One Direction
I
raggi del sole facevano capolino dalle sottili tende di color porpora
lasciate leggermente aperte e giungevano sul letto dove accarezzavano
la mia pelle scoperta per colpa delle stupide lenzuola che
durante un sonno movimentato si erano arrotolate attorno alle gambe. La
sveglia aveva suonato un paio di volte e prontamente avevo allungato
una mano sul comodino cercando di mettere fine a quella tortura,
ma come se la sveglia non fosse sufficiente sentii i passi pesanti di
mia madre trascinarsi lungo il corridoio del piccolo appartamento
all'ultimo piano di una palazzina in periferia che con tanto sudore mia
madre era
riuscita a guadagnarsi.
- Samantha, sbrigati! Hai chiuso le valigie? -
odiavo doverlo ammettere, ma la sua voce era dolce e melodiosa anche
alle prime ore del mattino. Odiavo la sua perfezione e più
la
guardavo, più mi rendevo conto di non aver ereditato nulla
di
lei, era alta all'incirca
un metro e ottanta, aveva un fisico da modella e lunghi capelli
biondissimi che le ricadevano ondulati lungo le spalle per raggiungere
la metà della sua schiena perfettamente dritta, i suoi occhi
erano di colore verde
smeraldo ed il suo portamento era dolce ed aggraziato tanto quanto lo
era ogni singola parte di lei. Io ero esattamente il suo opposto,
raggiungo a malapena il metro e sessanta, non ho il fisico di una
modella sebbene
abbia ereditato da mia madre il suo ottimo metabolismo, riesco a
mangiare qualunque cosa io voglia senza ingrassare più di
tanto
e tenere le forme nei punti giusti, la mia pelle è
"abbronzata"
così come adora definirla mia
madre che al contrario di me ha una carnagione molto più
chiara,
i miei capelli sono perennemente lisci e castani ed i miei occhi sono
di un color ancora da definire, un marrone chiaro e vivace.
Quello appena finito, era stato il mio ultimo anno scolastico, ero
riuscita a superare la quinta con ben 85 punti su 100 ed ero
dannatamente felice e fiera di me stessa dal momento che ero stata
costretta a lavorare come
barista in uno stupido locale notturno sei notti su sette e nonostante
tutto andare a scuola tutti i giorni. Sì, potevo proprio
dire di
essere fiera del mio lavoro e di meritarmi le vacanze che mia madre
aveva preparato per me.
Infilai un paio di jeans ed una canotta che avevo appositamente
lasciato sul letto e raggiunsi mia madre in cucina che sedeva al tavolo
con in mano una tazza di caffè fumante, rigorosamente nero,
altra cosa in comune e credo che potrei cominciare a spaventarmi e
rivedere la mia posizione, un toast nel piatto senza burro e con sopra
spalmata della marmellata dietetica, una di quelle schifezze che le
consiglia Carlo, il suo dietologo, uomo
simpatico ma mia padre potrebbe puntare anche più in alto.
Prendo posto sulla sedia di fronte alla sua senza accorgermi che come
di consueto la televisione trasmetteva uno di quegli stupidi programmi
di gossip che
mia madre si ostinava a guardare.
- Tesoro, non hai mangiato del vetro sai? Potresti spostarti per
favore? -
scossi la testa sorridendo scalando sulla sedia accanto, quel suo
accento inglese era fastidioso, era riuscito a conservarlo sebbene
vivesse in Italia da praticamente una vita, o almeno da quando mi ha
messa al mondo.
