Ossequi. Ecco quello che sarà, molto
probabilmente, l'ultimo capitolo supersonico. D'ora innanzi andrò avanti con
relativa calma, visto l'avvicinarsi dell'inquietante spettro della pagella. Se
qualcuno volesse gentilmente spiegarmi dove sta la logica del dividere l'anno
scolastico in un trimestre ed un pentamestre...
Personalmente sono
soddisfatta di aver pubblicato sei capitoli in nove giorni: difficile che
succeda ancora. Ad ogni modo, ringrazio tutti colori che hanno commentato,
ovvero:
Sophizia, 123stellina, damned88,
lotiel.
Con la promessa di
un rinnovato impegno da parte mia, spero che continuerete a farmi sapere che
cosa pensate di questa mia faticaccia. Ora me ne vado; non sia mai che
si rubi la scena al caro Wantz.
Capitolo 6: Ustione
punitiva
Jillian
si stava rimirando allo specchio, estasiata: quel vestito era assolutamente
divino. Non aveva mai posseduto niente di fattura così squisita.
Fece
una serie di giravolte, ridendo con voce cristallina. La gonna svolazzava ad
ogni suo giro. Ad un certo punto Jillian andò a sbattere contro quello che si
rivelò essere un petto. Con il naso affondato nella maglia del proprietario,
alzò lo sguardo e incrociò quello di Wantz, che la fissava con disapprovazione.
Questi alzò un sopracciglio, guardandola interrogativo. La ragazza si sentì
improvvisamente molto sciocca.
Si
allontanò indietreggiando, imbarazzatissima, senza trovare qualcosa di adatto da
dire.
Wantz
le evitò un ennesimo balbettio di scuse, sorvolando. < Devo uscire. Tu resta
qui, a breve ti porteranno di che sfamarti. >
<
Come? > chiese lei stupita. < Siamo appena arrivati, non ti asciughi
nemmeno? C'è addirittura il camino in questa camera. E poi, tu non mangi?
>
Il
ragazzo si passò una mano sulla fronte, immaginando avvilito che avrebbe dovuto
abituarsi ad essere bersagliato di domande futili. < A che servirebbe
asciugarmi, se tanto mi ritroverò nuovamente sotto la pioggia? >
<
Giusto. > annuì Jillian < Ma non potresti prima mangiare? >
<
Lusingato del tuo interesse, ma è necessario che verifichi una cosa
immediatamente. > rispose stancamente.
Jillian
intrecciò le mani dietro la schiena, leggermente rossa in volto. < Mi è
concesso sapere di cosa si tratta? >
Il
mago si grattò il mento. < Ti basti sapere che ci sono buone probabilità che
abbia intercettato qualcosa di interessante. >
<
Qualcosa inerente la profezia? > azzardò.
<
Forse. > disse Wantz, avviandosi all'uscio. Si fermò e rifletté un attimo.
< Ho degli ordini per te. >
Jillian
drizzò istintivamente la schiena.
<
Non abbandonare per nessun motivo la locanda. E continua con la storia dei
fratelli erboristi. > La ragazza era vagamente delusa: sperava in un incarico
vero, qualcosa che le desse l'illusione di essere utile. Le parole di Wantz la
sorpresero. < Se ti riesce, vorrei che provassi a farmi un servizio: scendi
al piano inferiore con la scusa di conversare e tiene d'occhio un tipo che si
chiama Sam. Soprattutto, presta orecchio a cosa dice. >
Jillian
fissò la schiena del ragazzo, riconoscente. < Farò del mio meglio. >
assicurò, portandosi una mano al petto, ove giaceva il legame con quel ragazzo
incomprensibile. Wantz annuì e aprì la porta, pronto a rituffarsi fra la furia
degli elementi.
<
Un'ultima cosa. > aggiunse, già nel corridoio.
Fuori
ci fu un lampo di luce, seguito da un tuono di notevole potenza che fece tremare
i vetri della finestra.
<
Non piroettare più in mia presenza. >
"Freddo.
Umidità. Dannata pioggia. Dannate mani gelate. Dannati calzari che non riparano.
Solo tu sei calda... Si, calda... Perennemente calda... Dannatamente calda... Ma
loro mi cureranno..."
Si
passò le mani sul volto, tentando di scaldare anch'esse con il suo calore, senza
però ottenere risultati: il viso era quasi bollente, mentre il resto del corpo
pativa terribilmente il freddo. Lasciò scivolare le braccia a terra,
rannicchiando ulteriormente le gambe nel tentativo di alzare la temperatura
corporea.
