And people who are weaker than you and I
They take what they want from life.
“Di
cosa hai detto che ti occupi, Jane?”
La
ragazza sorrise a Kate che le sorrideva a sua volta, cordiale, prima di
ravviarsi i lunghi capelli biondi con un gesto civettuolo e sporgersi
in avanti
per risponderle. Matt ne approfittò per considerare con una
veloce ed esperta
occhiata la sua scollatura.
E
bravo Dom.
Viene voglia di seppellirsi lì in mezzo e non uscire
più fuori.
Risollevò
lo sguardo con un sorriso. Dom lo fissava divertito, il petto
leggermente in
fuori. Doveva avergli letto nel pensiero – non che stesse poi
riflettendo su
chissà quali scenari imprevedibili e metafisici. Le loro
smorfie complici
parlavano da sé.
Si
erano scambiati quell’occhiata di intesa varie volte, prima,
dopo e persino durante
certe
piacevoli circostanze. Era soltanto uno dei tanti gesti che
condividevano da
così tanto tempo da essere diventate vere e proprie
abitudini.
Il
suo sorriso si allargò.
Dio,
Dom, se mai
ti dovessi reincarnare, ti prego, fai in modo di essere un pavone.
Una
manina piccola ma decisa gli strattonò il colletto della
camicia.
“Papà”,
gli sussurrò Bingham con aria quasi cospiratoria.
Matt
ridacchiò e strinse affettuosamente la presa su suo figlio,
chinando la testa
per abbassarsi al suo livello.
“Sì,
007?”
“Oh, di molte
cose… Sono laureata in moda… Sai,
si fa un po’ di tutto, principalmente giro i negozi, vedo un
po’ cosa vogliono
gli sponsor e faccio in modo che non rompano troppo, sai…
Responsabilità ma non
troppo, ecco, non ho nessuna voglia di-”
Matt
poté giurare di aver appena visto suo figlio di cinque anni
alzare gli occhi al
cielo.
“Mi
compri un fumetto?” piagnucolò Bingham. Matt
ridacchiò acutamente e annuì.
“Certo”.
Tranquillo,
cucciolo, ti capisco. Non sei il solo ad annoiarti.
Si
girò verso Kate, che stava fingendo educata
curiosità con tanta classe da far
venire voglia a Matt di chiamare gli Academy e imporre loro di
consegnarle un
Oscar seduta stante.
“K”.
Kate
si voltò. Gli sorrise con aria tranquilla, un po’
furba.
“Amore?”
Sentì
distintamente un sospiro estasiato provenire da Jane; vide con la coda
dell’occhio che una sua mano era sgusciata a stringere una
coscia di Dom sotto
al tavolo.
Mi
spiace,
bellezza, ma se vuoi uno che ti chiami amore faresti meglio a cercare
da
un’altra parte.
“Vado
un attimo all’edicola qua di fronte. Bing vuole un
fumetto,” disse, pizzicando fra
pollice e indice il naso di suo figlio. Lo disse con tono orgoglioso,
come se
Bingham gli avesse appena chiesto il permesso di poter regalare tutti i
suoi
adorati giocattoli a Buster Wolstenholme.
“Lasciami
il naso, papà! Lasciameloooo!”
“Matt,
lascia il naso di tuo figlio, è uno dei punti forti della
sua bellezza”
ridacchiò Kate avvicinando il viso al suo bambino per
strofinarselo contro una
guancia. Dom fece una smorfia perfida.
“Non
avresti detto la stessa cosa se il naso l’avesse preso da tuo
marito, Kate”
rise, lanciando un’occhiata vittoriosa al proprio cantante.
Matt gli mostrò il
medio.
“Segaiolo”.
“Matt!
Non davanti al bambino!”
“Segaiolo!”
“BINGHAM
HAWN BELLAMY! Non si dice quella parola!”
Il
piccolo non fece un plissè, anzi, indicò Dom a
suo padre con un dito e ripetè
con invidibile flemma: “Segaiolo”.
