-Generali Cross e Tsubaki. Quanto tempo- la voce
secca del sovrintendente Lvellie risuonò nella sala,
occupata quasi interamente da un enorme tavolo rotondo,
dov’erano seduti tutti i Generali.
-La nostra missione ha richiesto tempo, Sovrintendente-
replicò atona Rie, guardandolo come se non lo vedesse
–dovrebbe esservi arrivato il mio rapporto a scadenze
regolari, in ogni caso- continuò meccanicamente.
-E’ l’unico motivo per cui il Generale Cross si
trova seduto a questa tavola e non al banco di un tribunale
ecclesiastico- sentenziò l’uomo con sarcasmo,
guardando fisso Cross.
Il discorso andò avanti lungo tutta una serie di rivelazioni
sconvolgenti cui Rie non prestò particolare attenzione:
sapeva già tutto.
Sapeva che Allen Walker era il portatore
dell’eredità del Quattordicesimo Noah, sapeva che
il suo maestro avrebbe avuto dei guai a non fare rapporto. Lei
l’aveva avvertito, ma non era servito a niente.
Ogni tanto i suoi occhi si catapultavano sul viso di Marian, quando
Lvellie faceva un’affermazione troppo forte, ma il Generale
continuava a rimanere impassibile, calmo come al solito.
“Ma come fa? Se Lvellie mi parlasse a quel modo, lo
ucciderei. Maledetto pallone gonfiato e ipocrita” si
sfogò mentalmente la ragazza, immaginando di prenderlo a
calci. Dovette sforzarsi per non lasciare sul suo viso spazio
né alla rabbia, né al ghigno che si proponeva di
affacciarsi sulle sue labbra nel pensare a un pestaggio organizzato.
-Bene, a questo punto vi presento chi dovrà tenere Allen
Walker sotto stretta sorveglianza. Ispettore, può entrare-
quelle parole fecero scattare in lei un moto d’interesse. Si
girò verso la porta che si era appena aperta, e rimase di
sasso nel vedere chi era appena entrato.
“No. Assolutamente, categoricamente, no. Non può
essere” pensò, stringendo i pugni così
forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. Vide Cross girarsi
a guardarla.
I suoi occhi incrociarono quelli grigi e altrettanto impassibili del
ragazzo che era appena entrato. Riuscì a non mutare
espressione, ma sentiva il cuore batterle così forte che
temeva che sarebbe esploso.
Lui.
Cosa ci faceva lì, e perché era al seguito di
Lvellie?
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-Ehi, Rie, tutto bene?-
La voce le arrivò come da chilometri di distanza, mentre la
ragazza guardava con occhi sbarrati ora l’enorme dolce che
Allen si stava sbafando, e che sembrava davvero delizioso, ora chi
l’aveva portato.
-Rie? Ci sei?- una mano le sventolò davanti agli occhi.
Strizzò le palpebre, ricomponendosi.
-Si, si, Lavi. Ci sono- disse. Il rosso la scrutò
incuriosito –che ti è preso? Hai fame, forse?-
chiese –guardavi quel dolce come se tu volessi saltargli
addosso!-
La ragazza dovette sforzarsi per non sussultare e scosse la testa
–sono solo stanca, Lavi. E’ comprensibile,
dopotutto, no?- sospirò. Il ragazzo tacque.
-Sono Howard Link, incaricato di tenere sotto controllo giornaliero
Allen Walker. Cerchiamo di andare d’accordo- le parole del
ragazzo biondo che si era seduto di fronte a loro arrivarono gelide,
controllate, meccaniche.
Non dava alcun segno di averla riconosciuta, pensò Rie, e
nemmeno lei riusciva a capacitarsi che fosse davvero lì.
Doveva essere una coincidenza. Ci sono altri che hanno quei nei,
pensò, non è detto che sia per forza lui.
“Si, certo, come no. Non fare l’idiota,
Rie” si disse subito dopo.
