un incantesimo per aprirsi un
sentiero sufficiente ad avanzare, ma al momento non ricordava nemmeno
il primo dei movimenti necessari.
Il cielo era sgombro da nubi e, nonostante il
vento sembrasse schiaffeggiarlo, alzò lo sguardo verso le stelle.
L'Orsa Maggiore si stagliava fiera sul manto scuro e la cintura di
Orione - o il Lepricano, come la definivano i gemelli – lo sovrastava
maestosa.
L'indomani,
se fossero stati fortunati, avrebbero avuto un cielo simile per la
lezione di astronomia.
«
Sarà tremendamente intrattabile quando si sveglierà ».
Per
usare un eufemismo, visto chi era l'uomo steso sul letto. Con ogni
probabilità avrebbe tentato di lanciare qualche debole maledizione
all'infermiera per uscire e poi sarebbe venuto a cercarlo e lì... oh,
lì avrebbe dato sfogo a tutta la sua creatività.
Il
mantello dell'invisibilità gli copriva appena la punta delle scarpe,
agitato com'era appena dai movimenti del suo respiro, ed Harry si
ritrovò a trattenre il fiato quando Madama Chips gli passò accanto,
facendogli arrivare un caldo profumo di arancia e zenzero.
L'aria del castello profumava da giorni di
legna bruciata, arancia e biscotti alla cannella, lasciati ogni sera
accanto ai letti degli studenti; non sapeva chi avesse deciso di
gettare scorze d'agrume nei focolari, ma sospettava ferocemente di
Dobby e Winky. Comunque, era pur sempre solo un sospetto, e
l'avvenimento, a dirla tutta, non aveva nemmeno questa grande
rilevanza, ma più di una volta l'uomo che ora giaceva sul letto
immacolato dell'infermeria aveva storto il naso, assumendo la peggiore
espressione disgustata, mentre passava nei corridoi dei castello.
Nemmeno le sue pozioni lo avevano mai
disgustato tanto, ora che ci pensava.
E
parlando di pozioni, Harry ebbe ancora una volta la feroce tentazione
di prendersi a pugni per quel casino. Avrebbe dovuto prestare più
attenzione alle ampolle che aveva sul tavolo: quale idiota avrebbe mai
aggiunto la radice di coclearia ad un infuso di succo di vermi di mare
e foglie di sarqua?
«
Quanto tempo dovrà rimanere qui, Poppy? »
«
Preferirei tenerlo addormentato ancora qualche giorno » rispose
l'infermiera, passandogli nuovamente davanti e sistemandosi il
grembiule. « Non è stata un'esplosione da poco e la radice di coclearia
unita alle foglie di sarqua... »
« Ha
un forte potere ustionante, lo so Poppy ».
Silente
si allontanò appena dal letto, avvicinandosi alla finestra e osservando
il parco attraverso la vetrata. Harry, in quel momento, avrebbe dovuto
sedere nel suo ufficio in attesa di una punizione, quindi si teneva
pronto a correre in qualsiasi momento perché, appena il Preside si
fosse avviato, avrebbe dovuto precederlo al terzo piano, sempre
pregando che il gargouille a guardia della scala lo facesse passare
senza troppe storie.
« È
un vero peccato » mormorò il Preside, abbassando il capo. « Proprio
oggi che avrebbe dovuto raccogliere gli Occhi di Priscilla ».
Harry
ancora non lo sapeva, ma avrebbe passato tutto il pomeriggio in
biblioteca per scoprire cosa fossero 'gli occhi di Priscilla', e
sarebbe uscito quella stessa notte, diretto alla serra numero dieci,
per raccogliere dei piccoli fiori apparentemente inutili, sopportando
le ginocchia dolenti incollate al freddo pavimento.
« Hey,
amico! »
Harry
sollevò la testa di soprassalto con uno strano verso strozzato,
terrorizzando più di di qualche primino e guadagnandosi le occhiatacce
di diverse sue compagne e alcune Serpeverde. L'urlo di Ron lo aveva
fatto sobbalzare di nuovo sulla sedia e anche quella mattina aveva
rischiato di rovesciare la propria colazione addosso a qualche
malcapitato.
Merlino,
non vedeva l'ora che la fioritura di quei fiori finisse.
« Harry,
tutto bene? »
Oh sì,
una favola. Hermione lo guardava preoccupata oltre il suo piatto di
pane tostato e uova, mentre accanto a lei Ron aveva già perso interesse
nella sua situazione, tornandosi a rimpinzare di salsicce e pudding.
«
Dovresti andare da Madama Chips » mormorò la ragazza, cercando di non
guardare il compagno accanto a lei. « Sono giorni che rischi di
addormentarti durante la colazione e nelle ore di lezione. Gli esami
sono vicini ».