Versai del caffè nella tazza e ci inzuppai un paio di
biscotti,
ma non riuscii a finire di mangiare la colazione che mia madre,
lanciata una rapida occhiata al suo orologio, saltò in piedi
e
corse di sopra a prendere le valigie
urlando qualcosa come - E' tardissimo, perderai l'aereo - non riuscii a
capire perfettamente quello che disse perchè stava ancora
finendo di masticare l'ultimo pezzo di toast che si era messa in bocca
prima di correre
come una matta. Quando tornò al piano di sotto lanciai uno
sguardo in giro per assicurarmi di aver preso tutto e feci un riepilogo
mentale di tutte le cose che avrei dovuto portare con me adattatore, telefono,
caricatore, i-pod, soldi, passaporto e carta d'identità, eeh
. . . cavolo non mi veniva in mente nient'altro
- Tesoro tranquilla, se hai dimenticato qualcosa ce l'avranno
sicuramente zia Jen e tua cugina Amanda. Ora muoviamoci che altrimenti
perdi l'aereo. -
sbuffai aprendo lo sportello dell'auto ed infilandomi in macchina
stringendo le gambe contro il petto, sapevo che mia madre non era
contenta quando mi sedevo in macchina in quel modo ma non mi avrebbe
detto
granchè in quel momento, era talmente agitata dal pensiero
che
potessi perdere l'aereo che dovetti ringraziare il cielo se
riuscì a non causare nessun incidente lungo la strada.
Quando arrivammo all'aeroporto imbarcai le due valigie tenendo con me
una più piccola da portare a bordo dell'aereo, era
così
maledettamente scomodo viaggiare in aereo, tutte quelle regole sui
bagagli mi davano
la nausea. Ci salutammo ben cinque volte, e ad ogni abbraccio mia madre
piangeva sforzandosi di sorridere. Aveva fatto lo stesso quando
l'estate prima ero partita con i miei amici ed eravamo andati ad Ibiza,
la
classica vacanza estiva all'insegna del divertimento, solo che
ringraziando sempre il cielo, quella volta pianse a casa davanti a me
ed Alex, la mia migliore amica. Quest'anno era riuscita a convincere i
suoi genitori
a farle fare un anno intero in America presso una famiglia e
stranamente i suoi avevano acconsentito, così le vacanze
insieme
avevamo semplicemente deciso di rimandarle all'estate successiva.
Quando chiamarono il mio volo mi diressi verso il gate ma fui
letteralmente travolta da una folla di ragazzine impazzite con in mano
sciarpe, sebbene fosse il 20 Giugno, magliette a cartelloni
probabilmente di un
gruppo musicale del momento. Sbuffai rialzandomi sotto l'occhio
divertito di un paio di ragazzi ai quali risposi con uno sguardo
scocciato e capirono immediatamente che avrebbero fatto meglio a
girarsi e parlare
tra di loro che dare delle seccature alla sottoscritta. Raggiunsi il
gate e sbuffai nuovamente, non avevo mai pensato di poter trovare
così tante persone pronte a salire su quel maledetto aereo,
ma
avevo dimenticato
che mia madre, perfetta com'era aveva deciso di fare le cose in grande
segnandomi sulla corsia preferenziale, quella che ti permette di
saltare l'incombenza di fare la fila e raggiungere l'aereo prima degli
altri. Così
mi stampai un sorriso sulla faccia e raggiunsi una hostess alla quale
mostrai il biglietto e mi lasciò passare indicandomi una via
luminosa da seguire. Una volta a bordo inspirai profondamente, l'aereo
era enorme e
per più di una volta mi venne in mente il film Final
Destination, dove l'intera classe, o quasi, muore su quell'aereo mentre
gli altri fanno comunque una brutta fine. Deglutii, non sarebbe stato
certo il mio caso. Incrociai
lo sguardo di una hostess che raggiungeva la sua postazione alquanto
infuriata, le sorrisi e ricambiò, attraversai la prima
classe e
capii il motivo della sua rabbia, un gruppo di cinque ragazzi stava
cantando una stupida
canzone, sebbene fossero tutti e cinque dannatamente intonati, li
superai sentendoli dire qualcosa in inglese, ma poco mi importava tanto
non li avrei capiti in ogni caso. Raggiunsi in fretta il mio posto,
accanto al finestrino e pensai a mia madre e a sua sorella,
probabilmente quello di essere single con una figlia era un vizio di
famiglia, anche se in realtà mia zia Jen aveva divorziato da
suo
marito, io mio padre nemmeno lo avevo
conosciuto, ecco perchè mi ritrovo ad avere non solo un nome
strano per essere italiana, ma anche un cognome. Una bambina prese
posto accanto a me, aveva poco più di dieci anni e
già
viaggiava da sola, le sorrisi
pensando se salutarla o meno e cercare di instaurare una conversazione,
ma qualcosa mi disse che era inglese e questo mi fece pensare che io in
inglese sapevo solamente dire come mi chiamavo, buongiorno e
buonanotte. Quando le hostess richiusero i portelloni dell'aereo, il
pilota ci informò che la partenza era imminente, capii di
dover
allacciare la cintura quando vidi il disegno illuminarsi e l'aereo
cominciare a prendere
velocità. Chiusi gli occhi inspirando, sentii delle
fragorose
risate e vidi l'hostess di prima camminare lungo il corridoio a passo
svelto con la stessa faccia arrabiata di poco prima e capii che si
doveva trattare dei soliti
cinque ragazzi e per un attimo risi divertita. Credo che la mia
espressione fosse realmente terrorizzata perchè la bambina
sorridendo mi prese la mano e la strinse cercando di darmi conforto e
di non farmi pensare al
peggio, la guardai sorridendole e superato il decollo lasciai la sua
mano, che forse avevo stretto un pò troppo forte, a
giudicare
dal colore rosso e dalla faccia stranamente divertita della bambina.
