Stop and stare,
you start to wonder why
you're here and not there
and you'd give anything
to get what's fair
but fair ain't what you
really need
[Stop And Stare - OneRepublic]
-Miseriaccia!
Ronald Bilius Weasley si sarebbe aspettato di tutto, considerando con
chi stava viaggiando, ma quello che accadde non era nemmeno tra le sue
possibili prospettive di qualcosa che sarebbe realmente potuto
succedere.
Reduce
da un episodio nel quale la sua stupidità aveva preso il
sopravvento
sulla ragione, Ron si era Smaterializzato, lasciando Harry e Hermione
con un Horcrux, nemmeno uno straccio di piano per distruggerlo ed un
amico in meno - insomma, con un pugno di mosche - stretti tra le mani.
Ricordava
come Hermione l'avesse supplicato di restare con loro, e si sentiva un
po' in colpa per aver detto quelle cattiverie sul conto dei due.
Avrebbe voluto tornare.
E l'avrebbe fatto, se non avesse perso la
sua bacchetta. Doveva essere volata da qualche parte durante l'usuale,
alquanto dolorosa e rovinosa caduta di Ronald sul proprio sedere, come
sempre accadeva quando si Smaterializzava.
Aveva il terrore che
potesse essere finita sui tetti di uno di quei bizzarri edifici
dall'aspetto antico disposti ad U non poco distante da dove era
atterrato.
Era chiaro anche per lui, non si trovava più in Inghilterra.
E aveva una fifa blu.
Sentiva
un clangore metallico nelle vicinanze, come se si stesse tenendo un
duello con le spade, vedeva campi di fragole mature sebbene fossero
sotto il periodo di Natale, sentiva grida e urla provenienti da alcuni
ragazzi che si arrampicavano su una parete dalla quale scendeva della
lava... è naturale che fosse spaventato, soprattutto
contando che era
disarmato in un posto che pareva essere uscito da uno dei racconti
Babbani di cui gli aveva parlato Hermione.
Ron strinse tra le dita un po' della neve che stava sul terreno:
fortunatamente, almeno qualcosa era normale.
Se la neve fosse stata azzurra, non si sarebbe sopreso di trovare anche
Luna Lovegood in quella marea di stranezze.
Solo
dopo aver finito di esaminare il paesaggio circostante per cercare di
capire in quale posto sperduto fosse capitato, si accorse di un
ragnetto grigio che si stava attampicando sull'orlo dei suoi pantaloni.
Ron prese a strillare come una calandra e balzò in piedi,
saltellando
come se stesse ballando la tarantella. In tutto quel trambusto, il
ragnetto volò via e Ron sperò che fosse caduto il
più lontano possibile.
-E tu da dove salti fuori?-
domandò una voce alle spalle di Ron.
Il ragazzo si girò di scatto e si trovò davanti
un
signore basso, grasso e con le guance rosse come quelle che vengono ad
Hagrid quando esagera con il Viskey Incendiario: gli ricordò
tanto uno di quegli gnomi volanti che Allock aveva mandato in giro per
la scuola il giorno di San Valentino al Secondo Anno, solo che era
senza le ali. Indossava una camicia a maniche corte tigrata e un paio
di sandali hawaiiani uguali a quelli che gli aveva mostrato Seamus, e
Ron
non riusciva a credere che non stesse rabbrividendo per il freddo.
-Oh, miseriaccia...- biascicò
Ron, tentando
d'inventarsi una scusa plausibile. -Ehm, io... vediamo, da dove salto
fuori... uhm...
Lo gnomo alzò gli occhi al cielo. -Per la barba di Zeus,
perché balbetti come una signorina? Non ho ancora intenzione
di
ucciderti, sta' tranquillo.
-Ehm... mi sono perso.
Lo gnomo hawaiiano inarcò un sopracciglio, e Ron
capì che
non era abituato a vedere la gente "perdersi" in quel posto. Il tizio
agitò la mano nell'aria e un calice d'oro pieno di uno
strano
liquido di un colore invitante si materializzò tra le dita
dello
gnomo.
Ron tirò un sospiro di sollievo. -Oh, ma allora è
un mago
anche lei! E io che pensavo di essere finito chissà dove! Sa
la
strada per Londra, per caso?
Lo gnomo lo guardò con aria sprezzante. -Come mi hai
chiamato?
-Un mago, no?- ripeté Ron,
pensando che la cosa fosse piuttosto ovvia.
-Quindi tu non sei un Mezzosangue, eh?
-Uh, no.- disse Ron, grattandosi la
nuca. -Io sono un Purosangue.
Ron vide una fiamma accendersi negli occhi dello gnomo.
"Oh
miseriaccia..." rabbrividì il rosso.
-Come osi paragonarti agli
dèi, marmocchio
insignificante?!- sbraitò lo gnomo, versandogli in testa la
bevanda che aveva appena materializzato e puntandogli il dito contro il
petto. -Posso distruggerti quando mi pare e piace, lo sai questo, vero?
Ron cadde nuovamente a terra. -Sì, sissignore!-
squittì il ragazzo.
-Ecco perché odio gli eroi di
questo campo:
arrivano e pensano d'iniziare a comandare!- sbottò lo gnomo,
prendendolo per un orecchio. -Sai chi sono io, vero?
-Sì, sissignore!-
mentì Ron. Forse era meglio non contraddire quel pazzo
scatenato.
Il tizio lo trascinò dietro ad un albero, sperando che non
fossero stati visti. Probabilmente qualcuno avrebbe notato i segni
delle scarpe dei due sulla neve, ma lo gnomo parve non preoccuparsene.
-Molto bene, giovane Mezzosangue.- disse
lo gnomo. -Chi sono i tuoi genitori?
Ron assunse un'espressione a metà tra il confuso e lo
spaventato. -Arthur e Molly Weasley.
Lo gnomo sorrise come uno psicopatico ed iniziò a saltellare
e
ad applaudire. -Oh, uno di quelli adottati! Un po' come la nonnina fece
con il mio folgorante padre!
-Le posso assicurare che non sono stato
adottato.- borbottò Ron, massaggiandosi l'orecchio dolorante.
Una smorfia di terrore fece distorcere il volto dello gnomo. -Quindi
non sei uno stupido eroe...
Ron scattò in piedi, ferito nell'orgoglio. -Ehi! Harry ed io
abbiamo salvato il mondo più di una volta!
-Taci, mortale!- tuonò lo
gnomo. -Se non sei
un eroe puoi sempre essere uno con la Vista, perché
altrimenti
non saresti riuscito ad entrare al Campo Mezzosangue.-
continuò,
ipotizzando teorie sulla presunta provenienza di Ron.