Alzò
una mano tremante, tastando il muro di roccia sopra la sua testa; sentì scorrere
sotto il palmo le incisioni che aveva fatto sulla parete e ansimò
soddisfatto.
<
Si, nessuno la troverà... Nessuno... Solo loro sapranno... >
La
scarsa luce che filtrava dall'apertura del nascondiglio fu oscurata da una
figura umana.
Jillian
ringraziò la donna e sorseggiò la tisana che le aveva offerto, "ottima contro il
freddo", guardandosi con noncuranza intorno. Aveva consumato il pranzo ed era
subito scesa come chiestole da Wantz. Intavolare un discorso con l'oste non era
stato complicato; e quella che era la parte più difficile, individuare Sam, le
era stata semplificata grazie alla sbronza dell'interessato, che sproloquiava
senza posa, attirando su di sé l'ilarità generale. Evitava accuratamente di
guardare nella sua direzione, riuscendo ad afferrare ogni singola follia che
usciva dalla bocca dell'ubriaco continuando tuttavia a colloquiare con la donna.
Il
tempo passava, e del mago nessuna traccia. Inoltre, nonostante l'attenzione che
prestava ai discorsi di Sam, la ragazza non aveva notato nulla di
particolarmente strano o interessante in ciò che diceva. Non smise però il suo
lavoro di ascolto.
In
quel momento, Sam stava inveendo contro l'oste, perché, a suo dire, non era
capace di fare una birra come Dio comanda, e chiedeva con insistenza quando
sarebbe tornato suo marito. lui sì che la sapeva fare, la birra.
L'atmosfera,
fino ad allora allegra, si raggelò all'istante. Jillian portò il bicchiere alla
bocca per una seconda sorsata di tisana.
Un
uomo, evidentemente desideroso di spezzare il silenzio pesante che era seguito
alle parole di Sam, si schiarì la voce. < Penso che si debba fargli smaltire
la sbornia. >
Mugolii
di assenso sorsero da ogni avventore. Qualche sedia fu smossa, e una risatina
sommessa serpeggiò per la stanza.
Jillian
notò che la donna era in un evidente stato di disagio, e stette in silenzio,
certa che a breve avrebbe scoperto perché Wantz aveva adocchiato quel vecchio
beone.
< Alice, > disse qualcuno <
porta un secchio d'acqua, che gli facciamo un bel lavaggio. >
La
donna non rispose; sollevò con presa incerta una tinozza piena di acqua
fredda.
<
Che te frega di me. Pensa a tuo figlio. Un ubriaco vale meno o no di un ragazzo
scomparso, eh, Alice? >
La
tinozza sgusciò dalle mani della donna e si rovesciò a terra. Sam venne
sollevato di peso e scaraventato su un tavolo. Un uomo recuperò un catino con
dell'acqua da dietro il bancone, passando di fianco alla donna, impietrita, e a
Jillian, che tentava, con scarsi risultati, di rendersi invisibile.
Nella
confusione che ne seguì, Sam vide per caso la ragazza e rise sguaiatamente
guardandola, lasciando che gli infilassero la testa nel catino.
Jillian
abbassò lo sguardo, osservando con finto ed eccessivo interesse un nodo del
legno del tavolo. Che fosse quello che interessava a Wantz? Ma che collegamento
c'era tra la scomparsa di quel giovane e la profezia? Perché un collegamento
c'era sicuramente; non riusciva a immaginare che il mago volesse solo compiere
una buona azione.
Si
morse rabbiosamente un labbro, vergognandosi di quello che aveva pensato. Se
voleva che Wantz si fidasse di lei, doveva fare altrettanto, sebbene fosse
difficile fidarsi di un individuo così ambiguo.
Sentì
il pezzo di pergamena sfregarle contro la pelle all'interno del vestito.
<
Chi sei? Ti hanno mandato a cercarmi? > chiese affannato, stupito di essere
stato trovato.
<
Non mi manda nessuno. Sono qui di mia iniziativa. > gli fu risposto.
<
Non credevo che fosse così semplice trovarmi. > rise, senza riuscire a
nascondere il suo disappunto.
<
Non lo era, infatti. Per dei bifolchi qualunque. Si da il caso che io sia un
mago, e quindi perfettamente capace di individuare una barriera come quella di
cui ti servivi per nascondere la tua presenza. >
Quello
parve non capire a cosa si riferisse, ma poi annuì. < Una barriera,
addirittura... > ragionò con se stesso.
Il
mago non si soffermò su quel punto e proseguì. < Sono venuto per avere ciò
che nascondi. >
L'altro
gli rispose come se parlasse da solo. < Non ti hanno mandato, eh? E allora
come sai... Non puoi sapere. >
<
Evitiamo di perdere tempo in discorsi improduttivi. Devi andartene di qua; ti
troveranno, perciò dammi... > Venne interrotto da un ringhio lanciato dal
rifugiato.