Dom
e Matt erano piegati in due dal ridere; Jane sembrava imbarazzata e un
po’
sconvolta; Kate tentava con tutte le sue forze di non scoppiare a
ridere a sua
volta, cercando di ricoprire il ruolo di madre responsabile.
“Matt!
Guarda che hai fatto!”
Matt
si era preso la faccia tra le mani e continuava a sobbalzare sulla
sedia per le
risa. Suo figlio lo guardava incredibilmente fiero di sé
stesso.
“Bing”,
cominciò Dom, fingendo con pessimi risultati una smorfia
addolorata, “lo pensi
davvero?”
Tirò
su col naso, togliendosi gli occhiali da sola per asciugarsi dal viso
una
lacrima immaginaria.
Il
bimbo ci cascò con tutte le scarpe. Come faceva sempre suo
padre, ogni volta
che Dom sembrava uscire dal suo stato di perenne serenità
interiore per covare
un’incazzatura verso di lui.
“No!”
“Chiedi
scusa, Bing”.
Dom
fece segno a Kate di lasciar stare, ma Bing si affrettò
subito a mormorare:
“Scusa”.
Il
biondo si sporse sul tavolino, rovesciando un bicchiere pieno
d’acqua
direttamente sui pantaloni di Matt.
“Ma
di cosa, piccolo”. Gli diede un bacio sulla fronte, al quale
Bing rispose
tirandogli affettuosamente il lobo dell’orecchio.
“Oi!
Dom! I miei pantaloni nuovi!”
Dom
gli rivolse uno sguardo condiscendente.
“E’
acqua, Matt. E comunque sono orrendi. Non ho rovinato nulla”.
“Orrendi
saranno i tuoi pantaloni rosa da ricchione, segaiolo”.
Kate
non poteva credere alle proprie orecchie. Jane sembrava cercare
disperatamente
un modo per scappare via dagli amici pazzi del suo quasi-fidanzato e
dalla loro
discutibile prole. Bing saltellava felice in grembo a suo padre,
snocciolando
con aria innocente una sequela ininterrotta di
“segaiolo” e rigirandosi la
parola in bocca come se fosse la più buona delle caramelle.
“Matt,
ti sto per prendere a calci in culo”, sussurrò
Kate ridendo esasperata. Matt spalancò
gli occhi, fintamente indignato.
“Ah-ah!
Non davanti al bambino”.
*
“…E
siamo arrivati all’edicola e- che cazzo ridi, Dom, che non ti
ho ancora detto
un cazzo?”
Kate
diceva sempre che non avevano ancora superato la sindrome dei compagni
di
banco: non riuscire umanamente a trattenersi dallo sghignazzare a
catena.
“Che
cazzo ridi tu che non sto facendo un cazzo!”
Matt
ormai ululava nella maniera in cui lo avrebbe potuto fare un lupo cui
qualcuno
avesse strizzato le palle.
“Piantala
coglione che non riesco a parlare-”
“Oh,
una buona notizia! Ahia!”
Il
pugno di Matt riuscì infine a zittire i suoi sghignazzi. Si
asciugò gli occhi,
lasciandosi sfuggire un sospiro contento, e prese un altro sorso dalla
sua
birra. Matt ripetè i suoi gesti nello stesso esatto ordine.
“Dicevo:
siamo arrivati all’edicola, e proprio sopra ai fumetti
c’erano le riviste porno
con il cartello del vietato ai minori e tutto, e Bing indica una
copertina con
una tipa bionda con delle tette enormi a e mi chiede se per caso quella
è
Jane”.
Dom
sobbalzò, picchiò i denti sul collo della
bottiglia e lanciò un urlo di dolore
che venne prontamente soppiantato da un attacco di risa così
forte che si sentì
dolere i muscoli della pancia.
Come
non capire il bambino: Jane aveva una buona quinta di reggiseno.
Impossibile
non fare i dovuti confronti.
“Tuo
figlio” cominciò, inspirando sonoramente dal naso
mentre Matt lo fissava con la
bocca contorta in una smorfia esilarata, “tuo figlio
è un cazzo di genio”.