Quello era lo gnomo più schizofrenico che avesse mai visto e
Ron
aveva paura che potessero spedire anche Hermione in quel Campo
Mezzosangue di cui andava ciarlando.
-Se quel barbuto di Zeus lo viene a
sapere mi
proibirà di bere vino per altri cent'anni, considerando che
non
"proteggo sufficientemente il Campo".- bofonchiò il tizio
con
tono isterico.
Ron non capiva cosa stesse farfugliando lo gnomo, ma ritenne che fosse
meglio non fare domande inopportune: se lo avesse lasciato libero e se
avesse trovato la propria bacchetta, Ron si sarebbe Smaterializzato
subito e avrebbe cancellato qualunque traccia della propria presenza in
quel posto bizzarro.
Ma quando mai le cose andavano per il verso giusto per Ronald?
Sul volto dello gnomo comparve un sorrisetto sadico.
"Oh
miseriaccia!" pensò Ron per l'ennesima volta. "Questo adesso mi fa fuori!".
-Zeus non dovrà mai sapere
che sei stato qui,
perciò io ti terrò nascosto.- disse lo gnomo in
tutta
tranquillità. -Non voglio guai.
Ron deglutì, temendo per la propria sorte. Non aveva mai
avuto
paura degli gnomi - era abituato a fare a gara di lancio degli gnomi
con Fred e George -, ma quello aveva un che d'inquietante. A cominciare
dal modo in cui l'aveva chiamato "mortale".
-Rimarrai in cucina a lavare piatti con
le arpie, ho deciso!
Il mago non aveva idea di chi fossero queste arpie, ma sperava
vivamente che fossero meglio di quelle di cui si narrava nei libri
ammuffiti della biblioteca di Hogwarts. Se fossero state peggio, Ron si
sarebbe ritrovato ad essere "spezzatino di Weasley".
Lo gnomo, che pareva averci preso gusto dopo il primo tentativo, prese
il mago per l'orecchio e, senza troppa grazia, lo condusse in un
edificio che disse essere la Casa Grande. Da quel posto, che portava un
nome simile a quello della stanza di Hogwarts dove aveva
trascorso
momenti
veramente indimenticabili, iniziò un vero putiferio... a
cominciare dagli incontri inaspettati che fece nelle cucine.
Si
moriva di caldo, lì sotto. Ron borbottava frasi
incomprensibili, cercando di far sì che il pollo di
tagliasse da
solo.
Sospirò: non poteva fare un granché senza la sua
bacchetta magica. Avendone avuto la conferma per l'ennesima volta,
riprese a borbottare con molta enfasi più del dovuto. Le
arpie
che gli passavano accanto grugnivano con insoddisfazione, probabilmente
perché quello gnomo aveva dato disposizioni ben precise e -
per
la fortuna di Ron - tra queste compariva anche "non distruggete il
mortale". Per compensare la propria delusione da quell'ordine, le arpie
incaricavano il ragazzo di fare qualsiasi lavoro immaginabile: lavare i
piatti, tagliare i polli, pulire i pesci, preparare la crostata (e
sorvoliamo su quest'argomento, altrimenti la cosa si tirerebbe per le
lunghe), affilare i coltelli, lavare la frutta e - sì, pure
questo - lustrare le scarpe dei tizi di ritorno dalle sabbie mobili.
Tutto questo in massima segretezza.
Ovviamente.
"Tutto
è troppo segreto!" pensava Ron, disgustato
dall'odore di una scarpa particolarmente puzzolente. "Credo
di non ricordare più l'ultima volta in cui feci qualcosa che
non
sarebbe dovuto restare segreto, ma così si esagera!".
Tra un piatto e l'altro tentava d'appellare la propria bacchetta
magica, ripetendo "Accio
bacchetta!" come se si trattasse di una litania,
collezionando un fallimento dopo l'altro.
Ron sbuffò. Forse avrebbe dovuto appellare qualcuno che lo
aiutasse a trovarla, piuttosto che continuare a lanciare, fallendo, lo
stesso incantesimo.
-Certo, come no...- borbottò
il rosso,
gettando una spugna su un ripiano di marmo senza molta gentilezza.
-Come se bastasse dire "Accio aiutante" per far apparire qualcuno in
questo posto...
Non fece in tempo a finire la frase che la sagoma di un guerriero in
armatura spalancò la porta, lasciando Ron totalmente di
stucco.
Che gli incantesimi funzionassero anche in quel posto in mezzo al
nulla? Bastò che quello aprisse bocca per gettare nel
cestino anche l'ultimo barlume di speranza.
-Datevi una mossa, razza di rammolliti!-
sbraitò il guerriero, e Ron sgranò gli occhi nel
notare
che si trattava di una voce femminile. -Ho bisogno di cibo! Subito!
"Adesso
questa finisce male..." pensò il mago,
voltandosi subito in direzione delle arpie.
Sorprendentemente, queste avevano preso a lavorare più in
fretta: evidentemente, lo gnomo aveva dato disposizioni anche per
quell'evenienza. Tuttavia, Ron non sopportava che quella ragazza,
sebbene fosse alta come un Troll, entrasse in cucina e si mettesse a
dettare ordini. Già non sopportava quando Harry e Hermione
gli
dicevano cosa fare, da una sconosciuta non poteva proprio accettarlo.
-Ehi, aspetta un secondo!-
protestò il rosso.
-Stiamo preparando portate colossali, mangerai con tutti gli altri.
Non l'avesse mai fatto. La ragazza si voltò con
un'espressione
assassina negli occhi porcini: Ron non aveva mai pensato di poter aver
paura di una ragazza, ma quella avrebbe terrorizzato persino a
Voi-Sapete-Chi.
La guerriera afferrò Ron per l'orlo del maglioncino e lo
sollevò a terra. -Stammi a sentire, Rosso.
Ron deglutì, notando una vena che le pulsava nelle tempie.
-Non ho molto tempo, e nessuno deve
sapere della mia
presenza qui.- spiegò lei in un sibilio velenoso. -Fa' come
dico, se non vuoi rogne.
Detto questo, la ragazza mollò la presa e Ron cadde di peso
sul terreno, procurandosi un discreto dolore alle natiche.
Lei lo guardò con aria sprezzante. -Mai mettersi contro
Clarisse, la figlia di Ares.
Clarisse
si sedette in un angolo, ad osservare con occhio critico il
lavoro delle arpie e quello di Ron. Il mago trovava un po' snervante il
sentire gli occhi di Clarisse puntati su di sé, ma si
sforzò di proseguire il suo lavoro in cucina senza fare
mosse
brusche.
