Ovunque,
nel mondo,
ci sono persone che non stanno bene,
che hanno problemi
con loro stesse e che non si sentono
abbastanza.
Tutti, prima o poi, passiamo un periodo no.
Tutti abbiamo la
forza di uscirne:
non lasciate che
altre persone vi facciano star male.
Reagite.
Sorridete, vivete e
sentitevi liberi di essere chi siete davvero.
And those are all the things
you’ve been through.
Ti
sei sempre nascosta dietro un paio di occhiali, quelli con le lenti
gigantesche, che ti coprivano tutta, come se avessi paura di farti
vedere.
Paura di cosa? Sei bellissima. Lo sei sempre stata.
Eppure ti è venuta questa fissazione che non sei abbastanza.
Perché poi? Perché
i tuoi amici si sono rivelati dei perfetti sconosciuti?
Perché non sono stati
in grado di starti accanto quando più ne hai avuto bisogno?
E per colpa loro,
ora tu credi di non essere abbastanza. Per colpa sua, più
che altro, vero? Ti
sei fidata di lui in una maniera esagerata. Avevi iniziato
quell’amicizia
dicendo che no, non ti saresti affezionata, perché sapevi
che poi ti sarebbe
successo questo. E poi, dopo un anno di saluti e sorrisi ti sei
lasciata scappare
un “ti voglio bene” che ti è costato
caro: non dovevi affezionarti. Non sai
nemmeno perché se n’è andato, in
realtà. È semplicemente sparito dalla tua
vita, come fanno tutti, come continueranno a fare tutti, a detta tua.
Ma sai
che non è vero. Sai che lui è quello che ha fatto
il suo più grande errore.
Devi sapere che non è colpa tua. Tu non sei sbagliata, non
lo sei mai stata.
Loro te lo vogliono far credere, loro vogliono vederti star male, solo
perché
non sei uguale a loro. Solo perché hai avuto più
dolore che gioie, più odio che
amore.
Ed
ora? Non riesci nemmeno a guardarlo in faccia, non sai cosa aspettarti.
Ti
sorriderà? Ti saluterà come prima? Lo incontri
nei corridoi, ogni mattina. Lo
incontri per le strade. Lo incontri ovunque. E vi ignorate, come se
nulla fosse
successo. E tu soffri, soffri da morire. Perché gli vuoi
ancora bene. Perché
hai creduto a quelle parole. Hai creduto a quel “fidati di
me” sussurrato nelle
orecchie. Hai creduto a quegli abbracci. Hai creduto a quel
“ci sarò sempre per
te”. Tu gli hai creduto. È di questo che ti
incolpi, di aver creduto a due
occhi che sembravano sinceri. E per questo, per colpa di quegli occhi,
tu ti
stai dannando.
Ed
ogni mattina entri a scuola con un paio di occhiali sugli occhi, il
mascara
sbafato e la matita messa male, le lacrime scendono e tu non sai
nemmeno come
fare a fermarle. Sei la prima che entra in classe. Hai sempre uno
specchietto
con te, togli per un attimo gli occhiali e controlli i tuoi occhi, dei
normalissimi occhi castani, segnati dal dolore. Ti metti a posto il
trucco.
Indossi gli occhiali da vista, perché da lontano non ci
vedi, e metti su un
sorriso, di quelli finti, di quelli che ormai sei abituata a portare.
Uno di
quei sorrisi che tutti vedono e tutti pensano che sei felice, ma non
sanno
quello che fai la notte, quando se sola a casa e le tue mani si
macchiano del
tuo stesso sangue.
I
soliti “buongiorno” di circostanza, in quella
classe; poi si cominciano le
lezioni, si parla tra i banchi, di capelli e di estetista. Di ragazzi e
di
pomeriggi da passare al bar, tutti assieme. Ma tu lo sai che loro
parlano
tanto, ma poi non ti inviteranno mai. Lo sai, perché fanno
sempre così. E ti
distrugge, anche questo.
