Ciò
che hai perso
-non
è mai scomparso-
Andando
via, quel giorno di quattro anni prima, l'unico superstite del Popolo
della Foresta si era lasciato tante cose dietro. Forse più
di quante, dando le spalle al muro distrutto di una No.6 finalmente
libera, aveva creduto ne stesse abbandonando. Dopotutto non c'era
niente di veramente
suo, lì.
Si era sempre sentito
così, libero di una libertà fasulla e vuota,
privo di ogni vincolo che non fosse quello della sua vendetta. E
quando, finalmente, questa s'era compiuta e non era rimasto
più nulla di quelle catene che lo avevano legato alla
città che tanto odiava, allora si era ritrovato privo di
ogni scopo.
Libero, di una
libertà futile.
Quel cagnaccio
randagio di Inukashi avrebbe sicuramente pagato oro, per poter dire di
sè lo stesso. Almeno, per quanto la conosceva - davvero
molto poco, nonostante gli anni - era facile credere questo.
Ma lei, appunto, aveva
i suoi cani e il suo hotel - poco importa fosse andato distrutto, come
tante altre cose - e per quanto ne dicesse, non li avrebbe abbandonati
per una libertà di cui non avrebbe saputo godere.
Ma, d'altronde, a
pensarci bene cos'è che si era veramente lasciato dietro?
Forse quella casa
sotterranea, che neanche casa poteva definirsi, così piena
di tutto e ingombra di niente - non quando non c'era lui a riempirla -.
Forse quella miriade
di libri, unica eredità di un passato mai esistito. Unica
ricchezza, di un cuore fin troppo povero.
Persino il teatro,
persino Eve, ecco, persino quello aveva lasciato. Ma ancora, per quanto
poco di nostalgia creasse il pensiero, ecco ancora non era abbastanza
per dire 'ehi,
che ho fatto?'.
Di ciò che
aveva abbandonato veramente, però, preferiva non star troppo
a pensare.
Faceva dannatamente
male tutto quel bianco
davanti agli occhi, anche quando tutto in torno non c'era che il blu,
il verde e infinite possibilità.
Nella sua fuga -
perchè di fuga si era trattata, sì - cosa aveva
avuto la presunzione di cercare? Della sua gente non era rimasto che il
ricordo fra le foglie nuove di alberi bruciati anni prima.
Ma sì, sì,
aveva finito solo per scappare da quanto aveva.
Perchè non
era mai stato abituato a possedere niente, e in fondo non aveva certo
la pretesa di poter dire che quello sciocco, strano, fin troppo
innocente ragazzino fosse suo. Con che coraggio avanzare dei diritti su
quanto aveva lui stesso deciso, arbitrariamente o meno, di abbandonare?
Certo, si consolava
pensando che quella era soltanto libertà. Aveva voluto
regalare un futuro a un amico - che bugiardo - un
futuro dove lui non era previsto, tutto qua.
Aveva già
fatto fin troppo, entrando nella sua vita. L'aveva sconvolta abbastanza.
O forse, forse, era stato
Shion a sconvolgere la sua?
Era tutto
così semplice, prima.
Prima di intrufolarsi
nella sua stanza, dopo averlo sentito urlare alla pioggia come un
ossesso.
Prima di poter capire
quanto calde potessero
essere le persone vive.
Prima di finire
irrimediabilmente, totalmente, irreparabilmente dipendente da lui.
Non aveva mai avuto
bisogno di nessuno. E non avrebbe di certo avuto bisogno di quel
Principino viziato, di quello sciocco sognatore dagli occhi rossi che
avrebbero dovuto terrorrizzare, se solo fossero stati incastonati in un
altro volto.
Già, era
più semplice pensarla così. Dannatamente
più semplice.
Faceva meno male - al
suo orgoglio, o forse solo al suo cuore -.
"Nel
momento in cui trovi qualcosa da proteggere sei già morto"
La Signora dei Cani
glielo aveva ricordato più di una volta, no?
Però...
però... avrebbe, ecco, avrebbe preferito morire, alla fine.
Di una morte di cui ne sarebbe valsa la pena.
Morire di questa
morte, morire per qualcosa da proteggere, che vivere di una vita
così priva di significato.
Aveva tanto cercato,
in quegli anni, tanto cercato qualcosa che non avrebbe mai potuto
trovare lì, dove lo cercava.
Ovunque volgeva gli
occhi, ovunque non vedeva che le stradine di Kronos. Non vedeva che
quella casa, poco più di un buco è vero, il vento
che soffiava nel Distretto Ovest.
Non c'erano che quelle
pareti piene di libri, quel divano e quel misero fornelletto, quel
letto fin troppe volte condiviso.
E poi c'era Shion.
C'era il suo sorriso,
c'era il suo sguardo. C'era la sua voce, la sua risata.
C'era il calore delle
sue labbra.
Chissà
com'era diventato, in quei quattro anni di libertà - fasulla
e mai richiesta - il Principino? Era forse cambiato?
Era ancora Shion?
Forse aveva
semplicemente paura di trovarselo davanti e non riconoscerlo
più. Oppure di riconoscerlo, riconoscerlo fin troppo bene,
eppure vederlo lo stesso diverso e lontano.
Avrebbe fatto male, il
rimpianto.
Ciò
che è perso non torna indietro.
Lo aveva perso?
Definitivamente. Oh, sarebbe stato come morire davvero, quello.
Meglio stare lontano e
non sapere. Meglio vivere di ricordi e false speranze.
Meglio, meglio, meglio
così - vigliacco, codardo, topo di fogna -.
Eppure sei lì.
Fermo ai piedi di una città ricostruita. Non ci sono mura.
Non ci sono divisioni. Non c'è più nulla di
quello che hai lasciato.
Il tuo sguardo vaga
fra le stradine, fra le persone che ridono e scherzano e lavorano e
vivono - e sono libere, libere loro! -.
E poi si ferma,
lì, su quel giovane uomo che sorride, i capelli bianchi
illuminati dal sole, gli occhi rossi semplicemente dal sorriso che
rivolge ai due bambini aggrappati alle sue mani. Non si è
accorto di te.
Ma ecco, la
più grandicella lancia un gridolino, ridendo poi quando il
più piccolo addita la bestiolina che gli si è
arrampicata, svelta svelta, lungo il braccio.
< Nezumi-san! >
Non indietreggi, anche
se vorresti farlo, ricambiando quello sguardo rosso in cui leggi tutto
quello che hai perso, che ti sei lasciato dietro.
E
che è sempre rimasto lì ad aspettarti.
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