Salute
a tutti! Dopo aver composto una brevissima flashfic (Un anno ancora) mi
accingo a tornare in punta di piedi in questa sezione con una storia
ben più corposa che, pur avendo come protagonisti principali
la coppia Vegeta/Bulma, racchiuderà un pò tutti i
personaggi catapultandoli in un universo alternativo di stampo
piratesco. L'idea nasce dall'aver scoperto l'esistenza di un manga
crossover tra Dragon
Ball e One
piece (Cross
Epoch), da cui però prenderò le
distanze, ispirandomi più che altro a film e libri di genere
avventuroso/fantasy.
Non avendo mai letto il manga originale ed essendomi avvicinata
all'anime per la prima volta dall'autunno scorso (e non avendolo ancora
visto tutto!), spero di riuscire a rendere comunque giustizia ai
personaggi senza stravolgerli troppo! In ogni caso sono aperta a
critiche e consigli, sia attraverso le recesioni sia, se vi va,
attraverso la pagina scrittore che ho creato su Facebook, che potete
raggiungere anche dai bottoni della mia pagina personale qui su efp.
Augurandomi di riuscire a incuriosirvi e divertirvi, vi lascio alla
lettura!
Alla prossima!
UNDISCLOSED DESIRES
I:
CHEATED!
La massiccia ancora di ferro
affondò rapidamente nella sabbia umida e sottile del
bagnasciuga con un tonfo pesante, sollevando schizzi d’acqua
salata fino alle teste irsute dei bucanieri, pronti a gettarsi nella
carneficina e nella razzia del lido appena assaltato, con le spade
sguainate e svariate munizioni nelle bisacce.
Dalla
fiancata di tribordo dieci cannoni, sui venti che la armavano,
sbucarono con prepotenza dai portelloni dello scafo color mogano,
sputando rabbiosamente delle palle incendiarie che andarono a
distruggere le cime degli alberi più alti, propagando un
incendio che avvolse e distrusse la lussureggiante vegetazione
dell’isoletta tropicale.
Uccelli
variopinti e altre esotiche piccole creature tentarono una fuga
disperata da quell’inferno di fiamme e fumo, che in pochi
minuti aveva arrossato e intossicato l’atmosfera tersa e
tranquilla.
Le loro
urla straziate e sempre più soffocate si diramarono fino al
ponte dell’imponente galeone, graffiando e inebriando le
orecchie del Capitano con il loro tetro sentore di morte.
Terra
bruciata, sterminio di ogni forma di vita che non meritava di respirare
la sua stessa aria. Ogni essere che intralciava i suoi piani era un
nemico da eliminare, senza scrupoli. Presto avrebbe dominato su tutti
gli altri che avrebbero avuto l’intelligenza di sottomettersi
servilmente e saggiamente alla sua indiscussa superiorità.
E si
sarebbe crogiolato in quello stato di onnipotenza per moltissimi anni,
fino alla fine dei tempi. Avrebbe avuto tutto e tutti nelle sue mani:
il mare, i tesori, gli uomini.
Imperatore
del mondo.
Un sorriso
superbo si dipinse sul suo viso mentre sfiorava la superficie liscia e
rotondeggiante del prezioso oggetto dal quale, una volta ricongiuntolo
con i suoi analoghi, sarebbe derivato il suo potere.
- A quanto
pare quest’isola è disabitata –
commentò deluso in quel momento il suo primo ufficiale,
conservando con un grugnito il cannocchiale nella custodia di stoffa
appesa alla cintola, lisciandosi il cranio calvo e tatuato.
Il secondo
di bordo gli si affiancò scuotendo la lunga zazzera nera e
incolta, dopo aver smesso di fissare con avidità la foresta
nella vana speranza che ne uscisse fuori qualche sagoma più
alta di un metro: - Che disdetta! Non avremo sporchi indigeni da
massacrare!
Entrambi
sputacchiarono un’altra sequela di imprecazioni, restando con
gli occhi piantati allo spettacolo eccitante del fuoco assassino che
continuava a divorare la morfologia del luogo, rendendola
irriconoscibile.
La voce
tagliente e apatica del comandante li ammutolì: - Poco male
se non c’è nessuno da ammazzare. Il nostro tempo
qui è limitato.
A quella
dichiarazione si voltarono di scatto, afferrando appena la sua figura
atletica e scattante che saltava giù dal vascello reggendosi
ad una cima.
Nappa e
Radish si affrettarono a gettarsi sulla spiaggia dove stava
arrogantemente vessando l’indolenza degli altri marinai che
erano rimasti fermi, incitandoli a riporre spade e pistole e a munirsi
di pale e picconi, guidandoli lungo uno stretto e accidentato sentiero
che girava attorno una bassa scogliera di basalto.