L’altro
fece spallucce con immodestia.
“Tutto
il suo papà”.
“Bing
ha le carte in regola per diventare l’uomo che non deve
chiedere mai, Bells. E’
tutto quello che tu non sei: adorabile, bello, con un fantastico senso
dell’umorismo…”
Matt
gli diede un altro pugno sulla spalla.
“Io
non ho mai dovuto chiedere un cazzo di niente, Dom” rispose
con una smorfia
furba.
Dom
rise piano, forzatamente, quasi con cautela. Era una risata del tutto
diversa
da quella rumorosa e genuina di poco prima.
“Ma
per favore”.
Matt
sentì un brivido di fastidio scorrergli lungo la schiena.
“Beh,
per non essere biondo, abbronzato e schiavo del proprio aspetto fisico,
me la
sono cavata più che bene”.
“Questo te lo
concedo. Direi che hai
cominciato ad avere davvero successo quando hai smesso di implorare
qualunque
cosa si muovesse per una scopata”.
Matt
scosse la testa e si alzò con una smorfia dalla sedia. Dom
lo guardò
appoggiarsi al balcone del terrazzo, birra in mano, pancetta che
spuntava dalla
cintura dei pantaloni e capelli spettinati dalle innumerevoli volte in
cui ci
aveva passato le dita attraverso.
A
volte si ritrovava a pensare a lui come a una sorta di ragazzo padre.
Ora che
Bing era cresciuto abbastanza da poterci interagire, era regredito a
livelli di
demenza tali da sfiorare quelli dei suoi primi anni di liceo. Dom aveva
cercato
di negarselo più volte – ma la verità
era che vederlo fare lo scemo con suo
figlio gli faceva stringere lo stomaco in preda a un tipo di adorazione
selvaggia che non aveva mai provato in vita sua.
Non
lo voleva baciare, in quei momenti. Non lo voleva toccare. Non voleva
appropriarsene come fosse un oggetto suo, portarlo via da quella casa,
da Kate.
Non voleva turbare nulla di quelle scene, non voleva cambiare un solo
particolare.
Bingham
aveva fatto molto più che rendere immensamente felice Matt:
aveva donato a lui
i soli momenti di pace della sua esistenza da quando lo conosceva.
Quando li
guardava stare insieme era sereno. La tenerezza lo invadeva. Una
tenerezza
placida e appagante come nessun altro sentimento avesse mai provato.
Il
solo pensiero di quel bambino aveva avuto il potere di calmare
l’accesso di
rabbia e desiderio che l’aveva colpito poco prima. È vero, Matt, si era detto
infuriato, non hai mai dovuto chiedere un
cazzo di niente. Non a me.
Scosse
la testa. Finì lentamente la sua birra, godendosela fino
all’ultimo sorso, poi
si accese una sigaretta e guardò Matt sporgersi dal balcone
al suono della
macchina di Kate che entrava in cortile.
*
“Te
l’ho detto quello che penso davvero, Dom!”.
“No,
non è vero. Ti sei trattenuta per non dare corda a questo
coglione e per non
offendere me”.
“È
molto carina. È… frizzante”.
“Che
sarebbe la maniera mondana di mia moglie per dire che la tira in giro
con la
fionda”.
“MATT!
Non è vero!”
“Pfff…”
“Nessun
danno, K, penso che Dom lo sapesse già”.
“Non
ho mai insinuato niente di simile!”
“Ha
due tette che fanno capoluogo di provincia, è figa, ed ha il
cervello di un
cagnolino pechinese. Questa è la mia opinione,
Dom”.
“Che
non è stata richiesta da nessuno, Bells”.
“Andiamo,
è… Oh, insomma, Dom, te la vuoi
sposare?”
“No!”
“E
allora l’opinione di Matt può bastarti,
direi!”
“Dov’è
il mio bambino? Dov’è quel fantastico gnomo?
Voglio che mimi a Dom la scena di
prima all’edicola”.