La guerriera, dal canto suo, fissava Ron con discreto interesse: non
aveva la più pallida idea di dove fosse saltato fuori,
poiché era sicura di non averlo mai visto al Campo
Mezzosangue,
ma era incuisita da come non aveva esitato a fronteggiarla. Soprattutto
riguardo alla seconda affermazione, non aveva ancora capito se avesse
un coraggio da leone, una forza sovrumana nascosta oppure se fosse
solamente molto, molto stupido.
-Di' un po', Rosso.- disse. -Da dove
sbuchi fuori?
Eh, bella domanda. Non poteva dirle di essere caduto dal cielo,
l'avrebbe preso per pazzo.
Clarisse sghignazzò. -Non rispondi, eh? E, sentiamo, di chi
sei figlio?
Quella domanda era troppo ricorrente, per i gusti di Ron. Nonostante in
quel posto sembrassero tutti svitati, il rosso non poteva fare a meno
di pensare che si trattasse di una trappola architettata dai
Mangiamorte o da qualche scagnozzo di Voi-Sapete-Chi.
-Sei già in una casa o sei
ancora Indeterminato?- incalzò Clarisse, curiosa.
Gli occhi di Ron si illuminarono e lasciò cadere un piatto
per
terra dalla sorpresa. -Quindi tu sai di Hogwarts!- esclamò,
entusiasta.
-Di che?- fece Clarisse. -Sta' un po' a
sentire,
Rosso: i patiti di gufi e civette sono i figli di Atena, quindi se vuoi
sapere qualcosa su questa Owlwarts chiedi a quel branco di secchioni.
-Hogwarts.- la corresse Ron, per
ricevere in tutta
risposta un'occhiataccia assassina da parte della ragazza. -Comunque,
davvero non ne sai niente?
Clarisse scosse la testa. -Ad ogni modo, tu non mi hai risposto.
È stato il Signor D a spedirti a lavorare nelle cucine?
Ron sospirò. -Non lo so, ma, se quello gnomo in camicia
leopardata di chiama Signor D, sì, è stato lui.
La castana soffocò una risata. -Sei forte, non credevo che
qualcuno si divertisse ad insultare quell'ubriacone del dio del vino
con tanta spontaneità.
Ron fece una faccia confusa. -Il dio del vino, hai detto? Dioniso?
Il ragazzo ricordava quel nome da una storia che aveva letto Hermione
da un testo di Mitologia Babbana.
-Questo però ti consiglio di
non farlo, pivello.- disse lei.
-Questo cosa?
-Pronunciare i nomi degli dèi
come dire
"ciao".- spiegò, squadrandolo. -I nomi sono potenti, e tu
devi
fare attenzione!
-Chiaro.- disse Ron, raccattando i cocci
rotti del piatto da terra.
Clarisse se ne accorse. -Oh, lascia perdere, ci penseranno dopo le
arpie.
Ron si guardò attorno e le arpie gli parvero tutto
fuorché ansiose di raccogliere frammenti di porcellata dal
terreno.
-Oh, okay.
Clarisse si alzò dalla sedia e prese a camminare per la
stanza con aria circospetta.
-E-Ehi! Dove stai andando?- chiese Ron,
andandole dietro.
Dopotutto, la compagnia di una guerriera dallo sguardo potenzialmente
assassino era preferibile a quella di arpie che l'avrebbero trasformato
in "polpettone di Weasley".
La ragazza aggrottò le sopracciglia e si voltò in
direzione di Ron, posando una mano sull'elsa della spada allacciata in
vita. -Da qualche parte. Problemi?
Ron scosse la testa e la seguì fuori dalla cucina, in una
stanza adiacente.
Ron
non capiva a cosa servisse una finestra nel sottosuolo. E, ancor
più, non capiva come mai desse sul mare, considerato che la
stanza era stata costruita pochi metri sotto il pavimento della Casa
Grande.
-Poseidone.- grugnì Clarisse,
indicando il
mare con un cenno del capo. -Anche aprendo la finestra, non entrerebbe
acqua.
-Chi è Poseidone?-
domandò Ron, appoggiando le mani al vetro della finestra.
-Il dio dei mari, conosciuto anche come
il padre di
quella Testa d'Alghe di Percy Jackson.- spiegò pigramente
Clarisse.
-Oh. Capisco.- disse Ron. Poi si
voltò verso la castana. -E tu chi sei?
Lei gonfiò il petto e drizzò la schiena. -Io sono
Clarisse La Rue, figlia di Ares, il dio della guerra.-
decantò
fieramente.
-Wow.- disse Ron.
Il rosso non sapeva se essere preoccupato che quella ragazza potesse
spezzargli le ossa in due anche solo con una mano o se dovesse
dimostrarsi entusiasta e sfoggiare un'espressione di pura ammirazione.
-Già.- disse Clarisse, fiera.
-Tu?
-Io cosa?
La ragazza alzò gli occhi al cielo. -Fortunatamente qui non
ci
sono arpie, altrimenti ti avrebbero già sbranato per via
della
tua stupidità.
-Ehi!- cominciò a protestare
Ron, ma Clarisse l'interruppe.
-Devo decidere se sei mio nemico o
meno.- disse,
fissandolo negli occhi con la massima serietà. -Quindi
adesso ti
faccio delle domande e tu rispondi.
Ron deglutì. -O-Okay.
Clarisse sembrò soddisfatta. -Come ti chiami?
-Ron Weasley.
-Anni?
-Diciassette.- disse. -Ne compio
diciotto il primo Marzo.
La sedicenne annuì, passando alla prossima domanda. -Casa?
-Grifondoro.
La ragazza inarcò un sopracciglio. -Che?
-Grifondoro.- ripeté.
Si rese conto dopo qualche istante che ai maghi non era concesso di
parlare del loro mondo con i Babbani, ma, accidenti!, lei era
figlia di un dio!
Ron trasse un lungo respiro e poi si accinse a raccontarle la sua
storia. -Io non sono figlio di un dio. Io sono un mago.
Clarisse sfoderò la sua spada e Ron si portò
istintivamente la mano alla tasca dei pantaloni per afferrare la
bacchetta, ricordandosi troppo tardi di averla smarrita.
-Oh miseriaccia!- esclamò,
tentando di scappare.
Clarisse gli puntò la lama alla gola e Ron trattenne il
respiro,
cercando un modo per scappare da quella furia omicida. Come aveva fatto
anche solo a pensare di potersi fidare di una figlia del dio della
guerra?