Gli
scalmanati manigoldi della sua ciurma non digerivano affatto quel tipo
di lavoro. Erano assassini, mercenari. Combattere, depredare, uccidere,
far scorrere il sangue, sentire e vedere il terrore impregnare anima e
corpo degli avversari fino a prostrarli: questo li aveva spinti a
imbarcarsi su una nave pirata.
Ma gli
ordini del Capitano non si contestavano. Quando in passato si erano
azzardati a polemizzare sulle sue decisioni sciagurate, lui li aveva
affrontati con una tale foga e ferocia da sopprimere indiscutibilmente
la tentazione di ripetere una simile audacia, anche perché
avevano subito una cocente sconfitta nello scontro che ne era sorto.
Sebbene
quell’uomo fosse fisicamente quasi la metà di
loro, era dotato di una forza straordinaria che, unita alla sua
impressionante destrezza, parimenti con le armi da taglio e da fuoco,
all’assoluta mancanza di umanità, alla brama di
sangue e allo spirito vendicativo, lo rendevano un combattente
imbattibile e un tipo da non prendere mai sottogamba, o peggio da
cercare di fregare.
Soltanto
compiacendolo e ossequiandolo senza battere ciglio potevano aspirare,
forse, a ricevere parte della favolosa ricompensa che sarebbe derivata
da quella noiosa e misteriosa ricerca in cui li aveva trascinati da
qualche tempo.
E non era
neanche detto che sarebbe stato disposto a graziare entrambi.
Nappa e
Radish, attraversati da questi pensieri, si guardavano in cagnesco
mentre annaspavano sotto il sole rovente in coda al gruppetto di quella
sottospecie di individui, manovali più che veri marinai,
reclutati a poco prezzo e certamente sostituibili, anche se al momento
indispensabili, perché loro non intendevano abbassarsi a
simili compiti degradanti.
Il percorso
era divenuto sempre più angusto e scosceso, la sabbia aveva
lasciato il posto ad un tappeto di sassi aguzzi ricoperti da uno strato
melmoso di alghe che rendeva il sentiero doppiamente insidioso.
D’un tratto il comandante arrestò la marcia,
fermandosi davanti a quello che appariva come l’antro di una
grotta semisommersa. Ammiccò, fermandosi in attesa che lo
raggiungessero, ed essi compresero che sarebbe toccato a loro condurre
all’interno i disgraziati che avrebbero dovuto spezzarsi la
schiena e rischiare la pelle per scavare.
Dovettero
tenere costantemente lame e moschetti puntati sulle loro teste
perché vincessero la ritrosia di doversi infilare in quel
buio cunicolo, simile al ventre di una balena, più pieno
d’acqua che d’aria, con le pareti frastagliate da
sporgenze di rocce talmente appuntite da strappare la carne se non
evitate in tempo.
L’insolita
combinazione di pareti vulcaniche e calcaree, rivestite da conchiglie e
coralli, creava dei fantastici e spettrali riflessi di luce che
conferivano una sembianza quasi irreale al posto.
Dopo
qualche metro gli esangui raggi di sole stavano estinguendo il loro
potere di rischiarare la spelonca di cui non si intravedeva ancora il
fondo, e gli uomini si adoperarono perciò ad accendere le
lampade che avevano portato con loro, semplici campane di vetro
contenenti delle candele che proiettavano giochi di ombre altrettanto
inquietanti.
Anche il
Capitano ne reggeva una e, a un certo punto, a sorpresa,
sbucò, recuperando la testa della fila che aveva rallentato
la marcia, imponendo silenziosamente di proseguire fino alla fine della
cavità naturale, nonostante l’acqua continuasse ad
alzarsi sensibilmente oltre i loro stivali.
Aveva
ispezionato passo dopo passo ogni rientranza, foro, increspatura della
caverna, spiando continuamente le possibili variazioni di luminescenza
della piccola sfera che teneva ben nascosta dentro una sacca appesa
alla cintura. D’altronde quelle stupide carte indicavano solo
l’ubicazione generica di quel tesoro perduto e disperso da
anni, la natura non si era certo preoccupata di renderlo facilmente
raggiungibile.
Nella sua
mente, inoltre, si stava insinuando la fastidiosa sensazione che non
fosse l’unico ad aver intrapreso la caccia di quelle sfere
…
- Provate
qui. Ma fate attenzione a non andarci troppo forte o potreste rompere
anche ciò che cerchiamo – ordinò
sbuffando, accorgendosi di una sorta di sedile roccioso su cui avrebbe
potuto sedersi nell’attesa snervante che dal picconare della
ciurma uscisse qualcosa. Con un paio di colpi di pistola ne
smussò le parti più appuntite e vi si
sistemò, incrociando le braccia con un’espressione
composta e al contempo minacciosa.