Il viaggio, al contrario di quello che avevo pensato, procedette bene,
riuscii persino ad addormentarmi per venti minuti dopo i quali mi alzai
per raggiungere il bagno. Entrai nuovamente nella parte dedicata alla
prima
classe e mi feci largo nel corridoio ma proprio quando raggiunsi la
penultima fila di poltrona, fui travolta da un ragazzo, decisamente
alto per i miei gusti e dai capelli castani e gli occhi azzurri, che mi
gettò sulla fila
parallela di sedili schiacciandomi completamente. Lo fissai per qualche
secondo e notai un sorrisetto divertito sulla sua faccia, tanto che la
mia espressione divenne uguale a quella della hostess, il ragazzo si
alzò
aggiustandosi la camicia e mi tese una mano che afferrai e mi
aiutò ad alzarmi. Inarcai una sopracciglio aspettandomi
delle
scuse che tardarono ad arrivare, i suoi amici mi guardavano divertiti
ma solo uno prese la
parola e si scusò per l'amico
- Scusaci, stavamo giocando e non ti abbiamo visto -
a parlare era stato un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri,
mossi la testa e cercai nella mia mente delle parole in inglese che
potessero dire semplicemente non
fa niente, sono ancora viva. Un pò ammaccata, ma viva. decisi
che quella frase era troppo elaborata così abbozzai un
sorriso e mi limitai a dire un semplice
- Tutto okay. Grazie -
il ragazzo che poco prima mi aveva travolta mi squadrò da
capo a piedi e poi prese la parola quasi vittorioso
- Non sei inglese vero? -
Einstein gli faceva un baffo, ottima deduzione, d'altronde che cosa gli
aveva fatto esattamente capire che non fossi inglese, il mio terribile
accento oppure la mia carenza nel vocabolario di lingua inglese?
- No e non lo parlo granchè -
affermai con un lieve sorriso
- Peccato . . . -
sentii una voce di sottofondo provenire da un altro dei cinque ragazzi,
aveva i capelli ricci ed una maglietta colorata, mi guardava con un
sorriso gentile al quale risposi per poi alzare le spalle e salutare i
ragazzi
raggiungendo finalmente il bagno. Quando ripercorsi la stessa strada, i
ragazzi si limitarono a guardarmi e raggiunto il mio posto la bambina
seduta accanto a me mi accolse con un sorriso
- One Direction -
disse sorridente, come se qualcuno le avesse appena regalato una di
quelle meravigliose barbie con i vestiti da sera più belli
che
io abbia mai visto
- Che cosa piccola? -
chiesi senza aver capito che cosa avesse voluto esattamente dire
- I ragazzi con qui hai appena parlato. Loro sono gli One Direction -
disse indicando i cinque che guardavano dalla nostra parte, mi sporsi
dal sedile e quando incrociai lo sguardo del ragazzo dai capelli ricci,
mi resi conto che aveva due occhi verdi meravigliosi e subito mi nascosi
scivolando nel mio sedile imbarazzata.
- Oh sì. Sono simpatici -
risposi sorridendo, in realtà non li avevo mai visti
nè
sentiti prima d'ora ma la bambina sembrava essere una loro fan o almeno
sembrava conoscerli e volevo cercare di fare una bella figura.
