Commedia in Cinque Atti

di TwinStar
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Stavolta, in questa fic nata dal delirio di un secondo in cui ho avuto la tentazione (fortunatamente accantonata subito dopo) di scrivere una Harry/Draco, ho tentato di affrontare, in questi 5 atti di una commedia dai retrogusti amari, personaggi che non mi sono assolutamente congeniali.

Spero di aver dato loro la giusta dignità che meritano, anche se, Grifondoro impenitente quale sono, credo di non esservi riuscita al meglio. Perlomeno non ai livelli di chi questi personaggi ha imparato ad amarli col tempo.

Mi rimetto alla clemenza delle fan. XD

 

COMMEDIA IN CINQUE ATTI

 

 

 

 

“Ecco come muore la democrazia. Sotto scroscianti applausi.”

Padmè Amidala, Star Wars Episode III

 

 

 

 

 

 

Atto I

E’ finita.

Finalmente.

Dopo lunghi atti estenuanti e dopo i consueti applausi di rito, i banchi della Corte si stanno lentamente svuotando.

Abbandonati come alla fine di una farsa.

La commedia ha trovato la sua degna conclusione.

Il sipario non è del tutto chiuso, e gli attori sono ancora tutti in scena, a congratularsi di loro stessi per l’ottimo lavoro svolto. Le ultime formalità. Dal mio posto in disparte, lassù in alto nell’ultima fila mi godo lo spettacolo di mani che si stringono, pacche sulle spalle, sorrisi gioviali, e segretamente rido. Sono poco più che comprimari, ma così ridicolmente fieri di sé da far quasi tenerezza.

E poi c’è il protagonista. L’eroe.

E’ lui a dominare la scena.

Perché negarlo?

In fondo è il Ragazzo-Che-E’-Sopravvissuto, con la sua aria dimessa, i capelli arruffati e gli occhiali da sfigato a nascondergli lo sguardo triste, quello che da bambino scioccamente irridevo.

Gli eroi non fanno ridere.

Casomai perplimono un po’.

Trovo ci sia qualcosa di morboso in un eroe che alla fine dei giochi, in conclusione della sua storia, si presenta al trionfo con la divisa di scuola, eppure ci si è visto chissà quale significato di profonda, tenera umiltà.

Qualcuno s’è persino commosso alla vista.

Io mi sono presentato coi miei abiti più sfarzosi.

Di foggia simil-babbana con un lungo mantello a cappuccio a larghe tese: pesante velluto di un blu cupo che secondo mia madre si intona ai miei occhi e al mio incarnato. Ma queste sono cose sciocche da donna, le trovo ininfluenti.

Sono gli stessi abiti che ho indossato al funerale di mio padre, ma non lo noterà nessuno. Non c’era un’anima, allora: soltanto io e mia madre spalla a spalla sotto la pioggia impietosa e sferzante.

Tutti vedranno solo un damerino in vena di alterigia.

Ed è così che voglio apparire. Gonfio del meno ipocrita tra i sentimenti umani.





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