that smile - cap. 2
II. Down the
Rift, Beyond the Darkness
Perché
si trovava lì?
“Uno, due,
tre…”
Quant’era
che si trovava lì?
“Via!”
“Correte,
correte!”
“Non barare
tu!”
Sentiva freddo. Dov’era la sensazione di calore sulla pelle,
quella che donava il sole?
“Ecco, qui
è perfetto. …Eh? C’è
qualcuno?”
Anche l’aria era diversa. Un odore stagnante, di
umidità e… ferro.
“Sei anche tu
un cherubino? Come ti chiami?”
“Io non ho
nome.”
“Come non hai
un nome?”
“Io porto la
luce.”
Aprì gli occhi a fatica. Non c’era più
la calda luce solare a riflettersi sulla sua pelle, bensì
quella argentea e docile della luna.
Ma in fondo non le importava molto.
Provò a muovere piano le dita, intorpidite dal freddo.
Quanto tempo era passato? Un giorno? Due? O forse solo qualche ora.
Ma, di nuovo, non era affatto rilevante.
Tese la mano di fronte a sé, il sangue incrostato che non
voleva venir via.
Era fastidioso, ma poteva ignorarlo.
Provò ad alzarsi. Appena fece forza sulle braccia,
però, ecco che una fitta lacerante la fece crollare di nuovo
a terra, costringendola a soffocare un grido per l’intenso
dolore. Se ne era quasi dimenticata; la sua ala sinistra non
c’era più. Come avrebbe fatto ora? Doveva tornare
in superficie, in qualche modo, ma così era semplicemente
impossibile.
E se non fosse tornata… l’avrebbero cercata?
…Perché ne dubitava?
Chiuse nuovamente gli occhi. Era impossibile per lei andarsene,
impossibile. Tanto valeva rassegnarsi e morire lì, sotto il
cielo stellato, con l’illusione di trovarsi ancora
all’aperto, in balìa della brezza.
Chiuse gli occhi.
“Allora sei
L-”
Un tocco fresco, delicato, fragile.
Per la seconda volta, l’angelo si svegliò dal suo
torpore, per scoprire come il cielo fosse grigio e estraneo, ancor
più di quanto ricordasse dall’ultima volta. A
riportarla alla realtà era stata una foglia, prematuramente
staccatasi dal proprio ramo e trasportata dal vento per
chissà quante miglia, prima che cessasse di sostenerla
causandone la caduta nel crepaccio. La prese in mano, attenta a non
rovinarla, e la osservò con avidità.
Una foglia ancora verde, ancora giovane, che le si era posata sul petto
partecipe del suo stesso abbandono.
Una foglia, un rimasuglio di vita, un memento della natura.
D’improvviso, si fece forte in lei il desiderio di tornare
alla luce, di uscire.
Non volevano venire a prenderla? Ebbene, se la sarebbe cavata da sola.
Si trascinò a fatica sui gomiti verso una sporgenza rocciosa
della parete, scivolando via dal pallido squarcio di luce gettato dalla
crepa sotto la quale aveva giaciuto così a lungo. Con uno
sforzo non indifferente riuscì ad alzare entrambe le braccia
e ad aggrapparsi alla pietra, sollevandosi lentamente e barcollando
incerta prima di riacquisire un certo equilibrio.
Si guardò attorno, ancora appoggiata al suo sostegno, e
ironicamente le parve di vedere più dall’ombra che
non dalla zona illuminata.
Si chiese se ciò valeva anche per tutto il resto.
Scosse la testa ignorando quel principio di pensiero blasfemo, e
cercò di distrarsi studiando l’ambiente
circostante. Non che ci fosse poi molto da constatare.
Era una profonda grotta, buia e opprimente, seppur spaziosa. Non
c’era altro che roccia e polvere, niente vegetazione, niente
vita, niente. Niente.
Una chiazza scura al centro.
L’ombra di un ricordo che la travolse.
Il suo sorriso mentre le strappava la libertà.
La sua voce che la perseguitava.
“E ora
vattene, se ti riesce.”
Era sempre stata così, la sua voce?
“E ora vattene.”
Se ne sarebbe andata.
Se ne sarebbe andata da lì, l’avrebbe seguito fin
nelle viscere del suo regno marcio e si sarebbe ripresa la sua ala. E
si sarebbe vendicata.
Oh, sì, si sarebbe vendicata eccome. Gli avrebbe fatto
provare la stessa umiliazione, lo stesso senso di impotenza che aveva
dovuto subire lei. Lo stesso dolore.
La stessa delusione.
“Perché,
tu puoi ferirmi? Puoi fermarmi?”
Si bloccò.
Non doveva, non doveva assolutamente pensare cose simili, era
sbagliato. Era peccato.
“Catturate il
traditore!”
Si raddrizzò dalla postura curva che aveva assunto, e
cercò il punto in cui l’aveva visto scomparire.
Sempre appoggiandosi alla parete cominciò ad avanzare,
dapprima lentamente, poi, acquistando sicurezza, riuscì a
reggersi da sola. Il dolore non lo sentiva più come in
principio, era relativamente sopportabile.
Scalciò le sue piume, calpestò il suo stesso
sangue e si diresse nel buio, senza timore, senza remore.
“Sai, a volte
credo che tutto ciò sia sbagliato. Forse non siamo poi
così nel giusto.”
Si fermò al limite dell’ambiente visibile, oltre
quell’inesistente linea di confine era tutto un nebuloso
grumo di nulla.
Riusciva vagamente ad avvertire la sua presenza, oltre quel muro
d’oscurità. Una volta ne era spaventata, temeva
l’ignoto di altri mondi, di altre vite, più di
ogni altra cosa. Ma non si sarebbe tirata indietro. Non quella volta.
“Vieni con
me.”
“…
no.”
Mosse un passo in avanti. Stavolta l’avrebbe seguito.
Avanzò nel buio, e il buio la inghiottì.
Buonsalve, grazie per aver letto That Smile ecc ecc. Ma
perché ho scelto un titolo così lungo, poi.
Scusate l'avanzamento lento degli aggiornamenti ma purtroppo sono fatta
così. Quindi abbiate pazienza, vi prego =)
Mi scuso anche del
fatto che questo capitolo è schifosamente lento e
più introspettivo di quanto non volessi, ma in fondo la
nostra cara angelo è ancora da sola... e non ho intenzione
di farla parlare con i funghi, no, no.
Sarebbe divertente però.
Una piccola precisione:
ho cambiato idea sulla questione della numerazione dei capitoli a cui
ho accennato nelle note del primo. Non funzionava bene, non mi piaceva
troppo l'effetto finale u_ù
Detto questo vi ringrazio nuovamente per seguire questa mia storia, e
in particolare ringrazio quelle due care ragazze che sono Necrysia
Noctis e TuttaColpaDelCielo,
che mi hanno lasciato due splendide recensioni nel primo capitolo!
<3
Vi voglio tanto bene ;w; (sì, mi esaltano certe cose '-')
Al prossimo aggiornamento!=D
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