Grazie di tutto, Pierce The Veil di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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Cazzo,
ancora qualche ora e li vedrò. I Pierce The Veil, la band
che amo da più tempo in assoluto, i miei salvatori e i miei
carnefici, coloro che mi hanno salvata dall'incubo che mi stava
inghiottendo sempre di più e che mi hanno aiutata a
rinascere; coloro che mi hanno trasformato dal brutto e inutile bruco
che ero in una farfalla bellissima dai colori sgargianti e ammaliatori
che a tutti piace ammirare; coloro che hanno fatto ricominciare a
vivere qualcosa dentro di me con una forza inaudita e che ora non
riesce più a fermarsi. Coloro a cui devo il mio attuale
benessere, per farla breve.
Sono in treno da due ore circa ormai, sto andando su a San Diego a
incontrarli. Faranno una signin' session, in cui se sarò
abbastanza fortunata, riuscirò a parlargli e farmi una foto
con loro. In realtà, se riuscissi ad averne il
tempo, vorrei anche raccontargli una storia, che a esser sinceri
è il motivo principale che mi spinge ad andare fin
laggiù invece di aspettare che vengano fino alla mia
città natale, tra qualche mese. Però dubito che
quando verranno qui da me si fermeranno a fare autografi e foto; ho
come l'impressione che questa sia la mia unica possibilità e
che quindi debba fare di tutto pur di non sprecarla e riuscire a
raggiungerli.
Comunque sono quasi arrivata, finalmente. Appena scenderò
dal treno, mi aspetteranno dieci fermate di metro e cinquecento metri a
piedi, durante i quali incontrerò ragazzi di tutti i tipi,
tutti simili a me e con storie da raccontare, ma che non sempre sono
disposti a parlare dei loro problemi. In un certo senso sono
avvantaggiata, perché arrivando così presto non
ci sarà troppa gente e riuscirò quasi sicuramente
a incontrare il loro sguardo e rivolger loro un sorriso pieno di
gratitudine. Spero davvero di riuscire a parlarci e, non so, sapere
cosa ne pensano della mia storia. In fondo li riguarda tutti e quattro
completamente, non possono rimanere insensibili tutto il tempo in cui
parlerò, giusto? Dio, spero davvero di no, in quel caso
avrei fatto tutta questa strada per niente. Be', no, non per niente,
però preferirei che mi dicessero qualcosa al riguardo, in
modo da mettermi l'anima in pace una volta per tutte e cercare di
chiudere la faccenda e cicatrizzare la ferita.
Comunque manca davvero poco, cinque minuti forse, vedo la
città dal finestrino. Cazzo, se è bella. E'
enorme, i suoi grattacieli spiccano davvero tantissimo rispetto ai
palazzetti bassi di casa mia. E poi c'è quel mare limpido e
azzurro che la circonda, che accarezza le sue spiaggie con un tocco
morbido e dolce e che sembra chiamarmi da quando ho cominciato a
scorgerlo, mezz'ora fa. Posso solo immaginare il fascino di quelle
coste bianche e sabbiose, visto che non ho tempo per visitarle o anche
solo lanciargli uno sguardo, ma so di per certo che devono essere
stupende; tutta la gente seduta attorno a me non fa che parlarne e
raccontarsi delle loro avventure, dei loro figli che comandano le onde
con le loro tavole da surf, di quanto sia piacevole stare lì
a farsi accarezzare dal sole. Mi mettono addosso un po' di invidia e
voglia di andarci, a essere sinceri, ma sono venuta qui per un motivo e
non ho intenzione di sgarrare, anche se questa dovesse essere l'ultima
volta che vedo San Diego e la California in generale. I miei idoli non
si toccano.
Faccio giusto in tempo ad alzare gli occhi dal mio ipod che
sento il fischio del treno che avvisa il capostazione che sta per
entrare e fermarsi. Sorrido, un sorriso straripante di
felicità ed emozione, e comincio a radunare la mia poca
roba. Uno zaino nero ricoperto di scritte, un quaderno pieno di
scarabocchi con relativo astuccio, una bottiglia d'acqua, qualcosa da
mangiare, una felpa e qualche soldo. Avevo pensato a tutte le
possibilità, persino quella che il treno potesse partire in
ritardo, quindi avevo prenotato una stanza in un hotel gestito dai
genitori di una mia amica, che non si sarebbero arrabbiati in caso non
mi fossi presentata e che non mi avrebbero neanche fatto pagare il
mancato pernottamento. Non sembra, ma sono brava ad organizzarmi,
soprattutto se c'è in ballo qualcosa che m'interessa
direttamente; ed io, in questa storia, sono dentro fino al collo.