«
Hermione, è solo dicembre ».
« E prima
che te ne accorga sarà maggio e implorerai per avere gli appunti ».
Ovviamente
Hermione doveva menzionare gli esami. E naturalmente lei e Ron dovevano
discutere se dicembre fosse un mese più o meno congruo per iniziare a
preoccuparsi degli esami di fine anno.
Se li
conosceva bene, fra poco sarebbero passati ad una litigata in piena
regola sul Quidditch...
« Certo,
perché una partita a cavallo di una scopa è più importante del tuo
futuro ».
Appunto.
«
Hermione, tu di Quidditch non hai mai capito nulla ».
La
ragazza stava rispondendo qualcosa in tono seccato, quando Harry si
alzò, sbadigliando sonoramente. Avrebbe voluto poter dormire per almeno
un paio di giorni, ma alla prima ora avevano Trasfigurazione e se c'era
una cosa che la McGranitt non sopportava, erano i ritardatari.
La Sala
Grande brulicava ancora di voci e ragazzi che, concitati, si
spintonavano verso la porta, sistemandosi alla meglio le divise e
raggruppando i libri e le pergamene, rischiando di macchiarsi
d'inchiostro. Alcune piume sfregavano ancora contro i fogli ruvidi e le
risate si sommavano al lieve crepitio delle pagine sfogliate. Al tavolo
degli insegnanti, la McGranitt parlava concitatamente con Silente,
mentre Vitious discuteva con la professoressa Sinistra.
Harry si
voltò e, praticamente a passo di marcia, si diresse verso il secondo
piano. Forse, se si fosse sbrigato, sarebbe riuscito a passare in
infermeria, giusto per vedere se la principale vittima del suo disastro
si stesse rimettendo.
Be', in
realtà anche Pansy Parkinson e la Bulstrode erano state colpite ed
avevano passato qualche giorno in compagnia dell'infermiera, ma era
sicuro di averle appena prese di striscio e che stamattina fossero
sedute al tavolo della loro Casa, impegnate a lamentarsi con aria fin
troppo melodrammatica dell'incidente e della sua incapacità.
Mentre avanzava urtò un ragazzo, probabilmente un
Corvonero del sesto anno, che gli rivolse a malapena un'occhiata
seccata e una serie di borbottii, stranamente somiglianti a improperi
sulla stupidità dei Grifondoro e promesse di maledizioni, prima di
scansarlo in malo modo.
Harry lo
guardò allontanarsi; ricordava di averlo visto con Seamus Finnigan
dietro la capanna di Hagrid qualche sera prima, e dallo stato dei loro
vestiti non doveva essere il loro primo incontro, ma forse era meglio
tenere per sé queste considerazioni.
Senza
preoccuparsene ulteriormente, Harry continuò la propria corsa. Se non
fosse andato dritto in aula, sarebbe arrivato in ritardo anche quella
mattina e avrebbe dovuto lucidare per l'ennesima volta i trofei della
scuola, ma l'infermeria era giusti dietro l'angolo e non gli sembrava
di sentire la voce di Madama Chips.
« Senta,
ho perso abbastanza tempo qui ».
Il
ragazzo si fermò sulla soglia, la mano tesa a sfiorare la maniglia e il
fiato corto. Qualcuno, un uomo, stava discutendo con voce notevolmente
irritata, probabilmente con tanta foga da non permettere replica al suo
interlocutore.
Si era
svegliato. Dopo quasi una settimana si era svegliato.
«
Harry, non capisco... »
« Ho
chiesto se sai qualcosa sugli Occhi di Priscilla ».
Non
gli sembrava di aver chiesto qualcosa di strano, ma Hermione lo fissava
come se gli fosse cresciuta una seconda testa e Ron aveva smesso
immediatamente di mangiare, quindi doveva aver detto per forza qualcosa
di sbagliato.
Il
ragazzo si agitò sulla poltrona, tormentandosi l'unghia del pollice
fino a farla sanguinare. Forse aveva capito male il nome, forse non
erano gli occhi, ma qualche altra parte del corpo ugualmente macabra ed
inquietante.
«
Ascolta, Hermione, forse ho sbagliato nome... »
« No,
no » lo interruppe la ragazza, scuotendo la testa. « Solo, mi sembra
difficile credere che ti interessi di botanica ».
In
effetti non gli interessava. Non in via permanente, almeno.