“Matt,
ti avverto, io ci rido e scherzo quanto vuoi, ma non intendo far
crescere mio
figlio come uno scaricatore di porto”.
“Dov’è,
K? Perché l’hai lasciato da quello schianto di mia
suocera? Gli avevo promesso
che guardavamo insieme Spiderman stasera!”
“C’è
la riunione dei nipoti a casa dei miei. C’è anche
Ryder, suo padre l’ha
lasciato lì dopo aver passato il week-end con lui. Li
spupazzano in gruppo,
come i cuccioli di gatto”.
“Mi
manca già”.
“Awww”.
“Kate,
l’hai fatto tu quel verso?”
“Io
e Dom. Insieme”.
“Gesù”.
*
“Settant’anni
si hanno una volta sola. Grazie a Dio”.
Diverse
risate si levarono dai numerosi tavoli sparsi in giardino, alcune
sincere,
altre meno – ma essendo gli invitati per la maggior parte
attori Dom non
riusciva a capire bene. In ogni caso, Goldie si lisciò con
aria soddisfatta il
satin del proprio vestito e andò avanti con il discorso di
rito.
“Basta
con queste scemenze. Vi voglio tutti ubriachi e felici come me in meno
di
mezz’ora, altrimenti mi offenderò molto. Vietato
distruggere le mie preziose
azalee, traumatizzare i miei nipoti e tentare di rimorchiare la mia
splendida
figlia, che ha festeggiato settimana scorsa i tre anni di matrimonio.
Fatele un
applauso, su! Matthew, tesoro, va tutto bene, bevi un bicchier
d’acqua e
l’iperventilazione sparirà. È
imbarazzante, se ad applaudirlo non è il festival
di Glastonbury gli viene una crisi di nervi. Com’è
inglese! Inspira, espira,
ecco, così… Ah sì, Kurt, la smetto,
scusa, è che sono ubriaca, l’ho detto
prima. Scatenatevi!”.
I
numerosi invitati scoppiarono in un boato di approvazione e si
gettarono come
cavallette sul luculliano buffet che era stato allestito per loro. Tom,
Chris e
Dom continuarono a dare sin troppo poderose pacche sulla schiena a Matt
anche
quando lui sembrò essersi ripreso dallo champagne che aveva
tentato di
ucciderlo andandogli di traverso. Matt lanciò loro uno
sguardo infuriato.
“Figli
di puttana, se non la piantate vi ammazzo”.
“Guarda
come sei carino tutto rosso!”
Dom
schivò un pezzo di tartina al salmone che era stato lanciato
da chissà chi in
direzione di Matt e ridacchiò fra sé e
sé.
Sposati
da tre
anni, un disco e un tour. Però. Chi l’avrebbe mai
detto.
Scorse
Kate e Kelly avvicinarsi a braccetto, le teste vicine, allegre. Matt
stava
ancora facendo i capricci per l’intensità delle
botte commemorative che aveva
preso. Chris e Tom fumavano, ridevano. Goldie, sbronza, baciava suo
marito con
la stessa foga di una sedicenne. I bambini giocavano tra loro.
Incrociò
lo sguardo di Bingham seduto a terra accanto a Ernie, una macchina
radiocomandata delle dimensioni di un forno microonde fra di loro. Lo
salutò
con la mano.
Il
bambino si limitò a fissarlo aggrottando le sopracciglia,
gli occhi azzurri incredibilmente
seri e brillanti fissi nei suoi, come faceva Matt ogni volta che Dom
era
turbato e non sapeva come farlo stare meglio.
*
“Cazzo,
Matt, ma dov’era Goldie quando si trattava di organizzare gli
after-party sul
tourbus? Questa sì che è una festa, porca
puttana. ‘Fanculo gli americani.
‘Fanculo il loro orribile accento. Ma bisogna ammettere che
si sanno divertire,
cazzo”.