Si alzò di scatto, tirando bruscamente indietro la sedia.
-Rie?- Lavi la fissò, sbalordito da
quell’improvviso cambiamento nel gelido contegno della
ragazza –non sto molto bene, Lavi. E’ tutto a
posto. Credo che andrò a riposarmi- disse, poi praticamente
scappò dalla stanza senza aggiungere altro,
finchè non sentì una voce rincorrerla.
-Rie! Dove vai? E’ l’ora
dell’allenamento!- la ragazza si girò verso Allen,
faticando per nascondere il suo sconcerto.
Erano appena stati a una delle riunioni più tese, tristi e
pesanti della loro carriera, quel ragazzo aveva appena scoperto di aver
impiantata dentro la memory del Quattordicesimo Noah e doveva essere
guardato a vista, ucciso nel caso avesse perso il controllo…
e si preoccupava dell’allenamento.
Non ebbe il cuore di negarglielo, gliel’aveva promesso poco
prima di uscire dall’arca, anche se era consapevole di cosa
avrebbe significato allenarsi da sola con lui.
“Fingi ancora un po’, Rie. L’hai fatto
per una vita, coraggio” pensò, sforzandosi di
sorridergli.
Sapeva che era fatto così, ma non credeva che la
volontà di Allen di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno
potesse arrivare a tanto.
-Beh, se sei sicuro…- disse esitante. Il ragazzo
annuì con forza, precedendola.
-Walker! Dove stai andando?-
La voce risuonò secca nel corridoio, e Allen si
immobilizzò di schianto, girandosi verso il ragazzo biondo
che era appena uscito dalla stanza.
-Ad allenarmi, perché?- rispose con noncuranza.
-Perché devi dirmi qualsiasi cosa tu faccia. Devo stare
assieme a te giorno e notte- rispose quello, duro.
Rie non sapeva cosa le fosse preso, ma dovette uccidersi mentalmente
molte volte prima di smettere di fissarlo e prendere in mano le redini
della situazione.
“Coraggio, Rie” si disse.
-Beh, allora seguiteci, Ispettore. Non è certo un
allenamento che nasconde un complotto- disse con noncuranza,
superandoli. Gettò un’occhiata ad Allen e sorrise
–allora, vogliamo andare?- l’albino
annuì, caracollandole dietro.
L’ispettore li seguì senza una parola.
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La ragazza sgusciava fra i colpi di Allen senza farsi neppure sfiorare,
rapida e leggera.
Il ragazzo attaccava continuamente, veloce, ma non quanto lei.
Nei loro combattimenti non c’era spazio per le scommesse.
Anche un bambino avrebbe capito chi dei due avrebbe avuto la meglio.
Ad un tratto Allen sembrò inciampare in qualcosa e
finì a terra di schianto, prendendo una sonora dentata. La
risata di Rie risuonò per tutta la sala.
-Ci sei cascato!- ridacchiò, porgendogli una mano.
-Ma… ma! L’innocence non vale!- sbuffò
quello, aggrappandosi al suo braccio.
-Gli akuma non manterranno mai i patti, quando combatterai contro di
loro, e tanto meno i Noah- disse, ma non fece in tempo a finire la
frase che Allen l’aveva scaraventata parecchi metri
più in là, approfittando del suo braccio teso.
Rie atterrò in piedi, sollevando una notevole
quantità di polvere.
-E’ proprio questo che intendevo…-
mormorò. La sabbia iniziò a formare mulinelli
sempre più ampi e giganteschi che sommersero tutta la sala,
finchè non si iniziarono a sentire i colpi di tosse
dell’albino provenienti da un punto preciso
dell’arena. Rie fermò l’invocazione e
scattò verso quel punto, sferrando ad Allen un calcio
micidiale che lo fece volare a terra.
-Basta, hai vinto- ansimò lui, ancora tossendo. La polvere
si posò lentamente.