Infilo tutto nello zaino e raggiungo l'uscita, scendendo le scalette
con un salto. Scruto un attimo la situazione ma non vedo nessuno che
indossi magliette dei Pierce o che abbia un qualsiasi tipo di loro
gadget, quindi mi sento un po' più rilassata e mi avvio
verso la metro. Durante il tragitto non riesco a non pensare a tutto
quello che gli dirò, ripeto il discorso mille e mille volta
nella mia mente finché non lo imparo quasi a memoria, senza
riuscire a smettere. Il mio cuore batte troppo velocemente, sento
già l'adrenalina salire, e i miei tentativi di riprendere il
controllo falliscono miseramente. Dieci minuti dopo sto già
correndo lungo il corso, e non mi fermo finché non sento i
miei polmoni raggrinzirsi per la mancanza di ossigeno; ma la sosta dura
solo qualche manciata di secondi e poi via, via verso i miei idoli.
Arrivo lì che la testa mi gira decisamente e alzando lo
sguardo non posso che rimanere delusa dalla marea di gente che
c'è prima di me. Mi affaccio verso la destra e vedo la fila
ordinata di ragazzi estendersi per un centinaio di metri, prima
d'incontrare un omone della security che ne fa passare uno alla volta.
Era tutto organizzato nei minimi dettagli: non ci sarebbero mai dovute
essere più di due persone a parlare col gruppo, e queste
persone prima di avvicinarsi dovevano mostrare i contenuti delle loro
borse e lasciar via tutte le armi che possedevano. La security teneva
molto a questo tipo di procedimento, perché non ci vuole
niente a un qualche maniaco per comprare una maglietta del gruppo,
truccarsi in modo bislacco, infilarsi un paio di pantaloni strappati e
fingersi un grande fan per poi avvicinarsi alla band e attaccarli con
un coltello. Tanta gente crede che un comportamento del genere sia
esagerato da parte degli addetti alla sicurezza, ma secondo me le
persone così esistono; sono come quell'idiota che
è andato a un concerto di Justin Bieber solo per tirargli
una bottiglia d'acqua dalla folla. Non so se l'abbiano beccato o se sia
tornato a casa a vantarsene con gli amici, ma sicuramente è
un coglione e qualcuno dovrebbe insegnargli il rispetto a forza di
calci in culo, altro che dirgli 'bravo.' Quello ha fatto una stronzata
immane e il suo gesto è stato davvero offensivo nei
confronti non solo del cantante, ma di tutti i suoi fan e quelli che si
sono sempre adoperati per aiutarlo ad arrivare dov'è ora, e
lo dico da persona che non ama la sua musica. Il rispetto vale per
tutti, e prendere in giro la gente per ciò che ascolta
è una stronzata, tanto più che ora è
diventato di moda insultare la gente che ascolta pop e artisti che
passano alla radio. Cristo santo, che ve ne frega a voi? I gusti sono
loro, la vita pure, lasciateli respirare un attimo e fregatevene
altamente, porca miseria.
Ad ogni modo, sono rimasta in fila per più di due ore prima
di arrivare dove sono ora, cioè a cinque metri dalle guardie
e con solo una ventina di ragazzi che mi precede. Credo che se tutto
andrà bene, entro un'ora arriverà il mio turno,
anche se il ragazzo di ora ci sta mettendo davvero
un'eternità, a chiedere un autografo. Quando stava parlando
con l'omone della security sembrava un sacco in ansia, molto
più di tutti quelli che l'hanno preceduto, e quello
continuava a sorridergli e a mettergli una mano sulla spalla, come per
tranquillizzarlo e diminuire la sua paura. A quanto vedo, un po' ce
l'ha fatta, anche se il ragazzo è ancora notevolmente
spaventato e riesco a vederlo tremare fin da quaggiù. Spero
di non apparire così anch'io, ho bisogno di un sacco di
concentrazione e calma per fare quello che devo fare e non scoppiare
nel pianto più penoso che quei poveracci possano aver mai
visto; quindi ora sto facendo tutti gli esercizi di rilassamento che mi
passino per la mente, e devo dire che stanno funzionando benone. Mi sto
schiarendo ulteriormente le idee e sto riordinando tutti i miei
pensieri, in modo da arrivare là e non ingarbugliarmi con le
parole, parlare in modo chiaro e non a macchinetta come faccio di
solito, e soprattutto, in modo da mantenere un certo ritegno.
Quindici persone. Nell'orecchino dell'uomo davanti a me è
incastonata una pietra viola, bellissima, dentro cui giocano i raggi
del sole, formando riflessi e figure di ogni tipo. Mi piacerebbe averne
una.
Dieci persone. La tipa dietro a me si chiama Allison, è
venuta con la sua amica Cassie e ascolta i Pierce da circa due anni, e
per questo motivo tutta la scuola la prendeva in giro e la derideva.