Matt
rise e sbuffò sotto il peso dell’enorme oggetto
che lui e Dom stavano tentando
di portare su per le scale. In giardino, sotto i vari gazebo,
l’alcool stava
cominciando a scarseggiare – ciò significava che
la piccola fontana al centro
del terrazzo, che per l’occasione era stata riempita di
ghiaccio, non ospitava
più che nove o dieci solitarie bottiglie di spumante. Goldie
aveva perciò
chiesto all’”adorabile genero inglese, un vero
gentleman” di portare su un po’
delle casse di champagne che teneva al piano di sotto, nella stanza
accanto
alla piscina coperta.
“Si
hanno settant’anni una volta sola, no, Dom?” gli
rispose col fiato corto, rosso
in faccia e con le maniche rimboccate della camicia completamente zuppe
di
sudore.
“Puoi
dirlo forte”, rispose il biondo, le dita che minacciavano di
volersi staccare
dai polsi stesi all’inverosimile. “Cazzo, Matt, mi
gira la testa. Metti giù,
metti giù, cazzo, mi rifiuto di vomitare sopra a una cassa
di Veuve Clicquot”
gli gridò d’un tratto preoccupato, il viso pallido
e la bocca impastata.
Matt
obbedì fulmineamente ed entrambi si appoggiarono ai muri,
esausti. Dom scivolò
a terra e reclinò la testa in avanti.
“Così
sì che vomiti. Proprio sulla tua camicia preferita,
poi”.
“Zitto,
cazzo” boccheggiò Dom, ricoperto di sudore freddo.
La stanza gli girava intorno
a una velocità intollerabile. Aveva bevuto troppo persino
per i suoi standard.
“Lo
dicevo per te”.
Si
schiacciò le tempie con entrambe le mani e prese un lungo
respiro. La nausea si
attenuò per un momento.
“Mica
sei tu che fai settant’anni, comunque. Che bisogno
c’era di ridursi così?” lo
raggiunse la fastidiosa voce di Matt, acuta e stranamente velenosa.
“Vaffanculo.
Non sono io quello che è cascato nel ghiaccio della
fontana”.
“Mi
ci ha spinto mio suocero. Ha detto che avevo bisogno di una doccia
fredda dopo
avermi raccontato quanto è stato figo girare la scena della
lap-dance di Death
Proof”.
Dom
ingoiò rumorosamente e tentò di ricacciare una
risata in gola.
“Cazzo,
quell’uomo è un narratore nato. Ma avere
un’erezione davanti a mia suocera non
è stato il massimo”.
“Non
è stato il massimo neanche quando lei ha richiesto il
microfono che aveva usato
per il discorso per urlare a tutto il giardino che eri in calore come
una troietta”.
Matt
scivolò lungo il muro di fronte a lui e
sghignazzò in maniera incontrollata.
“Grazie
a Dio Kate è più ubriaca di te e ha
riso”, sospirò, slacciandosi due bottoni
della camicia che effettivamente era ancora fradicia dal suo tuffo
nella
fontana. Dom fece schioccare la lingua.
“L’avrebbe
fatto comunque. Non è fottutamente permalosa come
te”.
“Vaffanculo”.
Rimasero
in silenzio per mezzo minuto, tentando entrambi di riprendersi dalla
sbronza e
dalla fatica di aver già portato quattro case di champagne
su per le scale. La
cantina putativa di casa Hawn era umida e soffocante come una palude
“Dom”,
disse Matt di scatto, “fottiamoci una bottiglia. Ce la
meritiamo”.
Si
alzò per andare ad aprire la cassa, le mani un po’
tremanti. Dom gemette al solo
pensiero di ingurgitare altro alcool ma decise che non gliene fregava
nulla.
Aveva vomitato decine di volte ed era sopravvissuto. Stava male,
detestava
tutti quanti, voleva soltanto cancellare dalla propria mente quelle
stupide
ricorrenze ed eliminare dalla propria memoria tre anni, un disco e un
tour in
cui non si era neanche permesso di toccarsi pensando a Matt per quanto
si
sentiva in colpa verso sua moglie e suo figlio.
