Kyoto, 1865 di Melitot Proud Eye (/viewuser.php?uid=1469)
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[edit
21/8/15 dai che ci lavoro di nuovo!]
Nota:
lolol... rileggevo l'intro al primo prologo, quando me ingenua diceva
che ci sarebbero stati aggiornamenti regolari. Sono passati tre anni XD
Complici
un po' l'università, un po' il dover ricopiar tutto
dagli appunti cartacei e il fatto che il tempo vola (ma vola davvero),
questa fic è scivolata in quinto piano molto presto. In
seguito il mio stile è cambiato, quindi pubblicarla
significava riscriverne una bella fetta... quindi sono subentrati altri
fandom... non ero più soddisfatta dello sviluppo della
trama...
Non
so neanche perché la stia aggiornando, tutto sommato ^^;
(Ma
chi vuoi che legga, Mel?)
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Prologo II
Nubi nere
incombevano sul tetto del Kamiya dojo, ancora una volta. Cinque
persone erano riunite nella stanza del figlio maggiore, intorno al
suo futon, chi inginocchiato chi in piedi, tutti in silenzio ad
attendere il verdetto medico. Megumi abbassò lo stetoscopio
e si
raddrizzò con una smorfia, affaticata dalla gravidanza.
«E' un
allucinogeno.»
Kaoru si protese
in avanti, pugni stretti sulle ginocchia. «Che tipo di
allucinogeno?»
E Kenshin, allo
stesso tempo: «Che effetti ha?»
«Non lo so»
rispose Megumi.
«Quando si
riprenderà?»
Con un sospiro
stanco, la donna si sfregò le palpebre. «Non lo
so.»
I due genitori si
scambiarono uno sguardo, pallidi. Yahiko scrutò prima Saito
(appoggiato alla parete, torvo, katana al fianco) e poi il suo
fratellino adottivo, febbricitante sul futon.
«Come fai a non
saperlo? Sei il miglior medico del Giappone!»
«Ti ringrazio, anche se non
è vero. La sostanza che
ha usato la vecchia è una miscela di molte piante: ho
bisogno di più
tempo per scoprire quali.» Poi, a labbra strette: «Mi
dispiace.»
In quell'istante,
Kenji sussultò. Mentre il suo corpo si contraeva, arcuandosi
verso
il soffitto, sulla sua fronte si gonfiò un ematoma che si
spaccò.
Un rivolo di sangue gli scomparve nei capelli. Altri graffi e
spellature gli segnarono le mani, una clavicola, le guance.
«Che succede?»
sussurrò Kaoru, bianca. «Megumi, che sta
succedendo a mio
figlio?»
Pian piano, il
respiro del ragazzo si calmò e i muscoli si rilassarono.
«Sembrano i
postumi di una caduta» disse Kenshin, atono come sapeva
esserlo solo
nei momenti di tensione più grande. «Non
è un semplice
allucinogeno.»
«E... e se fosse
un veleno?» azzardò Yahiko.
Megumi tacque,
occhi sgranati sul suo paziente. «No»
mormorò alla fine, «nessun
veleno ha questi effetti... e nessun allucinogeno.»
Fu la voce di
Saito a offrire una risposta. «Lo so io
cos'è.»
Si volsero nella
sua direzione, stupiti. Lo stupore virò presto in
ostilità.
«La
responsabilità è tua» fece Kenshin,
sempre più calmo. «Era in
questura quand'è successo. Hai permesso
che quel proiettile
lo colpisse.»
«Himura, io non
rispondo dei figli altrui che provocano i criminali. Il tuo, se non
è
in grado di badare a se stesso, dovrebbe girare al largo dal lavoro
della polizia. Che colpa ne ho se va a cercarsi maestri di tecniche
estinte?»
In un momento del
genere, con una rivelazione del genere e Saito che si comportava da
Saito, la cosa migliore era incassare e rimandare.
«Una tecnica?»
«E' un'antica
punizione creata dai ninja del periodo Sengoku. La si credeva perduta
insieme al veleno che la infligge, ma qualcuno ha conservato i
segreti dell'arte, a questo punto è evidente. Ne sentii
parlare
durante i miei anni da Shinsen.» Non si lasciò
scoraggiare dagli
sguardi d'incredulità, di dubbio e di sarcasmo. Anzi,
sogghignò,
addentando una sigaretta. «Separa lo spirito dalla coscienza.