Cinque persone. L'uomo della security sta sudando molto, vedo dal
cartellino sul suo petto che si chiama Anthony.
Quattro persone. L'ansia mi assale.
Tre persone. Mi slego i capelli e mi sventaglio con il mio quaderno.
Devo recuperare il controllo.
Due persone. Tiro fuori la penna e la stringo forte nel pugno,
sostenendo lo sguardo di Anthony.
Una persona. Il mio sogno è a portata di mano. Devo stare
attenta a ricordarmi di respirare.
Zero persone. Tocca a me. Anthony mi porge una mano e m'invita ad
avvicinarmi, mi controlla lo zaino e poi mi autorizza a procedere con
un cenno del capo, che ricambiai nello stesso modo. Rimango ferma un
istante, chiudo gli occhi e respiro a fondo, sentendo il mondo fermarsi
per la decina di secondi che mi servivano. Riapro gli occhi e avanzo
con fare sicuro, sfoggiando il mio sorriso migliore e ricacciando
indietro la nausea. Vic è lì, seduto davanti a
me, mi guarda con curiosità e aspetta che io mi sieda. Ma io
non voglio sedermi, voglio guardarli dall'alto al basso ancora per
qualche secondo, quindi sostengo il suo sguardo con decisione. Tony mi
scruta con l'aria di chi non capisce, così mi avvicino un
altro po' e, restando in piedi, gli porgo la mano.
"Ciao, io sono Amber" esordisco.
Tengo la mano tesa finché loro, rotta la tensione iniziale,
non si sporgono in avanti e ricambiano la stretta.
"Ciao, Amber" mi saluta Mike con voce gentile.
"Vuoi un autografo, una foto, un abbraccio o..?" azzarda Tony,
inarcando un sopracciglio.
"In realtà vorrei raccontarvi una cosa" ribatto.
"Una cosa?" ripete Vic, guardando gli altri ragazzi con aria
interrogativa.
Sapevo cosa stava pensando. 'E se ci mette troppo e non ce la facciamo
a incontrare tutti?'.
"Ce la farete, vedrai. Vi dirò il minimo indispensabile"
commento, decisa.
Mike mi guarda, come se avesse inteso la serietà
nella mia voce e nella mia richiesta.
"Va bene. Parla pure" acconsente.
Lo ringrazio con gli occhi, prendo un grande respiro e mi siedo,
spostandomi i capelli dal volto.
"Sono cinque anni che vi ascolto. Da quando avete cominciato a suonare,
praticamente. La vostra musica mi ha aiutata a superare tutti i colpi
duri della mia vita e mi ha aiutata a trovare la felicità,
ad un vostro concerto, il terzo a cui avevo partecipato quell'anno. Lui
si chiamava Dan, e ci siamo stretti la mano per la prima volta mentre
voi cantavate 'I don't care if you're contagious.' Era un ragazzo
splendido, dolce, allegro, che aveva dovuto provare tutti gli sconforti
che avevo provato io e che stava ancora attraversando un momento
difficile, ma che nonostante tutto non aveva mai perso la voglia di
sorridere. Col tempo ci siamo conosciuti meglio, abbiamo cominciato a
freguentarci e in men che non si dica ci siamo innamorati perdutamente
l'uno dell'altra; progettavamo addirittura di sposarci, prima o poi.
Tutto questo finché, un mese fa, un incidente d'auto me l'ha
portato via."
Sento i loro occhi sgranarsi e divorarmi ma non riesco a fermarmi, le
parole mi travolgono come un fiume in piena e io ne sono completamente
succube, devo soddisfare il loro desiderio di uscire e travolgere tutti.
"Lui era un ragazzo spontaneo, sincero, e il suo più grande
desiderio era conoscervi e riuscire a stringervi le mani,
'perché sono importanti, salvano vite senza neanche
rendersene conto, devono sapere tutto quello che hanno fatto per me e
che continuano ancora a fare.' Il suo amore verso di voi era profondo,
radicato nel suo animo, e non c'era giorno in cui lui non cantasse una
vostra canzone sotto la doccia, per strada, in macchina. Lo avevate
stregato completamente, come avete fatto con tutti noi, ed è
solo grazie a voi che lui è stato veramente felice. Sono
venuta qui da molto lontano solo per dirvi che vi sarò
sempre riconoscente per averlo fatto vivere sereno, nonostante tutte le
preoccupazioni che lo hanno sempre travolto, e per ringraziarvi. Grazie
per tutto quello che avete fatto per lui, e che avete fatto per me.
Senza la vostra musica non avremmo mai provato la vera
felicità, e probabilmente non ci saremmo mai incontrati.