Dopo un'ora e qualche minuto atterrammo all'aereoporto di Holmes
Chapel, mi avvicinai al rullo dove di lì a poco sarebbero
cominciate ad arrivare le mie valigie e quando le individuai le
trascinai per terra e mi
diressi verso l'uscita dove una guardia mi bloccò
indicandomi un'uscita laterale
- Mi scusi ma l'aeroporto è troppo affollato e non possiamo
aprire queste porte -
rispose con un marcato accento inglese, annuii sorridendo e mi diressi
verso l'uscita che era stata indicata. Ero la prima ad uscire, la prima
dopo il gruppo di ragazzi sull'aereo, li superai alzando il
cappuccio della felpa, dannato tempo inglese, mi ero dimenticata che la
Rossi, la professoressa di inglese, aveva passato cinque anni a
spiegarci come il tempo in Inghilterra, facesse schifo 360 giorni su
365.
- Ehi! Qual'e' il tuo nome? -
sentii gridare uno dei ragazzi che in poco meno di due secondi mi aveva
raggiunta, lo guardai divertita porgendogli la mano
- Samantha. Piacere -
- Io sono Louis, piacere mio -
disse stringendo la mano sorridente poi terminò le
presentazioni
- Quello al cellulare è Liam, gli piace una ragazza e cerca
consigli online su come conquistarla -
lo sguardo di Liam fulminò Louis
- Tante grazie Lou -
dissi sottovoce, ma entrambi risero dopo qualche secondo
- Il biondo è Niall, quello al suo fianco è Zayn
e il figone la in fondo è Harry -
Sorrisi a tutti i ragazzi che mi aveva presentato fino a raggiungere il
ragazzo riccio dagli occhi verdi, Harry aveva detto che si chiamava. Da
parte sua il ragazzo ci raggiunse con un passo deciso, sicuro di
sè e mi porse
la mano che strinsi sorridendo
- Piacere di conoscerti Sammi -
disse piegando le labbra in un sorriso lasciando comparire due fossette
sulle guance. Sammi?! ma che razza di soprannome è, un cane
lo
chiamo Sammi, la tartaruga di Alex si chiamava Sammi, nome datole in
mio onore, ma Sammi faceva decisamente schifo.
- Sam mi piace di più -
- Allora ti chiamerò Sam -
affermò ridendo, lo guardai divertita e gli indicai la mano
che stava ancora stringendo
- Se mi lasci la mano io magari andrei. Mi stanno aspettando -
dissi divertita, il ragazzo indugiò qualche istante e poi
lasciò andare la mia mano ma prima che potessi riprendere la
strada mi parlò nuovamente
- Lasciami il tuo numero, così magari ci vediamo -
mi voltai guardandolo, poteva anche essere un cantante e l'idolo di
tante ragazzine, ma non davo il mio numero a ragazzi conosciuti da poco
più di cinque secondi, okay probabilmente se fosse stato
Orlando
Bloom
gli avrei lasciato anche l'indirizzo di casa scritto su un paio di
mutande, ma bello quanto voleva, lui non era Orlando Bloom.
- Non dò il mio numero alle persone che nemmeno conosco -
affermai ridendo
- Se non me lo dai come facciamo a vederci di nuovo -
- Destino -
affermai sorridendo riprendendo le valigie e facendomi strada fra le
persone che intanto avevano cominciato ad affollare l'uscita secondaria
dell'aereoporto. Con un'abile mossa riuscii a superare le persone ed
uscii
nel grande parcheggio dell'aereoporto, vidi l'alta figura di zia Jen
fare capolino dal marciapiede poco distante, era identica a mia madre.
La raggiunsi sorridendole e la abbracciai, infilammo le valigie in
macchina e
mi diressi verso il sedile anteriore aprendo lo sportello ma mi accorsi
che qualcosa non quadrava
- Guidi tu? -
disse scherzosamente, scoppiai in una risata divertita. L'altra cosa
che la Rossi aveva ripetuto un centinaio di volte era che in
Inghilterra la guida era dal lato opposto. Ridendo feci il giro della
macchina e misi seduta
sul sedile anteriore giusto. Osservai la strada curiosa, sebbene ormai
sapessi della guida dalla parte opposta, mi spaventai per due volte
quando la zia camminava lungo la carreggiata che sostenevo dovesse
essere
per le macchine provenienti dal senso opposto.