Il
giovane si alzò e avanzò incespicando verso di lui. < Non mi troveranno!
Nessuno mi deve vedere! > Entrò nel breve spazio che la luce aveva
conquistato, e Wantz lo vide in faccia. O meglio, vide quella che doveva essere
stata la faccia del giovane, perché adesso sembrava solo un ammasso di piaghe e
abrasioni.
Want
serrò la mascella, orripilato. "Un'ustione magica."
<
Non mi troveranno. > ripeté.
<
Oh, sì invece. Non sei al sicuro da loro. > ribatté Wantz.
<
No, sono loro a non essere al sicuro da me .>
<
Non hai capito. Parliamo di due cose diverse. > scosse amareggiato la
testa.
Il
ragazzo si avvicinò ancora di più. < Non mi devono vedere. La mia famiglia...
Non... Finché sono così... Devo tornare normale e... >
<
Hai infranto i sigilli. Non tornerai mai come prima. > sentenziò senza pietà.
< E, ripeto, ti troveranno. >
<
No, nessuno deve. Nessuno. >
<
Dammi il frammento della profezia. > gli ordinò Wantz.
<
NO! > gridò l'altro, gettandosi addosso al mago e buttandolo a terra. < Io
l' ho trovata, e mi ha punito. Nessuno deve subire la stessa sofferenza,
nessuno! La cupidigia... La brama di sapere... Nessuno deve fare lo stesso
errore! >
<
Non è così che eliminerai il dolore. > gridò a sua volta Wantz, sbalzandosi
di dosso il ragazzo. Si rialzò in piedi e lo osservò stringere i pugni
accasciato a terra. < Esiste qualcuno che li deve tenere. Ho giurato che
avrei salvato il mondo da questo flagello. Dimmi dove l' hai messa, Alec.
>
Alec
piagnucolava inginocchiato, mugolando cose prive di senso. Wantz constatò che il
suo cervello era stato irrimediabilmente danneggiato, e vi erano scarse
possibilità di riuscire a ragionare con lui. Decise che avrebbe tentato di
strappargli una confessione spaventandolo. < Ego te invoco, ignis. >
Una
palla di fuoco apparve, sollevata da terra, al centro della grotta,
illuminandola. Alec si rannicchiò in un anfratto sudicio, implorando perdono: il
fuoco gli aveva sicuramente ricordato l'anatema che l'aveva ustionato quando
aveva letto la parte di profezia.
<
Lasciatemi stare, vi prego. Ve lo darò, lo giuro su ciò che ho di più caro, ma
non fatemi più del male. > biascicava tra le lacrime, che scorrevano sul
volto lasciando dei solchi sulle piaghe
<
Non ti farò del male. Voglio solo che tu mi dia il frammento. > sussurrò il
mago, imprimendo una forte persuasione nelle parole.
<
Me lo avevate promesso. Dovete guarirmi. Avevate detto che lo avreste fatto...
>
<
Non ti ho mai detto una cosa del genere. > disse Wantz. Il figlio dell'oste
stava chiaramente delirando, e il ragazzo disperava di ottenere ciò che voleva.
Lasciando che Alec continuasse a fagocitare insensatezze, esaminò la grotta in
cerca di un possibile nascondiglio per una pergamena, rabbrividendo al pensiero
di come si fosse ridotta, vista l'umidità di quel tugurio. Trovò quello che
cercava.
Su
una parete erano state incise delle frasi.
Jillian
sedeva sconfortata sul bordo del letto. Approfittando del trambusto si era
defilata ed era tornata in camera a ragionare su ciò che aveva appreso. Si alzò
e gettò un ceppo di legno nel caminetto, osservando il fuoco che danzava sotto i
suoi occhi. Al piano di sotto era tornata la calma; anzi, vi era un silenzio
spettrale. Jillian si sentiva inquieta, e desiderava ardentemente andarsene di
lì. Buttò con rabbia un secondo ceppo sulle fiamme, con foga tale che alcuni
tizzoni saltarono fuori e lei indietreggiò per evitarli.
<
Ehi, fai attenzione. Hai deciso di abbrustolire subito il vestito nuovo? >
Jillian
si voltò, e vide Wantz, grondante acqua, entrare nella stanza e chiudere la
porta. Si avvicinò al fuoco, e tese le mani per scaldarle, brontolando qualcosa
contro il tempo schifoso. La ragazza prese un asciugamano asciutto e glielo
porse.