-Giura che non mi stai prendendo in
giro.- sibilò Clarisse. -Lancia un incantesimo, adesso.
Ron continuò a trattenere il respiro - diventando color
porpora
- fino a quando Clarisse non allontanò la lama dal suo
collo.
Ron riprese a respirare affannosamente, massaggiandosi il collo con una
mano.
-Lo farei, se potessi.
Clarisse ripose la spada nel fodero. -Che cosa intendi?
Ron la fissò, frustrato. -Se i miei incantesimi
funzionassero
anche qui, me ne sarei già andato invece che restare a fare
l'elfo domestico con quei mostri mangiateste!- sbottò,
indicando
la porta della cucina, oltre la quale le arpie stavano preparando da
mangiare.
-Uhm, un punto a tuo favore.- gli
concesse Clarisse. -Mettiamo che io ti creda, ma tu...
Ron la interruppe e le prese le mani, lasciando la ragazza alquanto
confusa e, probabilmente per la prima volta in vita sua, imbarazzata.
-Tu mi devi credere.- la
pregò Ron, con un
atteggiamento che non era per nulla da lui. -Devi aiutarmi ad andarmene
da qui!
Clarisse si liberò dalla sua presa con un movimento brusco.
-Perché mai dovrei farlo?
-Perché altrimenti Tu-Sai-Chi
riuscirà
ad uccidere Harry e il mondo sarà nuovamente nelle mani del
Signore Oscuro!- spiegò velocemente Ron.
La sedicenne era alquanto confusa. -Harry? È un Mezzosangue
che
è venuto a questo campo? Altrimenti non ha nessuna speranza
di
battere Luke e i suoi scagnozzi.
Fu il turno di Ron a non capire un accidenti. -Chi è Luke?
-Chi è Harry?
-Immagino che ci siano un po' di cose da
spiegare.- sorrise Ron.
-Sì, ma fa' in modo che il
mio tempo non sia
sprecato.- borbottò Clarisse, sedendosi per terra a gambe
incrociate.
Tell me what you want to hear
Something that will
light those years
I'm sick of all the
insincere
So now I'm gonna give
all my secrets away.
[Secrets - OneRepublic]
-Così
è grazie a questo Chris che avete capito che possano aver
scoperto il Labirinto, vero?
-Esatto.- annuì Clarisse.
-Che storia incredibile!-
sbuffò Ron,
scaricando la tensione accumulata durante il racconto. -Comunque, fai
in modo che la mia storia resti un segreto, o finirò nei
guai
con il Ministero della Magia.
Clarisse si portò una mano sul cuore, promettendo. -Scusa,
ma non è quel posto dove lavora tuo padre?
Ron annuì. -Sì, e proprio per questo non si deve
sapere.
Con tutta quella storia dell'Ordine della Fenice, potrebbe finire molto
male per la mia famiglia.
-Capisco.- disse lei. -Ti prometto che
terrò
la bocca chiusa. So cosa significa stare lontana dai propri genitori, e
non lo auguro a nessuno.
Ron abbassò lo sguardo, imbarazzato, non sapendo cosa dire.
Clarisse era la prima persona a cui aveva dovuto raccontare la sua
storia dal principio, e, nel farlo, si era sentito straordinariamente
libero, come se un pesante fardello che stava portando sulle spalle
fosse finalmente svanito nel nulla, e sperava che Clarisse avesse
provato la stessa fantastica sensazione di libertà.
Il ragazzo avrebbe voluto dirle che presto tutto sarebbe finito, ma non
lo fece. D'altro canto, come avrebbe potuto? Non sapeva nemmeno se
sarebbe riuscito a non essere sbranato dalle arpie nel giro di
ventiquattr'ore. Parlando con Clarisse, tuttavia, aveva capito, a
grandi linee, come doveva sentirsi Harry.
"Ho
fatto una stupidata colossale urlandogli contro."
pensò mestamente.
-E sia, ti aiuterò.
Ron sollevò lo sguardo e fissò Clarisse con un
sopracciglio alzato. -Che?
-Ti aiuterò ad andartene da
qui.
Gli occhi del ragazzo s'illuminarono. -Grazie infinite, Clarisse!
Lei spostò bruscamente lo sguardo su uno dei vasi in
ceramica
riposti con cura su uno degli scaffali. -Sappi che dovremmo fare tutto
in segreto, però. E se sbagliamo anche solo una volta, il
Signor
D avrà sulle spalle l'importante decisione di darci in pasto
o
alle arpie o a Peleo.
Ron storse il naso. -Ci sarò anche abituato, a furia di
girovagare con Hermione e Harry, ma non mi piacciono tutti questi
segreti. Anche la storia di Chris... trovo che se tutti sapessero di
quanto è accaduto, si troverebbe una cura più in
fretta.
Ho capito che il Signor D ci sta lavorando, ma non credo che voglia
compiere una mossa così avventata senza prima rifletterci.
Sarebbe meglio che la cosa non restasse segreta, no?
Clarisse, nonostante il fatto, o forse appunto per il fatto, che Ron
aveva ragione, tacque, dedicando più attenzione di quanto
sarebbe stato legittimo anche per un appassionato al vaso di ceramica.
-È complicato.-
borbottò lei. -Crediamo che ci sia una spia.
Ron sgranò gli occhi. -Qui? Nell'unico posto sicuro per
semidèi?
La sedicenne annuì, e un ciuffo ribelle di capelli
uscì
dalla bandana e le ricadde sulla fronte, coprendole leggermente gli
occhi.
-Questo è quello che dovrebbe
essere.-
bofonchiò Clarisse. -Che poi lo sia, questo è un
altro
paio di maniche.
-In effetti, con quella parete di
lava...-constatò Ron.
Clarisse gli tirò un pugno in testa. -Parlavo di Luke, razza
di tonto!
-Ehi!
La figlia di Ares non lo stette a sentire e guardò
l'orologio
appeso al muro. -È tardi, suppongo che debba portare a Chris
la
cena.
Clarisse s'alzò in piedi e si pulì la polvere dai
pantaloni, strappati all'altezza del ginocchio. Prese il fodero della
spada, che aveva poggiato accanto a lei sul pavimento, e fece per
andarsene.
-Manterrai il mio segreto?- le chiese
Ron.
-Solo se tu manterrai il mio.- rispose
Clarisse.
Il rosso sorrise. -Ti prometto che nessuno saprà che sei qui.
-Allora siamo d'accordo.
La ragazza posò la mano sulla maniglia d'ottone e
aprì la
porta, facendo per andarsene, cosa che avrebbe anche fatto se Ron non
avesse ripreso a parlare.