- Credo che se abitassi qui non riuscirei mai a prendere la patente -
dissi ridendo suscitando anche le risate di mia zia. Mi resi conto solo
in quel momento che Amanda non era venuta così mi sforzai di
fare la brava cugina e chiedere informazioni su di lei
- Come mai Amanda non è venuta? -
domandai con non troppa curiosità, ma mia zia non
sembrò farci molto caso
- E' alle prove. Si è iscritta ad un corso di teatro proprio
l'altro giorno e . . . non arrabiarti ma sapendo quanto ti piace
recitare Amy ha deciso di iscrivere anche te -
per un attimo trattenni il respiro, non sapendo se dare più
importanza al fatto che ora la chiamasse Amy, oppure al fatto che mi
avesse iscritta ad un corso di teatro
- Se può esserti d'aiuto, è il migliore di tutta
Holmes Chapel -
affermò soddisfatta di quell'informazione che mi aveva
appena dato.
Io amavo recitare, avevo interpretato diversi ruoli principali nella
mia vecchia scuola tra cui Wendy nella recita di Peter Pan il primo
anno, Gabriella di High school musical il secondo e altre parti ma
questo non gli
dava il diritto di prendere una decisione al posto mio e questo mi
faceva irritare. Sospirai abbozzando un sorriso, non avrei cominciato
le mie vacanze litigando con la zia così annui con poca
convinzione, ma anche
questa volta la zia non si accorse di niente se non del fatto che avevo
passivamente accettato di prendere parte a quel progetto di teatro.
Il viaggio durò pochi minuti e non appena imboccato il lungo
viale, riuscii a riconoscere la casa della zia, era una casa di modeste
dimensioni, uguale a quelle che si stagliavano ai suoi lati se non per
un unico dettaglio,
la sua porta era dipinta di un irritante color giallo canarino e questo
particolare la rendeva visibile a chilometri di distanza. Era stata
Amanda a dipingerla di quel colore quando era ancora piccola, e io la
detestavo
perchè la mamma non mi aveva mai permesso di fare una cosa
simile, non potevo nemmeno appendere un poster nella mia camera che
suscitavo la sua ira.
Trascinai le valigie lungo i minuscoli scalini e raggiunsi la mia
stanza al piano di sopra, il lato positivo era che almeno non avrei
dovuto condividerla con quel mostro di mia cugina e non avrei dovuto
assistere alle
sue scene disgustanti. Mi lasciai cadere sul letto e guardai lo schermo
del cellulare che segnava le 17.30, non pensavo che fosse
già
così tardi. Composi il numero di mia madre ma il telefono
squillava senza ricevere
alcuna risposta. Probabilmente aveva già deciso di
spassarsela
con uno dei suoi tanti amici, e chi la biasimava. Aveva solo 36 anni ed
un corpo da favola, chi poteva biasimarla. Aveva passato tutta la sua
adolescenza
ed i suoi anni migliore a prendersi cura di sua figlia da sola e adesso
si stava prendendo la sua piccola rivincita.
- Saaaammmi! Alle 18.00 è pronta la cena -
sgranai gli occhi, un'altra persona che osava chiamarmi in quel barbaro
modo. Ma in quel momento riuscii solamente a pensare che la cena
sarebbe stata pronta alle 18.00, mi stava prendendo in giro?! Non sarei
riuscita a buttar giù nemmeno un pezzo di pane a quell'ora,
io che ero abituata a mangiare alle 21.00.
Chiusi gli occhi inspirando a fondo, ripensando a quei ragazzi
incontrati in aereoporto e non potei fare a meno di sorridere divertita
all'idea che centinaia di ragazze si erano fermate per
chissà quanto tempo fra le
mura dell'aereoporto solamente per vederli, magari anche da lontano,
mentre io che non li avevo mai visti nè sentiti nella mia
vita, li avevo conosciuti, tutti e cinque. I miei pensieri furono
interrotti dall'arrivo di Amanda
che aprì bruscamente la porta della mia stanza raggiungendo
il letto con un sorriso, aveva sempre pensato di starmi simpatica,
questo probabilmente perchè la mamma mi aveva sempre
corrotta con montagne di
caramelle per trattarla bene ed illuderla così di essere la
mia cugina preferita, e d'altronde se pensiamo al fatto che
è anche l'unica cugina che ho, potrei concederle il
privilegio di essere quella preferita.