-Niente male, Allen Walker- disse lei, sedendosi lì vicino.
Non era stanca, Allen non era un nemico contro il quale una come lei
potesse sudare sette camice.
Rie Tsubaki, il più giovane Generale dell’Ordine
Oscuro.
Link l’aveva osservata di sottecchi per tutto il
combattimento.
Oltre al Generale Cross, al momento sotto custodia, Rie era
l’unica esorcista ad essere compatibile di più di
un frammento di innocence.
L’ “Esorcista Elementale”, la chiamavano.
Acqua, aria, terra, fuoco. Questi erano gli elementi che riusciva a
controllare tramite l’innocence. Era capace di scatenare una
potenza disumana, e lui lo sapeva bene, pensò con sarcasmo.
L’unica volta che l’aveva vista perdere il
controllo gli era bastata per una vita intera.
Le era sembrata imbattibile, tutt’altra cosa dalla ragazzina
mingherlina e allegra che faceva il solletico ad un Allen Walker
insabbiato.
Appariva così serena, così spensierata,
così soddisfatta della propria vita e di ciò che
faceva che iniziò a chiedersi se non avesse fatto un errore
di valutazione.
Forse quello che Cross gli aveva detto anni addietro era vero, forse
lei non aveva bisogno che si rincontrassero.
Ma appena era entrato in quella sala aveva capito che Rie
l’aveva riconosciuto, aveva visto i suoi occhi abbassarsi e
le sue spalle contrarsi di colpo. Gesti minuscoli, che nessun altro
aveva notato, ma che per lui erano chiari come il sole.
Avrebbe solo voluto chiederle perché era scappata, ma aveva
dovuto continuare la farsa che metteva in atto da dieci anni.
“Non fare le cose di fretta. E’ spaventata, e lo
sei anche tu. Aspetta” si disse, sospirando.
Tossicchiò sonoramente, riprendendo il suo solito contegno.
I due si girarono ancora ridendo.
Link chiuse il libro con uno schiocco –spero che la signorina
Tsubaki avrà una soluzione per ripulire i miei libri dal
polverone, o mi sarà alquanto difficile fare rapporto- disse
con voce altezzosa.
Si odiò per quel tono, ma non poteva farci niente. Doveva
continuare, continuare a fingere.
La ragazza si alzò senza fare una piega, afferrò
il libro che l’ispettore teneva in mano e vi
soffiò attraverso.
Le pagine volarono una dietro l’altra, e il testo
tornò perfettamente pulito.
Le labbra di Rie si piegarono in un sorriso spavaldo e fintamente
innocente e l’Ispettore si ritrovò a fissare
quegli occhi chiari come il cielo al mattino che ben conosceva, e che
sviavano sistematicamente dai suoi –ecco a lei, Ispettore. Mi
scusi per il disturbo- cantilenò come se niente fosse. Poi
salutò con un cenno lui e Allen e imboccò la
porta dell’arena, chiudendosela alle spalle.
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Entrò nella sua stanza sbattendo la porta, poi si
buttò sul letto.
“Calmati. Calmati. Calmati” pensò.
Non era possibile. Non poteva essere lui.
Non adesso che finalmente, dopo dieci anni, era riuscita se non a
scrollarsi di dosso il peso di quella colpa che l’aveva
sempre schiacciata, perlomeno a conviverci.
Howard Link. Il cognome c’era, i due nei pure, gli occhi
grigi anche.
Non li aveva mai dimenticati, e non li avrebbe dimenticati mai.
Il fratello di James Link non poteva essere che lui.
Sospirò: dunque era questo che Dio o chi per lui voleva
farle capire?
Che non sarebbe mai potuta scappare da ciò che aveva fatto?
Che avrebbe dovuto sentire il peso della sua colpa per tutta la vita?
Che c’era qualcos’altro, sotto la sua fuga?
Un sordo bussare alla porta la distrasse.
-Avanti- disse.