Vai in bagno, ti chiudi dentro una di quelle porticine e tieni il mondo
fuori,
per cinque minuti. Cos’è che vuoi? Di cosa hai
bisogno? Non lo sai neanche tu,
sai solo che in ogni momento non ti senti bene. Sai solo che ti fa
tutto troppo
male, che non ne vale la pena. Sai di essere stanca, ti senti la testa
pesante,
le braccia non hanno più alcuna forza, nemmeno quella di
suonare il tuo amato
violino. Non ce la fai più. Il tuo corpo è
stanco, la tua mente è distrutta, i
tuoi occhi sono esausti, li senti doloranti. Le tue gambe fanno male,
troppe
cicatrici che devono ancora chiudersi. Troppe cicatrici che non
riescono a
chiudersi. Come possono chiudersi, d’altronde, se non fai
nulla per aiutarle?
Continui a pensare a lui. Al passato. A quando pensavi di essere
felice. A
quando avevi tanti amici. A quando non eri un mostro.
Non
sei mai stata un mostro, non lo sei neanche ora. Ma non lo capisci, no,
sei
fissata ora.
Rimani
in quel metro quadro di bagno per cinque minuti, forse dieci. Poi esci,
ti
guardi un attimo allo specchio e stai per uscire, come sempre con un
sorriso
finto sulle labbra. Ma questa volta c’è qualcosa
di diverso. Sei davvero troppo
stanca per uscire, non ne hai le forze. Rimani a
fissarti allo specchio, senza neanche
accorgertene continui a piangere silenziosamente. Le lacrime ti rigano
le
guance, e all’inizio neanche ci fa caso: ci sei talmente
abituata. Ti tiri su
le maniche della felpa che indossi, vedi le tue cicatrici. Ne hai
ovunque.
Scuoti la testa, sei così stanca. Ti vien in mente che
potresti riaprire le tue
ferite e mettere la parola fine a tutto il tuo dolore. Ma sai
già che non lo
farai. Ci hai pensato milioni di volte, ma non l’hai mai
fatto. Tu non vuoi
arrenderti. Sei sempre stata così forte, determinata. Tu non
sei quella che si
arrende. Senti un rumore alle tue spalle, tiri giù le
maniche della felpa,
cerchi di asciugarti gli occhi alla bell’e meglio e ti
riassesti i capelli.
Metti su un sorriso forzato e ti giri. Una ragazzina, con forse un paio
di anni
meno di te, è in lacrime, proprio come lo eri tu dieci
secondi fa. Vai da lei,
senza nemmeno pensarci, e la abbracci, lei si stringe a te, come se tu
fossi la
sua àncora. Le sussurri qualcosa all’orecchio,
parole che nemmeno lei riesce a
capire, troppo scossa dai singhiozzi. Cerca di dire qualcosa, pronuncia
alcune
sillabe, ma tu non la ascolti: le tue mani vagano sulla sua schiena,
cerchi di
tranquillizzarla, ascolti il battito accelerato del suo cuore.
“È tutto okay”
le dici. Lei fa cenno di no.
La
stringi ancora a te, vi mettete in un angoletto nascosto, e rimanete
così per
moltissimo tempo. Entrano altre ragazze, si guardano allo specchio,
chiamano i
fidanzati, vanno via. La vita continua a scorrere ed i vostri cuori
sono
distrutti. Poco dopo entra un professore, vi sta cercando. Ti scogli
dall’abbraccio, sei ancora un po’ sconvolta, alla
fine anche tu ti sei rimessa
a piangere. Non avete parlato, comunque. Non vi siete nemmeno
presentate.
“Mi
scusi”, dici, “non mi sono sentita molto
bene” aggiungi, tenendoti una mano
sullo stomaco. Rientri in classe assieme al tuo professore. Tutti ti
fissano,
ma nessuno ti vede veramente.
Nessuno
osa chiederti come stai. Ridono, loro. Chissà
perché, poi. Ti guardi, hai le
maniche della felpa un poco alzate. Si vede quella cicatrice, quella
che hai
fatto l’altra sera. È rossa come il sangue che ne
era uscito. Guardi a terra,
mentre ti abbassi le maniche e torni al tuo posto.