La squadrai per qualche istante, dell'Amanda che ricordavo io non era
rimasto più niente, certo aveva mantenuto la stessa altezza,
carta che però non era nemmeno a mio favore, quindi avrei
sorvolato, aveva perso
dieci chili e messo su un fisico perfetto, o quasi, ma era comunque
sulla retta via, aveva tinto i capelli facendoli diventare biondi e
stranamente non stonavano con i suoi occhi scuri.
- Che ne hai fatto di mia cugina? -
domandai osservandola, da parte sua si scatenò una risata e
quasi mi irritai quando dovetti riconoscere che anche il suono della
sua voce era diventato quasi piacevole. Ma che ne avevano fatto
seriamente di
Amanda? L'avevano abbandonata e sostituita con questa ragazza che mi
trovavo di fronte?
- Sono sempre io, cambiata, ma sono sempre io -
disse divertita, e mi sfuggì un sorriso del quale mi pentii
pochi secondi dopo quando fattasi forza mi venne ad abbracciare
stendendosi accanto a me. Feci un rapido calcolo, io e lei ci passavamo
esattamente 3 anni perciò se io dovevo farne diciannove in
Agosto, lei dovrebbe averne all'incirca sedici.
- Stasera potremmo uscire, un mio amico dà una festa a casa
sua. Suo fratello più grande è tornato a casa
oggi con degli amici e vuole festeggiare e sua madre è fuori
città -
incrociai lo sguardo di Amanda che voleva esattamente dire che a quella
festa si sarebbe divertita da morire, chiunque lo avrebbe fatto,
insomma una festa genitori è una signora festa. Ma dovevo
anche tenere
presente che sarebbe stata una festa di ragazzi più piccoli
di me di tre anni.
- Oh andiamo. Che ne è stato del tuo spirito di festa?
Dov'è finita la Sam che non appena sentiva la parola party
si precipitava alla porta di casa con una bottiglia di birra in mano? -
Chiese invocando i bei vecchi tempi
- E' rimasta in Italia. Stasera non me la sento, sono un pò
stanca. Facciamo un'altra sera okay? -
- Okay -
sbuffò sconsolata, ma riprese quasi subito la parola
- Vuoi che resti a farti compagnia? -
mi chiese anche se capii dal tono della sua domanda che sperava che la
mia risposta fosse negativa affinchè potesse andare alla
festa
- No tranquilla, credo che mi addormenterò presto stasera. -
dissi sorridendole.
Dopo cena Amanda
andò alla festa a casa del suo amico che scoprii abitava
infondo alla strada, zia Jen si mise sul divano a guardare un vecchio
film inglese di quelli ancora in bianco e nero e io mi ritirai nella
mia
camera al piano di sopra.
Presi il telefono e notai che erano arrivati un paio di messaggi, in
uno la mamma mi informava che stava bene e mi chiedeva se fossi
arrivata. Certo mamma,
tanto anche se mi fossi persa a quest'ora potresti seriamente
aiutarmi. pensai ridendo. Il secondo messaggio era di
Alex, avevamo promesso di inviarci un messaggio al giorno sebbene ci
trovassimo in due paesi differenti perciò il suo
messaggio diceva
semplicemente che stava bene e che le mancavo. Scrissi rapidamente che
stavo bene anche io e che anche lei mi mancava e lascia il telefono
sulla moquette impostando la sveglia per il mattino
seguente. La zia aveva parlato con una sua amica che mi aveva
gentilmente offerto un posto di lavoro per i tre mesi estivi e avrei
cominciato l'indomani con il turno di mattina. Fare la cameriera in un
bar non era mai
rientrato esattamente nei programmi estivi ma d'altronde l'idea di
lavorare non mi aveva mai spaventata e non potevo trascorrere tre mesi
interi a spese di mia zia perciò avrei dovuto darmi da fare.
|