Shannon
aveva ragione, raggiunsi il palco dopo una ventina di minuti, giusto in
tempo per riprendere fiato e poi infiltrarmi nel camerino, agguantare
un numero e aspettare che mi chiamassero da dietro le quinte. Tuttavia
non c'era tensione e mi sentivo totalmente rilassato, fino al punto di
stupirmi nel vedere quanto fossero in ansia gli altri concorrenti.
Avevo voglia di mettergli una mano sulla spalla e aiutarli a calmarsi,
ma se l'avessi fatto avrei probabilmente perso la mia occasione d'oro,
e quello non doveva assolutamente succedere mai e poi mai. Mi sedetti
su uno sgabello rosso e chiusi gli occhi, tirando fuori il mio violino
dalla custodia. Lo accordai e riscaldai velocemente le corde, facendo
scorrere le mani lungo il manico, poi tirai fuori lo spartito. Sapevo
di non poterlo portare sul palco, quindi lo ripassai altre due volte,
piegai il foglio e lo rimisi a posto, nella tasca posteriore dei jeans.
Respirai a fondo, pensando ai due ragazzi, e mi sentii carico di una
strana energia che non avevo mai provato prima di fare la loro
conoscenza. Sorrisi e scossi la testa, abbracciando il mio strumento.
Erano proprio speciali.
"Miliv- Milish- Milicevic, Tomo Milicevic," mi chiamò una
voce da fuori. Mi feci coraggio e uscii sul palco.
Era
tutto buio, le uniche luci della sala erano puntate dritte su di me e
non riuscivo a vedere assolutamente nessuno dal punto in cui mi
trovavo, però non ero in ansia. Pronunciai lentamente il
nome del pezzo
e mi portai il violino sotto il mento, accingendomi a suonarlo. Mi
fermai un attimo e cercai di capire dov'erano seduti gli spettatori, ma
loro erano troppo distanti per riuscire a distinguerne bene il respiro,
così me ne feci una ragione e cominciai a suonare. Le mie
mani
guidavano esperte lo strumento, che emanava una melodia armoniosa e
dolce, e mi sentii improvvisamente a mio agio, come se potessi davvero
avere una possibilità di vittoria. Finii il pezzo tra uno
scroscio di
applausi, m'inchinai e tornai dietro le quinte.
Mi vennero a
chiamare un'ora dopo, quando le altre esibizioni erano finite. Il
gruppo non aveva ascoltato molti altri musicisti dopo la mia
performance, aveva già selezionato quelli che potevano
rivelarsi
interessanti e utili al loro stile e alle loro canzoni. Mi venne un
mezzo infarto quando lo venni a sapere, lì, su due piedi, e
a momenti
non crollai in ginocchio. Seguii una ragazza di circa vent'anni fino a
una stanzetta con scritto, "Pericolo, non entrare." La donna
ignorò
completamente il cartello e girò il pomello della porta,
facendomi
cenno di entrare con un sorriso forzato e stanco. Evidentemente l'aveva
già fatto parecchie altre volte, in quell'ultima ora. La
ringraziai ed
entrai, chiudendomi nervosamente la porta alle spalle.
"E così ci rincontriamo," esclamò una voce
allegra prima ancora che potessi girarmi.
"Ehilà, Tomo," mi salutò un altra, dal divanetto.
Mi voltai di scatto con un gesto meccanico e sgranai gli occhi, stupito.
"Ciao.. ma, ma voi..?" mormorai, confuso.
"Che ci facciamo qui?" Jared terminò la mia domanda.
"Beh, semplice, per una volta ci facciamo i cazzi nostri," rispose in
tutta tranquillità.
Continuavo
a non capire e mi voltai indietro per riaprire la porta e chiamare la
donna, probabilmente si era sbagliata di stanza.
"Lascia stare, tanto Evelyn non tornerà presto,"
m'informò Shannon.
"Non prima di aver trovato un caffè ed essersi presa
un'aspirina, almeno," aggiunse con una scrollata di spalle.
"Ah, capisco," annuii, pensieroso.
"Benone, -commentò Jared con aria radiosa.- Allora possiamo
passare direttamente al sodo!"
"Che cosa intendi con 'passare direttamente al sodo'?" chiesi, cercando
di mettere a fuoco le idee.
"Beh, semplice, che sei nella band," rispose quello con nonchalance,
sorridendo.
"Eh?" boccheggiai, colto alla sprovvista.
"Massì, abbiamo sentito la tua esibizione, devi essere dei
nostri," continuò Shannon.
"Sei una bomba col violino, amico," si giustificò Jared.
"E poi ci avevi già convinti prima, nella stanza segreta,"
aggiunse.
"Cioè, volete dire che voi..?" sussurrai, sentendomi mancare
il terreno sotto i piedi.
"Sì, noi siamo i Thirty Seconds To Mars," concluse Shannon,
rilassato.
"Sono il batterista, piacere," rise, tendendomi nuovamente la mano.
Gliela
strinsi senza essere davvero lì - ancora non riuscivo a
realizzare di
essere davanti ai miei idoli e di essere effettivamente entrato a far
parte della mia band preferita dai tempi del liceo. Sbattei le palpebre
un paio di volte come se dovessi svegliarmi da un sogno e cominciai a
tremare, gli occhi che mi si appannavano sempre più
velocemente.
"Occazzo, ora piango," scherzai, coprendomi la bocca con il dorso della
mano. Mi morsi un dito e ricacciai indietro le lacrime.
"Benvenuto in famiglia, ragazzo," mi salutò nuovamene Jared,
dandomi una pacca sulla spalla.
"Da
ora in poi, sei un membro dei Mars a tutti gli effetti," sorrise,
abbracciandomi. Mi rilassai e lo strinsi a me con tutte le mie forze,
la sua pelle morbida e pallida che risaltava contro la mia barba appena
pronunciata, poi affondai il viso nella sua spalla. Shannon
arrivò da
dietro e ci circondò entrambi con le sue braccia possenti e
muscolose,
poi ci staccammo dall'abbraccio e ci guardammo tutti quanti negli occhi.
"It's not a matter of luck, it's just a matter of time," sussurrai.
Jared sorrise e Shan seguì il suo esempio.
"Andiamo, ragazzo, è ora di presentarti agli Echelon."
Il
più giovane mi prese per la mano e mi trascinò
fuori dalla stanza e,
mentre camminavo velocemente al suo fianco, capii di aver finalmente
raggiunto il mio nirvana.
Sono passati anni da quel giorno, ma la sensazione non è
ancora cambiata.
I
Mars sono tutto quello che voglio e tutto ciò di cui ho
bisogno, e
ringrazio tutti gli dei possibili ed immaginabili per aver fatto
sì che
il mio sogno potesse avverarsi. Grazie di cuore, davvero. Non
finirò
mai di ringraziarvi.
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