-Manterrò il tuo segreto.-
ripeté.
Clarisse alzò un sopracciglio e voltò la testa
per guardarlo. -L'hai già detto, Rosso.
-Ma lo manterrò.- disse.
-Anche se non credo sia corretto, lo manterrò.
-Farò lo stesso.
La ragazza stava quasi per sparire oltre la porta, ma Ron la
fermò. -Clarisse...
La figlia di Ares si voltò, esasperata. -Che vuoi?- gli
domandò bruscamente.
-Anche la nostra conversazione deve
rimanere segreta?
Clarisse non rispose, ma si limitò a chiudersi la porta alle
spalle con un tonfo, lasciando un Ron alquanto confuso seduto sul
pavimento.
La
ragazza afferrò i vassoi malamente e corse via, senza
salutare né Ron né - non che normalmente lo
facesse - le
arpie che avevano preparato la cena per Chris. Quando finalmente giunse
dal figlio di Ermes, ci chiuse la porta alle spalle con un giro di
chiave e ne seguì il profilo, lasciandosi scivolare a terra.
-Tutto, ma non questo...-
borbottò la figlia
di Ares, con il cuore che le batteva un po' per la corsa e un po' per
quanto accaduto quel giorno.
-Il filo!- protestò Chris,
ancora convalescente, rigirandosi sul materasso. -Il filo!
Clarisse trasse un sospiro profondo e si rimise in piedi. -D'accordo,
ma è ora di mangiare.
Chris scosse la testa con forza e balzò giù dal
letto. Si
avvicinò a Clarisse ed iniziò a scuoterla per le
spalle.
-No, il filo! Devo trovarlo!
Avrebbe potuto stenderlo con una manata, ma non lo fece. Anzi, i suoi
occhi iniziarono a riempirsi di lacrime nel vedere che lo stato di
Chris non era migliorato per niente da quando l'aveva trovato a
Phoenix, nonostante si fosse presa molta cura di lui.
-Chris, ora basta.- mormorò
Clarisse.
Chris lasciò la presa e prese a piroettare per la stanza per
poi sedersi al tavolo.
Clarisse annuì. -Sì, ti ho portato la cena.
-No! Il filo!- esclamò Chris,
mentre una
lacrima gli rigava la guancia. -Mi ammazzerà se non lo trovo!
-Chi?- gli chiese Clarisse. -Chi ti
ucciderà?
Uno dei motivi per cui Chirone aveva fatto sì che Chris
restasse
in quello stato ancora un po' di tempo era perché aveva
bisogno
di ottenere informazioni riguardo ai piani di Crono,
affinché
Percy ed Annabeth potessero prepararsi a dovere in caso di un eventuale
attacco. Dopotutto, se il Signor D avesse curato Chris immediatamente,
la sua memoria relativa a quanto aveva passato nel Labirinto sarebbe
stata cancellata e, quindi, il Campo avrebbe avuto un'informazione in
meno.
Nonostante sapesse che era un ottimo piano per anticipare le mosse di
Crono, Clarisse era estremamente contraria all'idea di far soffrire
Chris così.
-Non sente mica dolore, Clarette.- le
aveva detto il
Signor D in modo sbrigativo, sfogliando una rivista sul Pinot Nero.
"Ma
la cosa è disumana lo stesso!" si ripeteva
Clarisse, biasimando il Signor D per la sua crudeltà nel
lasciare Chris ammattito.
Chris si guardò attorno, impaurito.
-Mi ucciderà, mi
ucciderà!
-Chi, Chris?- gli domandò
nuovamente Clarisse.
-Lui!- balbettò Chris.
-Adesso mi ucciderà perché l'ho rivelato!
Clarisse abbracciò il figlio di Ermes. -Nessuno ti
ucciderà, Chris.
-Lui sì, lui sì!-
singhiozzò. -Devo trovare il filo, devo cercarlo!
Chris si dimenò, cercando di liberarsi dalla stretta di
Clarisse, ma lei non lo lasciò andare.
-Prima mangia, lo cercherai dopo.
-Ma mi ucciderà!
Clarisse lo guardò dritto negli occhi, tentando di mantenere
uno
sguardo fermo nonostante fosse sul punto di scoppiare in lacrima.
-Non lo farà.- disse. -Hai la
mia parola.
Chris annuì, ringraziandola. -Ho fame.
-Oh, sì.- esclamò
la ragazza,
asciugandosi velocemente gli occhi con il dorso della mano. -Ho portato
da mangiare.
Il volto di Chris si aprì in un sorriso sghembo. -Grazie.
Clarisse gli sorrise. -È un piacere.
Tuttavia, nel dirlo, lanciò tutte le imprecazioni possibili
ed immagini contro Afrodite.
***
Il
giorno seguente, Clarisse si presentò in cucina un po' in
anticipo. Ad attenderla c'era la visione di un Ron addormentato su uno
sgabello ed una torre di piatti puliti in bilico davanti a lui. Nemmeno
la figlia di Ares riuscì a trattenere un sorriso nel sentire
il
rumoroso russare del ragazzo, che sembrava blaterare di un certo "grattamento di stinchi"
nel sonno.
-Ehi, Rosso!- lo svegliò
Clarisse, dandogli
una gomitata tra le costole. -Lascia in pace gli stinchi e svegliati!
Ron cadde dallo sgabello e fissò Clarisse con ira. -Ma sono
le sette!
-Appunto.
Il ragazzo si alzò, massaggiandosi la schiena dolorante.
-Ringrazia che le Maledizioni Senza Perdono non funzionino qui,
perché lo sanno tutti che non è una cosa
intelligente
disturbare il mio sonno.
Clarisse lo guardò con aria di sufficienza. -Se fosse stato
per te, saresti caduto in letargo secoli or sono.
-Non è assolutamente vero!-
replicò Ron.
-Sì, invece!-
ridacchiò lei. -Russavi come Mrs O' Leary, il che
è tutto dire.
Ron fece orecchie da mercante e iniziò a riporre i piatti
negli scaffali. -Comunque, che ci fai qui?
La castana si guardò attorno con aria circospetta e, dopo
essersi accertata che le arpie stessero ancora perlustando i confini
del campo, si avvicinò a Ron.
-Dovrò pur sapere come
è fatta questa bacchetta, no?- disse piano Clarisse.
Ron si fece pensieroso. -Beh, è un po' complicato da
spiegare...
certo, se venissi con te a cercarla, la cosa sarebbe molto
più
semplice.
Clarisse aggrottò le sopracciglia. -Non se ne parla nemmeno,
non posso certo rischiare.