It
took a moment before I lost myself in here
Non
sei stata attenta alla lezione, oggi. Di solito prendi appunti per
un’ora di
seguito ed hai sempre i voti più alti. Oggi però
nell’aria c’è qualcosa che non
va. Qualcosa di diverso. Lo senti, che oggi è un giorno
particolare. Che oggi
non è la solita semplice giornata in cui non devi fare altro
che fingere un
sorriso per tirare avanti. Oggi è diverso. Stai ancora
pensando a
quell’abbraccio, stai immaginando la storia di quella
ragazza: i tuoi occhi
sono fissi sullo stesso punto da un’ora. Il tuo compagno di
banco ti sta
fissando, senti i suoi occhi addosso, ma non ti interessa
più di tanto.
Un
suono acuto ti risveglia, la campanella sta suonando: è ora
di tornare a casa.
Metti le tue cose nella borsa ed esci, salutando il professore,
educatamente.
Ti dirigi alla fermata dell’autobus. Non quella sotto la
scuola, ma la
successiva: non hai voglia di vedere nessuno. Non hai voglia di ridere.
Vuoi
incontrare di nuovo quella ragazzina. Vuoi conoscere la sua storia ed
aiutarla.
Vuoi che lei sia felice, everyone
deserves to be happy. Questo è ciò che
pensi. Questo è quello in cui credi.
Ma probabilmente sei l’unica, perché a nessuno
interessa se tu sei felice o
meno.
“Hey”
una voce che non hai mai sentito ti sta chiamando. Ti giri. Nascosti da
un paio
di occhiali neri, esattamente come i tuoi, ci sono gli stessi occhi che
erano
diventati rossi per le lacrime in quel bagno.
“Ciao”
rispondi cordialmente. Invitando quella ragazza a sedersi accanto a te,
sulla
panca della fermata dell’autobus.
“Volevo
presentarmi, mi chiamo Marta.”
“Katherine,
piacere.”
Vi
sorridete per un attimo, senza parlare, senza sapere cosa dire.
“Sono
certa che hai una storia da raccontare” ti dice lei, alla
fine.
“Così
come io sono certa che anche tu ne hai una.” le rispondi,
accennando un
sorriso.
“Probabile.”
risponde lei.
“Potresti
parlarmene.”
“O
potresti parlarmi tu della tua.”
“Sei
tu quella che è arrivata sconvolta in bagno.”
“E
tu sei quella che c’era già, e stava fingendo di
star bene, prima di uscirne.”
Aveva
la risposta pronta, Marta, vero? Ti sono sempre piaciute le persone che
trovavano una risposta, sempre. È come se fossero davvero
interessate. Quelle
che si arrendevano con un semplice okay,
o che non scavavano a fondo, nonostante dicessero di essere
interessate, non lo
erano davvero. E la prova è stata il loro abbandono, il loro
addio. Il loro
ridere nel vedere una cicatrice, provocata da loro stesse.
Comunque,
tornando al vostro colloquio: “Oh, va bene! Vieni con
me.” La prendi per mano
ed entrate sull’autobus che stava passando proprio in quel
momento. Alcuni
ragazzi vi fissano, avete entrambe gli occhiali sugli occhi e non vi
interessa
delle loro occhiate. Trovate due posti a sedere, lei si mette accanto
al
finestrino e mentre viaggiate non vi dite nulla. Ogni tanto la sua mano
stringe
la tua, e da sotto i suoi occhiali scendono delle lacrime. Dopo dieci
minuti scendete
e vi sedete ad un bar. Avete avvertito i vostri genitori, tornerete nel
pomeriggio perché dovete fare un progetto scolastico.
Davanti una pizza le
racconti la tua storia. È sconnessa, non la sai bene nemmeno
tu, non riesci a
capire nemmeno tu.
Just try, just try a little harder
I'll do my best explaining all the things I'm going through
Marta
ti guarda, mentre morde svogliatamente la sua pizza. Non ha fame, non
ha mai
fame.
“Mangia,
su! È la pizza più buona che tu potrai mai
mangiare!” le dici. Ed hai ragione,
perché in quel bar fanno davvero una pizza buonissima. Ma
lei non mangia.