Grazie per esserci sempre stati, e grazie soprattutto per avergli
garantito una vita serena. Non smetterò mai di ringraziarvi
per questo. La sua felicità quando vi ascoltava era enorme,
gli brillava il viso, proprio come gli brillava l'ultima volta in cui
l'ho visto. Grazie davvero, siete meravigliosi."
Okay, ho finito di parlare, sento due lacrime calde bagnarmi il volto e
correre lungo le guance, per ricongiungersi infine lungo il collo. Non
ho la forza di alzare gli occhi dal bancone ma so che devo farlo per
Dan.
Quando incontro di nuovo i loro sguardi, i Pierce sembrano
profondamente sconvolti e dispiaciuti. Jaime, che è rimasto
zitto tutto il tempo, si sporge in avanti e mi stringe in un abbraccio
spontaneo, di quelli che non possono che farti sorridere e farti
tornare il sorriso. Sento i miei muscoli rilassarsi e la tensione
allentarsi, mentre le mie lacrime scorrono e s'infrangono contro la
spalla forte del ragazzo, senza smettere. Mi sento così
vulnerabile, spaventata, ma so di aver fatto la cosa giusta e che Dan
sarebbe fiero di me. Alzo lo sguardo al cielo e m'immagino che stia
sorridendo, che mi stia dicendo che andrà tutto bene e che
gli ho fatto il miglior regalo di sempre; e la cosa mi aiuta. Mi stacco
da Jaime, che continua a cercare il mio sguardo, ma io glielo rifiuto,
mi concentro su Tony. Lui sembra il più toccato di tutti, ha
gli occhi lucidi e il labbro gli trema un po' mentre guarda il mio viso
arrossato dalle lacrime. Si stropiccia il volto con il pugno e
deglutisce, poi respira a fondo e mi guarda nuovamente. Ha l'aria di
uno che vuole parlare ma che non sa con precisione cosa dire per
migliorare le cose, e il fatto mi fa sorridere di cuore. Significa che
gli importa e che vorrebbe potermi confortare in qualche modo; e questo
è il gesto più bello che avesse potuto fare,
oltre ad abbracciarmi. Così l'abbraccio io e gli dico che va
tutto bene, perché ora Dan è in un posto migliore
ed è fiero che i suoi idoli, i suoi ragazzi, siano rimasti
così colpiti dalla sua storia e abbiano capito quanto siano
stati importanti nella sua vita. Vic si unisce all'abbraccio e pian
piano tutti quanti mi circondano con le braccia, conservando un
religioso silenzio in segno di rispetto per il mio dolore e per la vita
del mio ragazzo, stroncata troppo presto. Sento il clic della
macchinetta, probabilmente Anthony mi ha fatto una foto, oppure sono
stati i ragazzi in fila dietro di me. Non so se siano riusciti a
sentire la mia storia, ma non m'interessa. Quello che conta
è che ho portato a termine la mia missione e che i ragazzi
sono qui attorno a me, a condividere il mio dolore e a sussurrarmi che
Dan non può che essere fiero di avere una fidanzata come me,
che ha affrontato tre ore di treno e tre ore di fila pure di raccontare
la sua storia ai suoi idoli, senza che nessuno gliel'avesse neanche
chiesto. Abbozzo un sorriso, commossa, e smetto di piangere.
"Grazie ragazzi. Grazie infinite," mormoro, annuendo col capo.
"Grazie a te e Dan per aver creduto in noi," ribatte Tony.
"Non dimenticheremo la tua storia," mi informa Vic.
"Dan vivrà sempre con noi, adesso," sorride Jaime.
Mike si limita a mandare un bacio verso il cielo e ad alzare il
pollice, come se potesse vedere Dan.
Li guardo con aria riconoscente e mi stacco dall'abbraccio, tirando
leggermente su col naso. Tony si avvicina di nuovo e agguanta il mio
quaderno, lo sfoglia velocemente e trova una pagina libera. Ci
scribacchia sopra qualcosa e passa il quaderno agli altri, che a loro
volta imprimono una frase per me impiegandoci chi trenta secondi, chi
due minuti. Alla fine del giro il quaderno rimane in mano a Jaime, che
ci disegna sopra uno smiley e me lo porge, sorridendo da un orecchio
all'altro. Li ringrazio un'ultima volta, un ringraziamento muto ma che
vale più di mille parole, e mi allontano un po' da loro, le
lacrime che cominciano a riformarsi nei miei occhi.
"Addio, ragazzi," mormoro. "Anzi, sono sicura che questo è
solo un arrivederci."
Me ne vado piangendo, col loro calore ancora a coccolarmi le braccia,
ma col cuore leggero.
Finalmente Dan può salire in paradiso contento per davvero,
e io non avrò più niente da rimproverarmi.
Grazie di tutto, Pierce The Veil.
Non vi dimenticherò mai.
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