Tuttavia, si sa, pane e rischio sono alla base della dieta di un figlio
di Ares, perciò non c'è da stupirsi che, quella
notte
stessa, Clarisse fosse andata a cercare la bacchetta di Ron con
quest'ultimo al seguito.
Clarisse teneva la torcia con una mano e teneva l'altra sull'elsa della
spada, allacciata al fianco, volendo essere pronta per ogni evenienza.
Si guardava attorno con aria circospetta, come se un mostro potesse
sbucare da un momento all'altro. Ron, dal canto suo, osservava ogni
edificio con aria confusa, non capendone la funzione.
Pattugliarono la zona attorno alle case degli dèi e - cosa
legittima - Ron chiese alla Mezzosangue quali case fossero dedicate a
quale dio.
-Quelle con i pavoni sono Zeus ed Era.
In teoria
dovrebbero essere vuote, ma Zeus ha voluto fare un po' il furbo e
adesso nella sua abita Talia, sua figlia.
-Quella che prima era un pino?
Clarisse annuì. -Lei. Poi, le case sulla sinistra sono
quelle
dedicate alle dee, mentre quelle sulla destra sono quelle dei figli
degli dèi.
-Tu in che casa sei?- le
domandò Ron, curioso.
La castana puntò la torcia verso una casa dai muri di un
rosso
brillante che aveva sul tetto una testa di cinghiale. Accatastate
tutt'attorno c'erano trappole ed armi d'ogni sorta, dalla trappola per
topi al giavellotto e dal coltello da pesce allo scudo di bronzo.
-Casa numero 5, Ares, dio della guerra.-
disse Clarisse, ripetendo la dicitura a memoria.
-Forte.
-Lo so.
Ron rise. -Non credevo fosse così divertente uscire con te!
I muscoli di Clarisse s'irrigidirono, e non era un buon segno. Ron se
ne accorse e smise di ridere immediatamente.
-Clarisse...?- fece il rosso, con
leggero timore.
Lei si voltò e lo fulminò con un'occhiata
assassina.
Dopodiché afferrò il povero mago per il polso e,
tenendolo così stretto da bloccargli la circolazione
sanguigna,
lo condusse attraverso la foresta.
-Stammi bene a sentire, Rosso!-
sbraitò
Clarisse. -Io e te non stiamo uscendo insieme, stiamo solo cercando la
tua bacchetta, quindi non fare commenti intelligenti quanto la cacca di
Minotauro!
Ron alzò le mani in segno di resa. -Beh, siamo all'aperto e
siamo insieme...
Lei gli tirò un calcio su un ginocchio. -E taci!
-Ehi!- protestò lui.
-Miseriaccia, mi hai fatto male, sai? Non dovresti tirare certi...
Clarisse gli mollò una ginocchiata allo stomaco e gli
tappò la bocca con la mano. -Fa' silenzio.- gli
sussurrò
all'orecchio. -Non siamo soli.
Ron trattenne il respiro e Clarisse allentò la presa. La
ragazza
sguainò la spada e prese a fare a fettine alcuni cespugli
come
fossero del pane. Ron l'ammirava, stupito.
Dopo che la ragazza ebbe ridotto in polvere - letteralmente - un
Uccello Stinfalo, probabilmente un fuggiasco dello stormo che Percy
aveva distrutto l'estate precedente, il quale era la probabile fonte
del rumore udito da Clarisse, la figlia di Ares si rivolse a Ron.
-Dovremmo pattugliare la foresta,
è probabile
che la bacchetta sia finita lì.- disse, stringendo il nodo
della
bandana che portava in testa. -Faremo un altro giorno, le arpie stanno
per arrivare.
Ron sfoggiò un sorrisetto compiaciuto. -Mi è
piaciuto come hai usato il plurale, Clarisse.
La ragazza arrossì e, sfortunatamente per lei, Ron se ne
accorse
nonostante fosse buio pesto. -Se non vuoi venire sono affari tuoi.
Ron sorrise. -Certo che voglio venire.
-Bene, allora il discorso è
chiuso.- disse Clarisse, sbrigativa. -Buonanotte e sogni d'oro.
-Magari lo siano...
-Sognerai Harry e Hermione?
Ron fece spallucce. -Può darsi, ma, se li
sognerò, voglio
che, almeno in sogno, non siano più arrabbiati con me.
-Questo non toglie che tu ti sia
comportato da vero
tonto, ma sono certa che ti perdoneranno.- disse Clarisse, pulendo con
le mani il fodero della spada.
-Spero solo che Hermione mi perdoni...-
borbottò Ron, alzando gli occhi al cielo con fare
esasperato.
-Quella ragazza è testarda come un mulo.
Clarisse si bloccò. -Sei innamorato di lei?
Ron arrossì, diventando tutt'uno con i suoi capelli. -Uh...
è complicato.
Clarisse lo fissò dritto negli occhi, seria come non mai. -E
tu semplifica.
-Penso che sia innamorata di Harry.-
ammise
mestamente il ragazzo. -Credo che io debba togliermela dalla testa.
Clarisse tacque. Ron avrebbe dato qualunque cosa purché
dicesse
anche solo "hai ragione" o "ma sei veramente stupido!", ma niente di
tutto ciò uscì dalla bocca di Clarisse.
La ragazza lo liquidò solo con un "è tardi",
dicendogli
di andare a dormire: nel pomeriggio, Clarisse aveva arrangiato una
brandina per Ron in una delle stanze della Casa Grande, di modo che non
dovesse dormire nuovamente su uno sgabello in cucina.
-Forse sognerò il momento in
cui tu ed io troveremo la mia bacchetta.- disse Ron.
Clarisse abozzò un sorriso e riprese a camminare, a passo
deciso, verso la Casa Numero 5, inveendo contro Afrodite in ogni lingua
morta ed esistente sulla Terra.
***
But if I kiss you,
will your mouth read
this truth?
Darlin', how I miss you
strawberries taste how
lips do
[Little Bird - Ed Sheeran]
Era
una tarda sera di Dicembre, circa cinque giorni prima di Natale. In
teoria, nel giro di pochi minuti, i figli di Efesto avrebbero lanciato
i fuochi d'artificio natalizi, come da tradizione, e Ron e Clarisse
stavano aspettando l'inizio dello spettacolo pirotecnico affacciati,
seppur lontano da occhi indiscreti, alla finestra del pianterreno della
Casa Grande. Erano passate settimane da quando Ron si era catapultato
nel mondo di
Clarisse, e Clarisse in quello di Ron, ma il tempo pareva essere volato
veloce come il vento. I due giovani si vedevano ogni giorno, quando lei
finiva di sistemare le cose con Chris, e le chiacchierate tra i due
erano sempre più allegre e spigliate. A detta di Clarisse,
Ron
era stato il suo unico vero amico da tanto tempo. Ron, dal canto suo,
temeva di aver trovato una ragione per cui potesse restare in quel
posto: aveva detto a Harry di essere stanco di non essere considerato
da nessuno, di non essere accettato da nessuno, e aveva raggiunto la
convinzione che i suoi amici stessero meglio senza di lui.