“Tra
poco, prima voglio dirti qualcosa.. – prende un lungo
respiro, posa il suo
pezzo di pizza sul piattino e ti guarda negli occhi. – sai,
ho una storia
diversa dalla tua. Ma fa male tanto quanto la tua. Te la
racconterò, un giorno
o l’altro. Magari anche alla fine della giornata di oggi. Ma
devi sapere delle
cose. Le persone non accetteranno mai chi sei, non lo faranno mai
completamente, a meno che non ti amino con tutto il loro cuore. E sono
poche le
persone che lo fanno. Ne incontrerai al massimo un paio nella tua vita,
ma deve
andare bene così. Devi essere più egoista, devi
essere più forte. Quel biondino
ti ha lasciata perché non sorridi abbastanza? Amen, non
è morto nessuno, né
deve morire nessuno. È solo un biondino sedicenne con un
carattere del cavolo!
I tuoi compagni di classe se ne fregano di te? Amen, non ti meritano.
Non puoi
star male per colpa loro. Non puoi farti del male perché ti
sei fidata di una persona.
Non è colpa tua, non lo sarà mai! Ti sei fidata,
non è andata bene. Ma sei
giovane, sei piena di vita, devi andare avanti, devi tornare a
sorridere. Ogni
volta che scende la notte, o che la giornata non finisce come avresti
desiderato, piangi fino alla nausea, nel tuo letto, vero?
Perché lo fai? Il
giorno dopo stai forse meglio? No, non ci stai, come non ci sto io.
Eppure lo
facciamo. Facciamo così tante cose senza un vero motivo, ci
hai mai pensato? Chissà
perché, tra l’altro.”
Rimani
in silenzio, mentre Marta continua a fissarti. Sai che ha ragione,
sembra che
gli altri abbiano sempre ragione, mentre tu non ne hai mai. Non
è vero, perché
sai anche tu che ciò che fai è un po’
sbagliato. Che dovresti impegnarti per
riemergere dalla merda in cui stai finendo. Perché ti stai
rovinando la vita,
lo sai questo.
Marta
giocherella con la pizza, la fissa: non mangia.
“Mi
hanno violentata.” Sussurra poi, e tu rimani lì, a
fissarla. “Ero in forma, in
quei tempi, avevo dei bei fianchi, stavo così bene col mio
corpo. Ero un po’ in
sovrappeso: il giusto, diceva la mia ragazza.” Una lacrima
scende dai suoi
occhi. “Da allora ho perso venti chili. Ora non piaccio
più a nessuno, sono in
salvo. E sono sola.” Scansa il piatto con la pizza e si mette
le mani sulle
cosce. Alza il volto, ti guarda in faccia. E tu hai finalmente un
momento di
lucidità, un momento in cui capisci quali siano davvero le
cose terribili della
vita. Ti alzi, la abbracci, le sussurri mille cose alle orecchie, le
dici che
la aiuterai, le prometti che le sarai davvero d’aiuto, che
quegli occhialoni
neri li toglierete entrambe. Le prometti che da quel giorno in poi ci
sarete
ognuna per l’altra. Ed entrambe riuscirete ad essere felici.
Lei ti sorride,
toccando distrattamente gli occhiali che aveva posato sul tavolo.
Annuisce, e
ti prende la mano.
“Vado
da uno psichiatra, o psicologo, o quello che è, due volte a
settimana. Mi sta
aiutando tanto. È una brava persona, sembra che ci tenga
davvero. Vieni con me.”
Le sue parole ti sembrano un’àncora di salvezza.
Hai paura, come è logico che
sia. Ma sai che ha ragione, che ne hai bisogno anche tu. Da sola non
andrai da
nessuna parte, devi lasciarti aiutare, se vuoi superare le fasi
peggiori della
tua vita: te lo ripeteva sempre tua mamma.
“Verrò”
dici, lentamente. Asciugandoti una lacrima, scesa senza un vero motivo.