Sentì
Matt alzarsi e poi inginocchiarsi davanti a lui, i capelli fradici e
spettinati
e il viso congestionato. La camicia gli si era attaccata alla pelle e i
bottoni
erano quasi tutti slacciati. E Dio solo sapeva se era ancora per la
storiella
della lap-dance di Deathproof, ma da quella posizione, chinato in
avanti sui
talloni e a gambe aperte, Dom riusciva chiaramente a vedere quanto
fosse
eccitato.
Lo
guardò, pallido, esausto, disgustato da tutto e in primo
luogo da sé stesso.
Matt lo fissò a sua volta, inspirando profondamente.
Gli
premette il collo della bottiglia sulle labbra.
“Bevi”,
sussurrò.
Dominic
bevve e chiuse gli occhi. Matt ebbe un fortissimo senso di
dejà-vù.
*
“Bevi”,
sussurrò.
Dominic
bevve e
chiuse gli occhi. Deglutì con gusto, ridacchiando, e
socchiuse le palpebre per
rivolgere a Matt uno sguardo offuscato.
“Oh,
finalmente,
cazzo”, disse quando lo vide bere a propria volta dalla
stessa bottiglia e
staccare le labbra dall’orlo con un sonoro risucchio.
“È la tua cazzo di festa
e hai a malapena bevuto una birra. Porca puttana, non andava bene per
niente”.
Matt
prese un
altro lungo sorso, posò la bottiglia a terra e chiuse la
porta del bagno del
locale. La serratura scattò con un click che
sembrò rimbombare nel silenzio che
calò come un’ascia fra quelle quattro pareti.
“Voglio
ricordare ogni cosa”, scandì lento, con chiarezza.
“Matt”.
Ogni
traccia di
divertimento era sparita dagli occhi di Dom. Lo guardava fisso,
immobile.
Quando
lo vide
avvicinarsi arretrò fino a ritrovarsi con le spalle al muro.
“È
questo il
senso di questa stupida festa, no, Dom? Avere tutto quello che poi non
si potrà
mai più avere. Averlo in quantità disumane, fino
alla nausea. Senza sensi di
colpa, perché questo fottuto addio al celibato è
fatto apposta per quei futuri
mariti vigliacchi che si scoperanno la moglie pensando a
un’altra persona e lo
faranno senza alcun rimorso”.
Si
schiacciò
contro di lui, infilandogli le mani sotto la camicia, strattonandogli i
fianchi
e baciandolo nello stesso tempo con una delicatezza e
un’adorazione cieca che
fecero tremare Dom da capo a piedi.
“Matt”,
sospirò,
ingoiando un singhiozzo.
Non
voleva
fermarlo. Non voleva respingerlo. Non voleva acconsentire
esplicitamente a
nulla di quel che sarebbe successo. Voleva soltanto farsi trascinare
dagli
eventi, rinunciare a una qualsiasi volontà, essere debole e
ignavo e patetico.
Così
si limitò a
ripetere il suo nome, una volta, un’altra volta,
un’altra volta ancora.
*
“Kate
mi tradisce”, sussurrò Matt riaprendo gli occhi
per scuotersi i ricordi di
dosso. Dominic sollevò lentamente le palpebre, le
sbattè più volte e gli
rivolse uno sguardo confuso.
“Cosa?...”
domandò, la voce soffocata.
“Kate
mi tradisce”, ripetè Matt, in tono meccanico.
Dom
sentì la testa ricominciargli a girare.
“Ma…
Perché?”
Matthew
lo guardò con aria quasi compassionevole e prese a
tracciargli con le dita il
contorno della mascella. Dom spalancò gli occhi e
tentò di muoversi, di tirarsi
su, ma non ci riuscì. Abbassò lo sguardo sulla
sua mano: la fede d’oro brillava
in maniera innaturale.
“Perché
non la amo”, sussurrò Matt, pianissimo, con
delicatezza estrema, come se la sua
lingua stesse tenendo in equilibrio sulla punta un oggetto di
cristallo. “Perché
la rendo infelice”.