Lo
sguardo dei suoi amici era ancora concentrato completamente su di lui,
ed Harry si voltò ad osservare gli altri occupanti della sala per
distrarsi un momento. Praticamente nessuno sembrava far caso alla loro
conversazione, tutti troppo intenti a sfogliare distrattamente grossi e
pesanti tomi su qualche creatura sconosciuta e noiosa o su erbe
impossibili da ricordare, a giocare con piccole palline che si
illuminavano ad ogni rimbalzo o a cercare angoli appartati fra gli
scaffali. Se Merlino avesse avuto pietà di loro, forse Ron non aveva
appena visto sua sorella ritirarsi con Dean dietro la sezione di magia
e alchimia araba.
«
Comunque sono contenta ti interessi finalmente a qualcosa di diverso
dal Quidditch » disse in fretta Hermione, con voce più alta e stridula
del normale e chiudendo in fretta il pesante tomo che aveva consultato
per ore, portando su di sé l'attenzione di Ron. In quel momento Harry
sentì il forte istinto di abbracciarla.
«
Dicevo » riprese, fissando arcigna il ragazzo accanto a lei e
grattandosi il mento con la piuma. « Gli Occhi di Priscilla sono una
pianta piuttosto rara a fioritura annuale. Appartengono alla famiglia
delle coclearie, le corolle possono essere utilizzate nella
preparazione di alcune pozioni refrigeranti o antipiretiche, mentre i
pistilli... »
Harry
si abbandonò contro la poltrona, cullato dal calore del focolare e dal
continuo, monotono tono dell'amica. Sperava in una spiegazione più
semplice, magari di poche parole.
Purtroppo
l'aveva chiesto ad Hermione e la ragazza, come spesso accadeva, aveva
evidentemente memorizzato tutto ciò che la biblioteca della scuola
conteneva sull'argomento.
Stava
giusto cercando un modo gentile per congedarsi, quando la vide
abbassare appena lo sguardo, passando la piuma sulla punta del naso.
Forse non era una buona idea informarla della vistosa macchia nera che
le campeggiava sul volto. « Ora che ci penso, c'è una piccola
coltivazione di Occhi di Priscilla nella serra numero dieci » mormorò,
pensierosa. « Se non sbaglio, dovrebbero fiorire proprio in questo
periodo... »
Hermione
non poté mai terminare la frase, perché Harry raccolse in fretta le
proprie cose e, urlato un saluto e un ringraziamento frettoloso, si
precipitò fuori dalla sala, seguito dallo sguardo iracondo di Madama
Pince e dalle sue recriminazioni isteriche.
La
ragazza ancora non lo sapeva, ma quella era proprio l'informazione di
cui Harry aveva bisogno.
« Cosa
significa questo, Potter? »
Harry
deglutì sonoramente. Il coprifuoco era passato da un bel po' e lui era
nell'infermeria della scuola, in compagnia di Piton, con le mani quasi
congelate nascoste nel mantello e i denti che battevano per il freddo
che gli aveva gelato perfino la carne.
Merlino,
che situazione pietosa. Certamente non valeva quelle notti passate al
freddo in ginocchio nella serra.
L'uomo
abbassò lo sguardo sull'involto di panno che il ragazzo gli aveva
appena lanciato, prendendo fra le dita una delle corolle che perse
qualche petalo. « Lei sa che potrei farla espellere, vero? » continuò,
in tono velenoso. « Non solo potrebbe essere espulso per aver violato
il coprifuoco, ma anche per aver sprecato una gran quantità di ottimo
materiale da pozioni e rovinato irrimediabilmente una proprietà della
scuola ».
Harry strinse i pugni, per quanto gli fosse
possibile, e serrò le labbra.
I
fiocchi di neve che si erano accumulati sui suoi capelli e sui suoi
abiti si stavano sciogliendo in piccoli rivoli gelati sulla sua
schiena, i tagli sulle sue mani, per quanto piccoli, bruciavano da
matti ed era stanco, terribilmente stanco. E in tutto questo cosa
guadagnava? Ah, sì, un insulto per il pessimo lavoro e la promessa di
un'espulsione.
Non era
certo colpa sua se non aveva mai raccolto quei fiori, no?
«
Dovremmo attendere un anno per il prossimo raccolto, sempre che le
piante non siano troppo danneggiate » sibilò Piton, avvicinando
lentamente i loro volti. Aveva ancora una vistosa bruciatura sulla
guancia destra e una ciocca di capelli unticci la circondava in modo
avvilente, sottolineandone i contorni irregolari agli angoli
dell'occhio e della bocca. « Ha idea di quanto costino questi
ingredienti? »
Ovviamente non ne aveva idea, anche se questo il
vecchio pipistrello probabilmente lo ignorava, ma anche se per qualche
strano e recondito motivo lo avesse saputo, lo avrebbe dimenticato
all'istante.