-Ehilà!- la voce rude e fintamente allegra del generale
Cross le fece emettere un verso di stizza. Cosa diamine voleva da lei,
a quell’ora?
-Ma non ti avevano rinchiuso, guardato a vista?- domandò
acida, ma l’uomo non fece una piega e si sedette sul letto di
fronte a lei.
-Ci hanno incastrati per bene, eh?- chiese. Domanda retorica,
ovviamente. Lui conosceva tutta la storia, era uno dei pochi a saperla
per intero e ad averla udita da lei. Per il resto, erano tutte voci.
Rie annuì senza dire niente, mentre Cross riempiva due
bicchieri di un liquore dall’odore dolciastro. Storse il naso
–dovresti smetterla di bere quella roba, e pure di farla bere
a me. Sono appena maggiorenne, ebete d’un maniaco-
sbottò, ma sfilò comunque il calice dalle mani di
Cross e lo tracannò tutto d’un fiato, sentendo il
liquido bruciarle la gola e lo stomaco. Sapeva che poco dopo sarebbe
arrivato alle ginocchia e infine alla testa.
Chissà, magari in quel modo sarebbe riuscita a dormire.
Le dita dell’uomo afferrarono una ciocca dei suoi capelli
biondi, chiarissimi, segno della sua discendenza dai popoli
dell’Europa del Nord, nonostante il suo nome.
-Sei cresciuta troppo in fretta- mormorò con una nota di
tristezza nella voce –mi chiedo se non sia stata anche colpa
mia, se non abbia fatto degli errori giganteschi sia con te, sia con
Allen…- la ragazza scosse la testa, liberando i capelli
dalla presa di Cross. La disorientava quando partiva con quei discorsi,
come se da lui fosse dipesa la direzione che Rie avrebbe potuto
prendere.
-Sono cresciuta quando la mia vita me l’ha imposto, Marian.
Ti prego di non fare sentimentalismi; non sei il tipo, e poi basto io-
sbuffò appoggiando la testa al muro. L’uomo rimase
in silenzio.
-Dici che mi ha riconosciuta?- sussurrò poi, fissando lo
specchio appeso alla parete opposta. Il generale sospirò
–penso di si. Prima, quando tu ed Allen vi allenavate, non ti
ha tolto un momento gli occhi di dosso- rispose con
un’occhiata eloquente.
Rie rabbrividì senza volerlo, serrando le palpebre.
-Rie- la chiamò lui. Spalancò gli occhi di
schianto, girandosi a guardarlo. Cross la stava fissando seriamente
–non combattere da sola. Lui ti ha cercata, lo sai, e non
credo sia per vendetta- disse.
La ragazza non rispose, limitandosi ad annuire in modo meccanico, come
faceva sempre quando il discorso verteva su quegli argomenti.
L’uomo finì di fumare la sua sigaretta, poi la
lasciò sola.
Rie sentì la testa girarle, ma non sapeva se ciò
fosse dovuto all’effetto del liquore o allo shock della sua
vita che le imponeva di non dimenticarsi di lei.
“Maledetto alcool” pensò, abbandonandosi
sul letto.
Note dell'Autrice:
Bene, ecco a voi il secondo capitolo! Dal prossimo inizierò
a dipanare un po' la matassa sul passato comune di Link e Rie, ma come
sempre accade nelle mie fanfiction, NIENTE è così
semplice come sembra! mwahahahahahaha!
Ok, dopo questo sfogo -per fortuna breve- di pazzia, rispondo alle
recensioni e vado FINALMENTE a letto come le galline, visto che sto per
collassare sulla tasbsodbsjb
Nuirene: ma
ciao! :D sono contenta che l'incipit ti sia piaciuto! Link
sarà molto
presente in questa storia, avrai di che essere soddisfatta :3 a presto!
Sherly: come
farei senza la mia fedele commentatrice?? Ti voglio bene *__* che altro
aggiungere??
Oìche Mhaith!!
Bethan
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