Dom
sobbalzò.
“Non
è vero”.
Matt
sorrise con aria candida, pacifica.
“Sì,
è vero”.
“Tu
la adori. Adori Bing. Adori persino i tuoi suoceri, Cristo”.
Le
labbra presero a tremargli. Matt continuava a sorridergli calmo.
Come
chi è perfettamente in pace col mondo.
“La
adoro. Non la amo”.
“Matt-”
“Non
come lei vorrebbe”.
“Chiedi
il divorzio”.
Matt
rovesciò la testa all’indietro e rise. Una fitta
di desiderio percorse Dominic
dalla nuca sino alla punta dei piedi, indesiderata, fastidiosa,
dolorosa.
“No,
mai. Finchè non sarà lei a voler divorziare io
non farò nulla”.
Dom
gli lanciò uno sguardo disgustato.
“Hai
la coda di paglia? Eh? La tradisci anche tu, come facevi con Gaia, come
hai
fatto con tutte?”
Matt
gli carezzò il collo con un pollice.
Ogni
giorno,
Dom.
“Mi
fai schifo”.
Dom
tentò di sottrarsi alle sue mani, ma qualcosa di molto
simile a un chiodo
arroventato decise di piantarsi in mezzo alle sue tempie e fargli
ritornare la
nausea a tutta forza. Chinò la testa, distrutto,
intrappolando le dita di Matt
fra il mento e lo sterno.
“Così
schifo da farti vomitare?”
Dom
ridacchiò aspro.
“Non
sei il centro del mondo, Matt. Non fai accadere tutto tu. Sono ubriaco.
Stanco”.
“Ti
faccio schifo perché pensi che io sia un ipocrita,
vero?”
“Sì”.
“E
sentiamo, che cazzo ne sai tu di quando una famiglia si rompe, si
distrugge, va
a puttane?”
Dom
digrignò i denti.
“Bastardo.
Fottuto bastardo. Mio padre è morto, Matt, cazzo!”
urlò, gli occhi pieni di quelle
lacrime che non aspettavano nient’altro che risvegliare il
lutto per tornarsene
fuori. Matt gli prese il viso fra le mani.
“C’è
stato fino all’ultimo. È morto a un tuo
concerto,
adorandoti, sprizzando gioia da tutti i pori. Voglio poterlo fare
anch’io, Dom.
Voglio un figlio che non senta mai la mancanza di suo padre se non
quando suo
padre muore”.
Dom
si divincolò con rabbia.
“Lasciami”.
“Lo
capisci? Dimmi che lo capisci”. Gli ricoprì le
gote, gli zigomi e le labbra di
baci, la voce ridotta a un sussurro frenetico. “Dimmi che lo
capisci, ti prego”.
Dom
gli afferrò i capelli e gli affondò le unghie
nello scalpo, tirandolo a sè.
“Voi
siete felici. Vi vedo. Tutti vi
vedono. Mi stai mentendo. Mi stai riempiendo di bugie, mi provochi, e
non
capisco perché”. Deglutì, le labbra che
sfioravano di continuo il lobo del suo
orecchio. “La verità è che questo
è il tuo massimo. La ami quanto puoi amarla
tu. Nel modo stronzo ed egoista in cui ami tu”.
Lo
vide mordersi un labbro, un sorriso quasi folle agli angoli della bocca.
“E
tu ne sai qualcosa di come amo io, vero, Dominic?” gli
sibilò cattivo. “Ne sai
qualcosa del massimo, vero?”
Sì.
Dio, sì.
“Ne
sai qualcosa di quando sono felice, vero?”
Sì.
Sì. Sì.
“Chi
sta riempiendo chi di bugie, allora?”
“Papà”.
Si
voltarono di scatto. Bing era in piedi sulle scale, la testolina bionda
chinata
leggermente da un lato, gli occhi curiosi.
“Tesoro”,
sorrise d’istinto Matt, alzandosi e avvicinandosi per
prenderlo in braccio.