“E’
tempo di
dimenticare il passato per spazzar via quello che è successo
ultimamente”. La tua nuova
psicologa ha ragione, devi ricominciare d’accapo. Al vostro
primo incontro ti
ha accompagnata Marta, vi ha presentate e ti ha lasciata per cinquanta
minuti
in una stanza che ti faceva sentire un po’ a casa. La tua
psicologa, Anna, è
simpatica, ride alle tue battutine e ti ascolta. Hai parlato per tutto
il
tempo. Anna ti passava dei fazzoletti di tanto in tanto, prendeva
appunti e
annuiva tra sé e sé. Ha detto che la prossima
volta che vi vedrete comincerete
un percorso. Tu hai annuito e, dopo averle stretto la mano, sei tornata
da
Marta. La tua amica ti ha fatto l’occhiolino e insieme siete
andate a prendervi
un gelato. Siete diventate inseparabili, ormai. Dopo il primo periodo
in cui
parlavate solo del vostro dolore, avete iniziato a parlare
d’altro. Avete scoperto
che entrambe amate il rock e che entrambe siete fissate con i telefilm.
Avete
più cose in comune di quanto avreste immaginato. Siete
diventate inseparabili.
A scuola la ricreazione la passate assieme ed avete deciso di andare a
fare
shopping, un sabato, per rinnovare il vostro guardaroba. Vi siete
promesse che
se l’una avrebbe voluto comprare qualcosa di nero,
l’altra lo avrebbe impedito,
e viceversa: vi siete strette i mignoli e la promessa è
stata suggellata.
Later
…
È
passato esattamente un anno da quell’abbraccio nel bagno.
Entrambe avete fatto
così tanti progressi che c’è chi
nemmeno ci crede che eravate voi, quelle due
ragazzine che passavano la ricreazione in un angolo della tua classe.
Ora siete
inseparabili, lei è qualcosa come la tua migliore amica. Non
andate più da Anna
da una settimana. Il suo lavoro è finito: Marta ha ripreso a
mangiare, adesso
gusta ogni sapore come se fosse la prima volta. La sua faccia quando ha
assaggiato il gelato che fanno sotto casa sua te lo ricordi ancora: era
come se
avesse appena mangiato una delle sette meraviglie del mondo. Sembrava
in
paradiso. Marta è felice, ogni tanto ha i suoi momenti di
buio, quando le
capita di ripensare al passato. Ma non lo fa poi così spesso.
Tu,
tu sei cresciuta, sei cambiata. Nel tuo armadio l’unica cosa
nera sono i
calzini e le mutande. Vesti colorata ed hai capito che perdere un amico
è una cosa
che capita, che le persone spariscono senza un vero motivo, ma tu non
puoi rimanerci
così male. Loro continuano a vivere
come se nulla fosse, devi farlo anche tu. Puoi affezionarti, non
è proibito, ma
poi non devi stare troppo male, nonostante sia nella tua natura volere
troppo
bene. Non che sia un male, Marta è contentissima del bene
che le vuoi.
L’altro
giorno, dopo esservi mangiate una bella crepe alla nutella avete preso
i vostri
occhiali neri, li avete guardati un’ultima volta e poi li
avete gettati nel
primo cestino che vi è capitato davanti.
“Sai
una cosa, Marta? La vita è piena di belle cose, mi chiedo
perché dobbiamo
fissarci su quelle brutte!” le hai detto, una volta sedute in
piazza.
“Perché
quelle brutte sono quelle che saltano agli occhi. Quelle belle le diamo
per
scontate.”
“Siamo
degli stupidi, allora. Guarda, questo cielo mette
un’allegria!”
I
vostri sorrisi si sono incontrati e vi siete abbracciate. È
stato un abbraccio
così intenso che era come se vi steste scambiando
l’amore che provate.
Sei
felice, ora, vero? Marta ti fa sorridere e ti rimette in riga. Siete
uscite,
l’altra sera, ed a voi si sono unite Anna ed
un’altra ragazzina. Marta ti ha
spiegato che Anna è sposata ed ha una figlia. Sembravate
quattro amiche che si
conoscevano da sempre e che si volevano un bene esagerato. Sei stata
bene,
quella sera. Eri felice. I tuoi occhi splendevano di
felicità. Il passato era
ormai lontano.
The
End.
Partecipa al contest "A
thing and a Song" di Sabrina2012 con il pacchetto 30 Seconds
To Mars.
Spero vi piaccia:
scriverla è stato difficile ed emozionante allo stesso tempo.
Peace&Love
guys
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