Radish
cominciò ad inveire contro i marinai che scavavano senza
troppa convinzione: - Più veloci! Più veloci,
luride carogne! Abbiamo meno di tre ore prima che questo fottuto posto
torni sotto il livello del mare! – sbraitò
brandendo un gatto a nove code con cui li sferzò, uno ad uno.
L’altro
pirata, baffuto e privo di capelli, si mise a gridare e malmenare gli
uomini impegnati in un diverso punto: - Ci vorranno altri sei mesi
perché le condizioni siano di nuovo propizie, e state pur
certi che il Capitano vi lascerà su questa landa desolata
nel frattempo!
Capitan
Vegeta sogghignò divertito. Quei due erano patetici nel loro
palese tentativo di ingraziarselo mostrandosi tanto ligi al dovere, ma
sapeva bene quanto fossero ancora alquanto scettici sul reale potere
delle sfere del Drago.
Tornò
a contemplare l’unica che era già in suo possesso:
apparentemente sembrava nient’altro che una biglia di vetro
ambrato, ma al suo interno c’erano sette piccole stelline
rosse che indicavano la presenza di altre sei sfere identiche sul
pianeta. Quando si trovavano vicine emettevano una forte luce. Anche
quella che possedeva si era illuminata poco prima che giungesse su
quell’isola remota, ma adesso pareva essere tornata opaca.
Iniziò a dubitare sulla possibilità di aver
tracciato la giusta rotta, non era da lui, però, concedersi
il pensiero di avere torto. Non poteva ammetterlo a se stesso, non
poteva assolutamente trasmettere quell’insicurezza a chi lo
seguiva.
- Capitano Vegeta! Abbiamo
trovato qualcosa!
Si riscosse, alzandosi
lentamente, come a non mostrare il sollievo per avere udito quelle
parole, seppure vi avesse colto uno strano retrogusto preoccupato.
Strinse i pugni e camminò con calma fino a dove si erano
fermate le rischiose operazioni di scasso.
I pirati
timorosamente si aprirono a cerchio reggendo le torce, per permettergli
di guardare quello che avevano scoperto.
La parete
rocciosa in quell’area era più chiara e tenera e
qualcuno aveva avuto la vanità di imprimervi, scalfendola,
una frase derisoria: “Bulma
Brief è passata di qui!”
Il
significato era ormai lampante: non era il solo a bramare quelle sfere,
ma quell’affronto così impertinente proprio non lo
sopportò: - Ancora quella dannata puttana! È
già la seconda volta che arriva prima di me! Non
è possibile! – si lasciò scappare a
gran voce dalle labbra, contraendo allo spasmo tutti i muscoli. In
quell’istante avrebbe preferito sparire piuttosto che dover
affrontare gli sguardi meschini della ciurma.
Impugnò
sveltamente le due pistole celate nelle fondine e, voltandosi verso il
manipolo di uomini rimasti immobili alle sue spalle, aprì
senza avvertimento il fuoco, trucidandone crudamente la maggior parte,
mentre rincorse quelli agonizzanti finendoli a fil di spada.
Solo i suoi
ufficiali, abbassandosi e scansandosi, riuscirono a scampare alla
tempesta di metallo e furore che aveva fatto tremare tutto,
riecheggiando tetramente per parecchi secondi nell’aria
assieme alle urla lancinanti delle vittime.
Vegeta si
ricompose, rinfoderando le armi scariche e la sciabola insanguinata,
poi passò tra i corpi senza vita urtandoli con fastidio,
puntando rapidamente all’uscita: - Non
c’è più niente da fare qui. Torniamo
alla Bloody Wench – asserì atono, tradendo
tuttavia della bruciante collera.
Nappa e
Radish gli tennero dietro come cagnolini, soltanto quando furono fuori
e a molti metri dalla caverna, il primo osò parlare: - Cosa
facciamo? Siamo rimasti solo in dieci, voi compreso –
osservò cautamente, mentre il collega richiamava quei
superstiti cui si riferiva, che erano stati lasciati volutamente a
bordo come sentinelle.
Il Capitano
si affidò ad una cima penzolante per arrampicarsi sulla
fiancata del suo veliero, attese che i due mettessero i piedi sul ponte
e li strigliò aspramente, imbracciando il timone: - Allora,
vuol dire che vi mangerete il fegato! Non intendo girovagare per altri
spregevoli porti per arruolare altri insulsi smidollati! –
fece una pausa, socchiuse per un secondo gli occhi nerissimi, poi li
riaprì guardando l’orizzonte come avesse potuto
azzannarlo: - Voglio trovare lei.
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