E lo
manda in "Viaggio".»
«In viaggio?»
ripeté Kaoru. «E non azzardarti ad accendere
quell'affare!»
aggiunse, riprendendosi.
Le labbra di
Saito si curvarono appena più in su; ma i fiammiferi
sparirono in
tasca.
«La vittima
sembra dormire; in realtà, il suo spirito vive una vita
parallela,
realistica in tutto e per tutto. La mente da una parte, il corpo
dall'altra, ancora legati naturalmente, per cui il corpo subisce gli
effetti che il malcapitato sperimenta altrove.»
«E' impossibile»
dichiarò Megumi.
Lui continuò
come se niente fosse: «Si dice che il Viaggio sia in grado di
interagire con altre realtà e periodi. Che, in alcuni casi,
sia
stato usato per alterare il passato.» Chiuse gli occhi,
mandando una
risata gutturale. «Anche se su questo, naturalmente, ho le
mie
riserve.»
«E vorrei ben
vedere» esclamò Megumi.
«Perché è impossibile.
Non è una
cosa scientificamente provabile o plausibile. La magia
non esiste, e nessun intruglio potrebbe mai provocare questo...
viaggio.»
«Padroni di non
credermi. Un medico può ignorare la diagnosi, ma
affronterà le
conseguenze della sua negligenza.»
Megumi continuò
a scuotere la testa, torva.
Kenshin corrugò
la fronte. Saito non parlava mai a vanvera e, se era noto per
indulgere talvolta a provocazioni immotivate, non avrebbe mai usato
la salute di un ragazzo innocente a questo scopo.
«Non ho mai
sentito parlare di questa tecnica» disse, cauto. «E
dubito che
esista. Ma forse» continuò, cercando di chiudere
fuori l'ansia e il
dolore e di razionalizzare quello che aveva visto,
«c'è una parte
di verità, in quello che dici. Forse nel dardo c'erano
sostanze
usate per simulare quella "punizione". Se sapessi
elencarcele...»
S'interruppe.
Saito aveva scosso impercettibilmente la testa.
«E allora perché
l'hai tirata in ballo?» esclamò Kaoru, furiosa.
«Perché credo
che si tratti di quello.»
«Grande aiuto»
ribatté lei, distogliendo lo sguardo e trattenendo a stento
le
lacrime.
Megumi intrecciò
le dita in grembo, davanti al ventre gonfio. «Forse Shinomori
potrà
aiutarci.»
«Forse» disse
Saito. «Ma non ci conterei. Se anche sapesse, potrebbe fare
ben
poco.»
Altri sguardi
allarmati. «Perché?!»
«Non c'è cura.
I presunti sopravvissuti si sono svegliati da soli. Non guardarmi
così, Himura: non sono un esperto. Potete provare intrugli,
palliativi e preghiere, e chissà che non funzionino
– i progressi
dall'epoca Sengoku sono stati parecchi, in medicina. Ma io non
sottovaluterei le tecniche antiche.»
Pupille selvagge
balenarono verso il fianco che, un tempo, aveva cinto il daisho
assassino di Battosai.
«Alla prova,
qui, c'è prima di tutto la forza di volontà di
tuo figlio.»
«Cosa dovremmo
fare, allora?» sibilò Kenshin.
«Niente.»
Impossibile.
Inaccettabile.
«Una sensitiva»
rispose Aoshi, arrivato il giorno dopo in treno da Kyoto, con Okina.
A discapito dell'inflessione monotona, le sue spalle erano rigide.
«Una sensitiva potrebbe metterci in contatto con
lui.»
Okina annuì,
scuro in volto.
«Tutte cose
approssimative; fenomeni da baraccone» protestò
Megumi. «Abbiamo
bisogno di una diagnosi sicura!»
«Se la scienza è
tutto, mi chiedo come abbiano fatto a sopravvivere i nostri
antenati»
commentò Okina, arricciandosi gravemente un baffo.
«Funzionerà?»
chiese Kaoru. «L'importante è solo
quello.»
«Non resta che
provare. E sperare.»
Kenji, ancora
supino sul suo futon, rimase incosciente ma non inerte.
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