il lungo addio
Il
lungo addio
E
me ne sto qui seduto, la testa tra le mani, ad affogare i tuoi occhi
sul fondo di un bicchiere, da ore giorni o settimane...Non voglio
ancora lasciarti andare, non sono pronto.
Voglio
solo restare qui, a contemplare la foto sgualcita che ho conservato
per oltre vent'anni. Sorridevi e mi abbracciavi stretto, i capelli
neri agitati dal vento mentre il sole lentamente si tuffava
nell'oceano, al di là della scogliera.....la nostra scogliera....
Riesco
ancora a sentire il tuo profumo e l'odore della salsedine che ci
avvolgeva, prima di quel salto....Quanto lo volevi. Tutta la tua vita
ormai ruotava attorno a quel chiodo fisso, segnata da una linea
immaginaria che avevi tracciato già nella tua mente. Era diventato
il tuo destino: dovevi saltare. Una follia che prese forma nella tua
mente in un pomeriggio tardo adolescenziale, io e te sdraiati al sole
cocente di un agosto che non eravamo ancora pronti a lasciare andare.
Perché settembre significava dirsi addio, saremmo tornati in città,
per procedere lungo strade separate, e la magia di quell'estate
sarebbe finita. Mi parlasti di quella scogliera alta oltre 11 metri e
della leggenda che in fondo all'oceano, proprio lì sotto, si
trovassero i resti di un antico relitto, ma le correnti erano troppo
forti per riuscire a recuperarlo. Ti presi per pazza, nessuno era mai
stato tanto incosciente da provarci, ma tu non mi ascoltavi.
Semplicemente rispondesti “Perchè no?” ed i tuoi occhi neri
celavano ormai lo spettro di quella decisione. Non sarei riuscito a
dissuaderti, a meno di legarti e imprigionarti da qualche parte.
Senza riflettere risposi “Se vuoi davvero farlo, vengo con te”.
Tu mi prendesti la mano e dicesti “No, è una cosa che devo fare da
sola. Devo riuscirci”
Ti
raggiunsi sulla scogliera qualche giorno più tardi ed eri già lì,
a contemplare l'abisso sotto di te. Arrivai di corsa e tentai di
fermarti, in ogni modo, ma non c'era niente che avrei potuto dire o
fare per dissuaderti. Premesti le tue labbra sulle mie, un'ultima
volta, prendesti la rincorsa e in un attimo scomparisti dalla mia
vista.
Non
esitai neanche per un secondo, non avevo scelta.
Ti
seguii.
Rinvenimmo
qualche minuto più tardi, sputando sale e acqua di mare.
Un'imbarcazione di pescatori ci aveva visti saltare ed erano riusciti
a recuperarci e portarci a riva. Eravamo circondati da curiosi e
soccorritori quando aprii gli occhi e la prima cosa che vidi fu il
tuo corpo, steso accanto a me, ancora immobile. Tossendo ed
arrancando nella sabbia mi precipitai su di te.....Dio fa che sia
ancora viva! Non puoi portarmela via! Non sono riuscito a salvarti
dall'oceano?....O da te stessa?
Attesi
per secondi interminabili, mentre i nostri soccorritori cercavano in
tutti i modi di tenermi lontano “Ha bisogno d'aria, la lasci
respirare!”
Aria?
Allora sei viva? Torna qui...torna da me....ho bisogno di vedere i
tuoi occhi e quel sorriso d'argento sulle tue labbra...e che tu mi
dica “sto bene, non preoccuparti”....
Mi
verso un altro whisky e spero di trovare conforto, almeno in questo.
Ricordo solo di averti afferrata, mentre eravamo
sott'acqua.....perché esitavi così tanto a tornare in superficie?
Eri lì sospesa, a contemplare quel che restava della nave arenata
sul fondale ed il silenzio dell'oceano era talmente opprimente che
non vedevo l'ora di riemergere, di tornare alla vita. Ti afferrai per
un braccio e ti spinsi verso l'alto, lottando contro il dolore per lo
sforzo e trattenendo faticosamente il fiato....certo che non sarei
riuscito a resistere ancora per molto.....ancora pochi metri....pochi
centimetri e saremo fuori......verso la luce rossastra del
tramonto....