Non
sapeva perché fosse andato nella serra quelle sere... be',
probabilmente giocavano un ottimo ruolo quel calderone esploso in
faccia al professore, il suo senso di colpa e il suo essere uno stupido
Grifondoro con il cuore appuntato al bavero, eppure da qualche mese a
quella parte vedere Piton gli agitava qualcosa più forte della solita
rabbia dentro, giù in fondo alle viscere, qualcosa che cresceva ogni
volta che l'attenzione del professore sembrava calamitata da
qualcos'altro.
Forse
avrebbe dovuto essere su uno di quei letti, probabilmente una delle
ultime cadute dalla scopa o uno dei bolidi che l'avevano colpito allo
stomaco erano stati più gravi del previsto.
« Deve
impegnarsi veramente molto per essere tanto incapace, Potter ».
Non
avrebbe saputo dire se fosse stato il tono sarcastico e saccente del
professore di pozioni, se fossero state le sue mani artigliate alle
lenzuola o, che Merlino lo aiutasse, le sue labbra che, nello sputare
il suo cognome, avevano quasi sfiorato le sue, ma Harry serrò gli occhi
e afferrò l'uomo per il bavero della veste, attirandolo verso di sé e
quasi scontrandosi con il naso, decisamente troppo prominente,
nell'intento di appropriarsi delle sue labbra.
Non
avrebbe dovuto gettare ogni prudenza al vento così, senza nemmeno
pensarci; quello era Piton, per l'amor del cielo, il professore più
odiato di tutta Hogwarts dalla fondazione ad oggi. Be', forse secondo
solo a Phineas Nigellus Black.
Il
ragazzo mugugnò, avvicinandosi maggiormente a lui e finendo col
sedergli accanto sul letto. Avrebbe certamente passato anni di guai,
avrebbe dovuto subire scene imbarazzanti di fronte ad un'intera classe
di Pozioni e quant'altro, eppure non riuscì a trattenersi: Piton lo
fissava con occhi spalancati e teneva ancora il lenzuolo stretto tra le
sue dita ossute, quando Harry cominciò a passargli una mano sulla
coscia. Pur attraverso la stoffa delle coperte, poteva sentire i
muscoli dell'uomo contrarsi e pazientemente avvicinò la mano al cavallo
dei pantaloni.
Merlino, le labbra di quell'uomo erano
incredibilmente secche e screpolate e la sua bocca era così diversa da
quelle piccole e morbide di Cho o Ginny, eppure Harry sentiva di non
voler essere in nessun altro posto.
Il
Grifondoro si scostò appena il mantello di dosso e posò di nuovo la
mano la mano sulla coscia del professore. Forse il vento freddo di
quella sera di dicembre aveva congelato quanto poco vi fosse di sano in
lui, ma il ragazzo non aveva alcuna intenzione di staccarsi da
quell'uomo; purtroppo Piton non sembrava essere dello stesso avviso e,
prima che osasse andare oltre, Harry si sentì spingere a terra.
Avrebbe voluto protestare perché, Merlino,
cadere in quel modo faceva male, ma quando alzò lo sguardo le parole
gli morirono in gola.
Gli
occhi del professore erano ridotti a due fessure e i suoi denti erano
digrignati come quelli di un cane rabbioso. « Esca immediatamente di
qui » sibilò lentamente Piton, appena udibile tra i denti stretti. « E
non pensi nemmeno di raccontare ai suoi amichetti cos'è successo in
questa stanza o ciò che potrebbe farle il Signore Oscuro le sembrerà
appena un gioco per bambini ».
Harry
arretrò lentamente, quasi sospinto da quelle parole, fino ad inciampare
in uno dei carrelli dell'infermeria, finendo a gambe all'aria,
circondato da bende e strumenti di vario tipo. Senza nemmeno curarsi di
raccogliere i vari utensili, si rialzò in fretta e corse a perdifiato,
diretto al sicuro della propria Sala Comune.
I suoi passi risuonarono per alcuni minuti nei
corridoi vuoi, immancabilmente seguiti dalla voce derisoria di Pix. Con
la fretta con cui era uscito, Harry non poté vedere Piton passarsi le
dita sulle labbra, per poi gettarsi nuovamente sul letto e serrare gli
occhi.
Il
giorno dopo sarebbe finalmente uscito da quel letto, pensò, voltandosi
sul fianco, e aveva intenzione di spiegare a quella classe di
decerebrati l'uso proprio e improprio della coclearia, forse avrebbe
potuto chiedere proprio a Potter quali fossero gli usi più comuni,
pensò, stringendo fra le dita le delicate corolle azzurrine degli Occhi
di Priscilla. |