Il problema è che non era sicuro che fosse ciò
che volesse davvero.
-Manca poco a Natale, eh?- disse
Clarisse, raggiante.
Ron annuì, e gli occhi gli si velarono di nostalgia. -Mi
mancherà il maglione natalizio di mia mamma.
Clarisse gli tirò una gomitata tra le costole.
-Ahi!- protestò Ron. -E
questa per che cos'era?
-Non hai percepito il carattere
affettuoso di questa gomitata?- ridacchiò Clarisse.
Ron si massaggiò la parte dolorante. -No, direi di no.
Clarisse scoppiò a ridere come non faceva da tempo. Era una
risata sincera, cristallina, come quelle che Clarisse faceva solo prima
di iniziare a combattere contro i mostri per salvare la pelle. Da
quanto non rideva di gusto? Ormai aveva perso la cognizione del tempo.
-Perciò... passerai il Natale
qui, Rosso?
Ron sospirò. -Mi chiamerai mai per nome?
Lei ridacchiò. -No, non credo.
-Ma mi dà fastidio!
Il volto di Clarisse si aprì in un sorriso beffardo.
-Appunto.
-Oh, allora lo fai apposta!-
esclamò il ragazzo, sorridente, balzando in piedi.
-Chiamarti Ronald sarà il mio
regalo di Natale, va bene?
Ron s'incupì. -Chiamami solo Ron, per favore.
Clarisse inarcò un sopracciglio. -Che differenza fa?
-Hermione mi chiamava "Ronald" quando
era arrabbiata.- bofonchiò Ron.
La ragazza si mordicchiò un labbro. -Capisco.
Ron, volendo cambiare discorso il più velocemente possibile,
spostò la conversazione sulla ricerca della sua bacchetta.
-Quindi oggi non cercheremo la mia
bacchetta, vero?
Clarisse scosse la testa. -Pensavo che si potesse fare domani, a meno
che tu non voglia riprendere dopo i fuochi.
Ron sorrise. -No, va bene così.
-Come mai?- chiese Clarisse,
incuriosita. -Fino a
pochi giorni fa non potevi far altro che pensare a ritrovarla per poter
tornare a casa.
Ron tacque per qualche istante. -E se avessi cambiato idea?
-Come?- disse Clarisse, incredula.
-Se, diciamo, non volessi più
tornare...- disse Ron. -E se, sempre ipotizzando, la causa fossi tu...
Clarisse lo fissò con un'espressione severa sul volto. -Non
prendermi in giro, Rosso. Poco fa mi hai detto che ti manca Hermione,
ti manca Harry... questo non è il tuo mondo.
Ron le prese le mani tra le sue. -Dovrebbe fare differenza il fatto che
sia il tuo mondo piuttosto che il mio? Mi ci abituerò.
Clarisse si liberò dalla sua presa. -Stammi a sentire,
Rosso: tu
sei Inglese, io Americana. Tu sei un mago, io una Mezzosangue. Tu lavi
i piatti con le arpie, io combatto. Mi spieghi che cosa ti spinge a
restare?
-Non voglio più essere
l'eterno secondo nel mondo di Harry.- disse il ragazzo.
-E questo ti pare un motivo sufficiente
per
rinunciare a tutto quello che avevi costruito in Inghilterra?-
sbraitò Clarisse. -Rinunceresti al tuo migliore amico e alla
ragazza che ami solo per questo?
Ron avvampò. -Fa differenza?
-Sì che la fa!
-Ormai tutto è diventato
relativo, anche il
concetto di differenza.- esclamò Ron. -L'unica cosa che
è
sicura è che io non riuscirei ad andarmene e a dimenticare
tutto
quello che ho passato qui.
Clarisse gli voltò le spalle e fece per andarsene, ma Ron
l'afferrò per un polso e non glielo permise.
-Non riuscirei a dimenticare il Signor D
e le sue
maniere da schizofrenico, la storia del Campo, o le occhiate assassine
delle arpie.- disse il ragazzo, sentendo il cuore che scandeva un ritmo
più veloce. -Non riuscirei a dimenticare te.
Clarisse arrossì, prendendo il colore delle pareti della
Casa Numero 5. -Come faccio a sapere che non menti?
Ron sorrise amaramente. -Sto lasciando tutto per ottenere niente, se tu
non fossi dalla mia parte. Perché dovrei farlo?
Clarisse tacque.
-Devo andare.- disse poi.
-Aspetta!- la trattenne Ron, prendendole
il volto tra le mani e stampandole un bacio sulle labbra.
Uno scoppio in sottofondo fece capire ai due giovani che lo spettacolo
pirotecnico era terminato. Quando Ron allontanò il suo viso
da
quello della figlia di Ares, ella s'asciugò le labbra umide
con
la manica del maglione e prese a fissarlo con un'espressione
seria.
-Anche quello che provi per me
è relativo?
Ron abozzò un sorriso. -No, direi di no.
***
I'd spend forever
wondering if you knew
I was enchanted
to meet you
[Enchanted - Taylor Swift]
Quella
notte, Ron sognò Hermione. Sognò un serpente, una
bacchetta spezzata, una trappola mortale per Hermione e per Harry.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, con il respiro
pesante.
Era solo un sogno, e di questo non aveva bisogno di conferme per averne
la certezza, ma gli sembrava tutto troppo reale perché non
stesse succedendo realmente. Aveva lasciato i due amici senza uno
straccio di piano per distruggere il medaglione e trovare gli altri
Horcrux, perciò non sarebbe rimasto stupito nel tornare e
vedere
Harry e Hermione coperti da bende e cerotti e puzzolenti per via delle
pozioni per curare le ferite.
Ron si mise seduto e si mise le mani tra i capelli con disperazione.
Ormai aveva scelto di rimanere a vivere al Campo Mezzosangue con
Clarisse, non doveva più preoccuparsi e Harry e di Hermione:
l'avevano escluso troppe volte, ed era, finalmente, giunto il tempo che
Ron escludesse loro dalla sua vita.
Ma perché doveva essere così dannatamente
difficile?
