Alla fine, un passo dopo
l’altro, arrivo alla tua camera.
Apro piano la
porta sperando
di non fare
rumore.
Le tre di notte.
I miei occhi corrono da una parte
all’altra, aspettando che
qualcosa emerga dall’oscurità.
Piano piano prende forma
l’arazzo sulla parete, il tuo
comodino…la Madonna sulla mensola.
E te.
Avvolto nel blu
e nel
bianco del tuo letto, stai dormendo profondamente.
Succede qualcosa di strano nella mia
mano… il manico del
coltello sembra freddo, gelido.
Un passo dopo l’altro mi
avvicino alla tua sagoma.
Il debole fascio di luce che si
intromette dalla finestra
sottolinea le tue labbra.
Un passo dopo l’altro,
attenta a non fare rumore, lascio che
i miei occhi ti studino.
Sei brutto.
Dio quanto sei brutto.
E ti sei tolto pure i baffi, che io
ti ho sempre detto che
ti danno un tono.
Se penso che con il tuo rumore e il
tuo egoismo mi hai
strappato via le viscere non
riesco a dormire.
Ma tu no. Tu non l’hai mica
perso il sonno,ingrato.
Cosa cazzo stai sognando?
Chi stai incontrando nei meandri del
tuo subconscio?
Me no di certo.
Hai bevuto la mia essenza e poi hai
lasciato la tazza vuota
nel lavandino, senza neanche pensare di lavarla.
Se penso che ti ho dato tutto mentre
tu fai fatica a tenerti
stretto il pisello , sai, mi manca il respiro.
Osservo il tuo petto.
Su e giù, su e
giù… nel ritmo lento del tuo respiro.
Intanto sto pensando che mi hai
rovinato.
La mia fragile autostima adesso
neanche esiste.
Come se fosse colpa mia.
Come se io, e solo io, non sia stata
in grado di farmi
amare.
Come se una persona come me non
potesse avere la pretesa di
avere del vero affetto.
E tutto questo è colpa di
mio padre, ovviamente.
Perché se sono
così è colpa del padre, e tu lo sai, vero?
Tutte le volte che ti parlavo dei
miei problemi e tu
attendevi che finissi, per dire una misera frase di circostanza e poi
partire
all’attacco, sobbarcarmi dei tuoi problemi, delle tue mille
riflessioni, che io
ero quasi sul punto di scrivere su qualche post-it, in modo da non
dimenticare
ogni tua ennesima stronzata e farti innervosire.
Perché sì, dici un
sacco di minchiate. E io spero che
una
parte di te lo sappia. Voglio credere che tu abbia quel minimo di
intelligenza.
Sollevo il braccio, la lama del
coltello illuminata da quel
fascio di luce.
Perpendicolare sul tuo petto.
Preparo la forza del colpo.
Vorrei vederti per quello che
realmente sei, Scarafaggio con
il dono della Parola, vorrei riuscirci ma faccio molta fatica.
Se realizzo per la millesima volta
che mi hai usato, muoio.
Ma
tu non hai nessun
problema, e non ne avrai. Guarda, il rosso sul bianco. Guarda, che qui
ho fatto
la bandiera Francese.
Coltellata dopo coltellata, lo sai
che hai una voce
bellissima quando urli di dolore?
Perché cancellarti dalla
mia memoria non è possibile, ma
renderti invisibile sì.
Coltellata dopo coltellata, cago
sulla tua vita, sputo sulla
felicità e sulla normalità che stavi
già ricostruendo senza di me.
Uno schizzo di sangue anche sulla mia
faccia, un’altra
lacrima.
Coltellata dopo coltellata, non fa
niente, tanto io sono
prigioniera già da molto tempo.
Ma è proprio come ti
dicevo, non ci riesco.
Il braccio è lungo il mio
fianco, il coltello è innocuo.
Tu dormi tranquillo, il respiro
pesante.
Ero venuta qui con
l’intenzione di farlo, di ucciderti
davvero.
Ma io non sono come te, e dovresti
ringraziare per questo.
Il mio sguardo si sposta verso la
finestra, poi sul mio
coltello, che ora mi rigiro tra le mani.
Questa
lama brilla di non-amore riflesso.
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