Bing lo lasciò fare, rilassando gli arti, molle come una
bambola di pezza.
“La
mamma ti cerca”.
“Lo
so, tesoro. Dominic è stato male, ho tardato un
po’ perché gli ho fatto
compagnia mentre si riposava”.
Bing
non aveva mai staccato gli occhi da Dom, un dito in bocca, e alle
parole di
Matt intensificò se possibile lo sguardo. Lui gli fece un
gran sorriso e si
appoggiò al muro per alzarsi goffamente.
“Davvero
stai male?” chiese il bambino, la voce lamentosa, come se la
cosa in qualche
modo gli provocasse dolore. “Perché?”
Matt
gli rivolse uno sguardo disperato, gli occhi lucidi. Dom sorrise anche
a lui.
“Perché
dovrei proprio andarmene a nanna e non l’ho ancora
fatto”, disse, con una
risatina rauca. Si avvicinò e carezzò la testa
del bimbo, che in risposta
allungò una mano per afferrargli il lobo
dell’orecchio, come faceva sempre.
Dominic
alzò lo sguardo su entrambi. Gli occhi erano assolutamente
identici, ed erano i
più belli che avesse mai visto in vita sua. Lo guardavano
fisso, senza muoversi,
e lui sentì nuovamente quella tenerezza incredibile
riempirgli il corpo e
appesantirlo come se qualcosa di fisico, pesante e meraviglioso gli
fosse
davvero penetrato sottopelle. Era strano: quella felicità,
quel senso di
completezza non gli appartenevano. Non erano suoi. Erano rubati, come
tutto ciò
che ormai gli restava di Matt. Eppure…
Bingham
sbadigliò e suo padre lo strinse più forte,
tirandoselo in alto per fargli
appoggiare la testa sulla propria spalla. Dominic sorrise con dolcezza.
“Adesso
ti porto a letto, piccolo”, sussurrò Matt. Il
bimbo annuì senza aprire gli
occhi.
“Portaci
Dom, a letto” disse biascicando.
La
testa di Matt scattò in alto e, non appena i suoi occhi
incontrarono quelli dell’altro,
entrambi scoppiarono a ridere così forte che il bambino
scoppiò a piangere.
Oh, but don’t mention love
I’d hate the strain of the pain again.
Note
dell’autrice:
e
inauguriamo il filone dell’angst matrimoniale! CONGA!
*pepepepepepeeeee*
Boh,
che vi devo dire, è una storia strana. Non capisco da dove
sia sbucata XD
Volevo solo scrivere un’allegra vicenda in cui Dominic finiva
per graffiarsi le
gote come un’eroina tragica e Matt faceva lo sporco
doppiogiochista, e questo è
quello che è venuto fuori.
In
realtà tutto si regge su Bing. È lui la star, ed
è assolutamente il personaggio
che mi sono divertita di più a descrivere. Goldie la adoro
da sempre quindi lei
non fa testo. :D
Alcune
noticine rompiballe, perché voi valete. *sventola capelli*
1.
L’episodio dell’edicola è successo
davvero. Mia cugina ha una quinta di
reggiseno, e il di lei pargolo ha ben pensato di far notare a mia nonna
la somiglianza
di sua madre con una pornostar in esibizione. Dovevate vedere la faccia
dell’edicolante
(e quella di mia nonna, ovviamente).
2.
Durante “Deathproof – A prova di morte”,
il film di Quentin Tarantino, Vanessa
Ferlito fa una lap-dance per Kurt Russell (il marito di Goldie) che
potrebbe
incendiare le mutande di un cieco. Se il film non l’avete
visto, vi consiglio
di guardarlo, che vale non solo per la lap-dance XD
3.
La canzone omonima che dà il titolo alla fic è la
stessa delle frasi in
apertura e in chiusura ed è degli Smiths. Ed è
meravigliosa :3
4.
Sono le quattro di mattina. Vorrei strozzarmi con le mie stesse mani.
Spero
vi sia piaciuta :D
Vi
ammou, vi ammou (cit.)
:***
|