E
gli ultimi sprazzi d'estate scivolarono via veloci, dopo quel giorno.
Io ripartii in treno, con i miei amici, uno zaino in spalla pieno di
ricordi di quell'estate da portare con noi. Mi desti quella foto di
noi due e dietro scrivesti “per sempre” e la data. Ti abbracciai
e respirai la tua stessa aria per l'ultima volta, senza rendermi
conto – o senza voler accettare – che non ci saremmo mai più
rivisti. Tu saresti tornata in Italia e lì avresti lasciato che il
tuo destino si compiesse, portandoti a percorrere la strada che esso
aveva già disegnato per te.
E
ti ho pensata spesso in tutti questi anni....quante volte avrei
voluto ritrovare i tuoi occhi in quelli delle donne che ho
incontrato......ma nessuna di loro era te, nessuna potrà mai più
essere come te. Qualche giorno fa ho ricevuto una tua
lettera...chissà come, tu sei riuscita a trovarmi per farmi sapere
ciò che stavi per fare. Stavolta non avrei potuto essere lì e salvarti da te stessa. Avevi già deciso tutto nei minimi dettagli:
con i pochi risparmi che avevi comprasti il biglietto aereo di sola
andata per la California....avevi affittato una camera – questa
camera – in una bettola di motel in mezzo al nulla nel deserto,
dalla quale mi avevi scritto e spedito la lettera.....forse già
sapevi che avrei voluto venirci di persona, a cercare qualche traccia
di te, una volta scoperto che quel salto era stato davvero l'ultimo.
E
ti odio per non avermi dato il tempo di dirti addio, per l'ultima
volta, nonostante tutti questi anni....e per avermi lasciato qui, con
i miei fantasmi ed il mio senso di colpa.....perduta per
sempre.....l'oceano ti ha ingoiato e ti ha sputata fuori, come fossi
una qualsiasi delle creature che lo abitano....
Prendo
la tua lettera stropicciata dalla tasca della giacca e la accartoccio
nella mia mano....
sento
le lacrime uscire impetuose e non faccio niente per fermarle...che
senso avrebbe?
Prendo
l'accendino e la guardo ardere e ridursi in cenere davanti a
me.....forse è l'unico modo per riuscire a riemergere da
quell'incubo.
La
lascio cadere sul tavolino di legno e resto a guardare come
ipnotizzato le fiamme
che
lo intaccano lentamente.
Sposto
lo sguardo sulla bottiglia con quel che rimane dell'alcol al suo
interno.
Senza
pensare la afferro per il collo.
Mi
muovo come se le mie azioni fossero già state scritte, in qualche
libro di un milione di anni fa. Non ho altra scelta.
Con
tutta la forza che ho, lancio la bottiglia contro la parete, dietro
il tavolino ormai in fiamme.
Si
infrange subito in mille pezzi e l'alcol si sparge ovunque,
alimentando le fiamme in pochi istanti.
Raccolgo
la giacca e ripongo la tua foto nel portafogli, dove è sempre stata
e sempre rimarrà.
Lentamente
mi volto ed esco, richiudendo la porta con cura alle mie spalle
mentre
ampie nuvole di fumo nero si propagano all'interno della stanza.
Mi
fermo un istante davanti alla porta per accendere una sigaretta,
guardando
il deserto e la highway 66 davanti a me, completamente deserta.
Guardo
la mia Ducati bianca, che riflette il sole cocente e
asciugo
quel che resta delle lacrime sul mio viso.
Ho
i tuoi occhi stampati in mente, a tenermi compagnia.
So
che questo è ciò che vorresti anche tu. Non hai voluto spegnerti
lentamente, bensì bruciare, ardere, ed andartene in un istante solo.
E
a me ciò che resta è solo la cenere.
Ma
ti ricorderò per sempre, Marina, e questo sarà il mio personale
omaggio a te....un lungo addio, per salutarti un'ultima volta, prima
di lasciarti andare per sempre.
Questa
storia è liberamente (mooooolto liberamente) ispirata a “Il lungo
addio”, Dylan Dog numero 74. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. XoXo E.
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