Ron afferrò il cuscino e lo lanciò contro il muro
con
forza. Nel sollevarlo, la sua bacchetta rotolò verso di lui.
Il rosso sgranò gli occhi. -Da quanto era qui sotto?!- si
domandò, incredulo. -Se solo l'avessi saputo...
S'interruppe, non sapendo come continuare. Di certo, se avesse trovato
prima la bacchetta, non si sarebbe mai innamorato di Clarisse, e non
era sicuro che, se avesse potuto, sarebbe tornato indietro e avrebbe
cambiato le cose. D'altra parte, comunque, si chiedeva
perché
avesse sognato Hermione e non Clarisse: se solo fosse stato onesto con
se stesso, avrebbe saputo darsi una risposta.
Clarisse non lo meritava, e lo sapeva. Tuttavia, Ron sapeva anche di
provare per Clarisse qualcosa di forte, ma il semplice fatto che non
riuscisse a dimenticare Harry e Hermione - in particolare, era vivido
nella sua mente il ricordo di quest'ultima - lo spingeva a credere che
quel posto non fosse il suo mondo, e che, quindi, Clarisse avesse avuto
ragione sin dal principio, dicendo che lui apparteneva al mondo dei
maghi e non a quello dei semidèi.
Ron sapeva cosa fare.
Afferrò velocemente carta e penna ed iniziò a
buttare
giù le famose ultime "quattro righe", che si trasformarono
in un
foglio scribacchiato, con una pessima calligrafia qual era la sua, su
entrambe le facciate. Il mago piegò il foglio con cura e
uscì, con aria furtiva, dalla Casa Grande, sicuro che non
c'avrebbe più messo piede.
Ben attento a non farsi scoprire dalle arpie, Ron si avviò,
con
aria circospetta, verso il luogo dove Clarisse si nascondeva con Chris.
Con quanta più leggerezza possedeva, Ron aprì la
porta -
che, fortunatamente, quella volta non scricchiolò per via
dei
cardini arrugginiti e rovinati - della Casa, e cercò, a
tentoni,
il letto della ragazza.
Quando finalmente l'ebbe trovato, notò che lì
vicino
erano accatastati i suoi vestiti, la sua armatura e la sua spada. Ron
credette che fosse più probabile che notasse la lettera se
l'avesse poggiata sopra gli abiti, e così fece.
Sospirò, e, prima di uscire, mormorò "Addio"
all'orecchio della ragazza.
Con la stessa cautela con la quale era entrato in quella stanza,
prestando attenzione a non svegliare né lei né
Chris, Ron
si chiuse la porta alle spalle, per Smaterializzarsi dopo pochi passi,
senza sapere che Clarisse era ben più amichevole di un
branco di
Ghermidori.
***
Dont'
deny me,
and this pain I'm going
through
Please, forgive me
for can't stop loving you
[Please Forgive Me - Bryan Adams]
«E so che
lo scriverti questa lettera
anziché salutarti di persona non sia un atto da vero
Grifondoro,
ma ti chiedo di perdonarmi. Ti prometto che non dirò niente
del
tuo mondo, e ti prego di mantenere il segreto anche tu. Volevo solo
dirti che non ti dimenticherò. Speravo che un giorno tu
potessi chiamarmi per
nome, comunque. Ron.»
Clarisse rilesse queste ultime righe per l'ennesima volta, mentre
l'inchiostro si cancellava venendo a contatto con le lacrime di lei.
La figlia di Ares, in tutti i suoi sedici anni di vita, aveva sempre
creduto che piangere per amore fosse roba da figli di Afrodite, tutti
pon-pon e merletti; meno che mai avrebbe pensato che lei stessa potesse
trovarsi a fare la femminuccia. Perché non era altro che
quello:
un atteggiamento da femminucce, la piena dimostrazione della debolezza
femminile in tutta la sua pateticità.
La ragazza desiderava solamente che non l'avesse presa in giro per
tutto il tempo, che avesse tenuto veramente a lei. E si arrabbiava con
lui e con se stessa proprio per il fatto che stava pensando cose da
debole.
Lui le aveva mentito? Bene, fine della storia. Avrebbe iniziato a
leggere un nuovo libro, sperando che, almeno quello, fosse a lieto fine
e che, non come nel precendente, i sentimenti dei protagonisti,
indipendentemente dalla situazione o dallo stato d'animo, non fossero
relativi.
My
little corner:
Saaaaalve! :D (?)
Eviterò di fare come la gocciolina di sodio forever-alone
che chiede "c'è nessuno?" e passerò oltre.
Lo so, e non ho problemi ad ammetterlo (cose che invece dovrei avere):
sono prolissa da fare schifo. E non solo per il fatto che sono partita
con l'idea di scrivere una flashfic...^^"
Ultimamente ho avuto un po' di problemi, ma, nonostante ciò,
ho
avuto la brillante idea d'iscrivermi al contest indetto da Effie
Malcontenta Weasley. Giusto perché ho molto tempo, come
no... :D
#sarcasmo Se avessi avuto una quantità d'ispirazione pari a
quello della mancanza di tempo, questa storia sarebbe risultata
certamente meglio di quella che è attualmente. Seriamente,
la
prossima volta chiederò un biglietto da visita ed un
recapito
telefonico a Madame Ispirazione (grazie a Miwy per la trovata geniale
:D)!
Comunque, spero che Effie, la povera anima pia che deve sorbirsi questo
mattone (essendo il giudice del contest), non mi rincorra con un
randello per darmi il suo parere su questa shot... ^^" #muchloveEffie
Detto questo, je dois m'en allez, quindi vi lascio.
Alla prossima!
Aly.
PS: Perdonate la scelta di Jennifer Lawrence come Clarisse, ma
ultimamente sono fissata con THG, e vedo Jennifer perfetta in qualsiasi
ruolo. E poi, non avrei avuto idea di chi altro scegliere, ahah! :D
Credits:
Characters © J. K. Rowling and Rick Riordan
Text Font = Arial
Banner: Rupert Grint as Row Weasley; Jennifer Lawrence as Clarisse La
Rue
Title Font = Crackin'
I fatti narrati sono frutto di fantasia, e qualunque riferimento a
fatti o persone reali è puramente casuale. I personaggi
(eccezion fatta per Ronald Weasley, che appartiene a J. K. Rowling)
appartengono a Rick Riordan, che ne detiene tutti i diritti. Questa
storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Gli autori e i titoli delle canzoni utilizzate per la song-fic sono
riportati sotto la relativa citazione.
Questa storia partecipa al contest "Percy Jackson vs Harry Potter"
indetto da Effie
Malcontenta Weasley.
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