Wantz
se lo sfregò sui capelli. < Qualche novità? Di sotto sembra che sia morto
qualcuno. >
<
Non morto, > rispose lei < scomparso. Quell'uomo di nome Sam... Beh, ha
detto che il figlio della padrona è sparito. >
<
Allora avevo ragione. > disse il mago, soddisfatto, prendendo il piatto di
minestra ormai freddo che giaceva sul tavolo e mangiando in piedi vicino al
camino.
<
Se lo sapevi già, perché me lo hai fatto sorvegliare? > chiese, pensando con
ribrezzo al disagio che aveva provato durante quella situazione sgradevole che
avrebbe volentieri evitato.
<
Mi serviva una conferma. > rispose l'altro a bocca piena. Notò che la ragazza
sembrava risentita. < Se hai delle rimostranze, falle. >
Jillian
si maledisse per aver di nuovo fatto alzare la guardia al ragazzo. < Nulla.
Al contrario, sono felice che tu stia cominciando a rendermi partecipe della tua
missione. Semplicemente, mi sono sentita malissimo al pensiero di come deve
stare quella donna. Non deve essere facile. >
<
Affatto. > confermò Wantz. < Tuttavia, è bene che ti abitui alla svelta
all'idea di vedere cose simili. Non ci saranno compiti facili. Tanto meno
piacevoli. >
Jillian
annuì, rinfrancata di non averlo contrariato. Decise di osare oltre,
approfittando della situazione favorevole. < E tu? Che cosa hai scoperto?
Immagino che avrai cercato quel ragazzo, Alec, vero? Forse sa qualcosa della
profezia? O magari ha addirittura un frammento. Ah, sarebbe fin troppo bello. Ma
se non ce lo volesse dare? Quello sarebbe un guaio. E se invece fosse stato
rapito da... >
Wantz
trangugiò l'ultimo cucchiaio di minestra e sospirò rassegnato.
<
NO! Vi prego, non uccidetemi, non fatelo! > li stava pregando,
indietreggiando fino a toccare con la schiena la parete.
<
Hai distrutto il frammento. Non ci servi più. >
<
Non avresti dovuto prenderti gioco di noi. Senza il frammento, sei totalmente
inutile. >
<
No, io... Dovete guarirmi, me lo avevate promesso... >
<
E tu ci avevi promesso il frammento. Non sei stato ai patti. >
<
No... E' venuto uno prima, ha cancellato la parete... Era dei vostri... >
<
E' andato. > disse al suo compare, il quale rise selvaggiamente. <
Facciamolo fuori. >
<
No... Vi prego, io... > Stava piangendo.
< Passeremo
dei guai, per colpa tua. E' la giusta punizione. >
<
NO! >
<
Quindi abbiamo un nuovo pezzo? E' fantastico! >
<
Trattieni l'entusiasmo. Ti ricordo che non è stato piacevole il modo in cui l'
ho ottenuto. >
Jillian
si scurì in volto. < Non c'è... davvero alcun modo di aiutarlo? >
<
E spezzare un anatema lasciato dai Tre Savi? > sbuffò Wantz < Non sono
mica Mago Merlino, io. >
La
ragazza si appoggiò allo schienale della sedia. < Chissà quante alte vite
sono state rovinate, o spezzate, a causa della profezia. >
<
Fin troppe. Ad ogni modo, la colpa non è di nessuno. Fa tutto parte del disegno
secolare. > spiegò con rassegnazione.
<
E' strano, comunque... >
Wantz
smise di giocherellare con il cucchiaio e la guardò. < Che cosa? >
<
Voglio dire, non ti sembra strano che un figlio di osti sappia usare la magia? A
me risulta che sia necessario studiare per poterla padroneggiare, e le lezioni
di un mago non devono essere propriamente economiche; ammesso che si trovi un
mago e che questo sia disposto a dispensare insegnamenti. >
<
Sì, hai ragione. > ammise lui < A pensarci bene, è invero... >
Si
interruppe, ripensando a ciò che il ragazzo aveva biascicato. "Dovete guarirmi.
Avevate detto che lo avreste fatto...". Parole prive di senso..."Una barriera,
addirittura...". Per lui. Prive di senso PER LUI, che non aveva capito.
Wantz
si staccò dal muro dove era appoggiato e si precipitò alla porta.
<
Come ho potuto essere così maledettamente idiota! > urlò.
Jillian
si alzò di scatto. < Che succede? Dove vai? >
<
Una grotta. Come può una misera grotta essere sufficiente. E quel gonzo... Non
poteva certo possedere i sacri doni. Sono stati loro, loro, a mettere la
barriera! > Era uscito nel corridoio e stava per correre giù dalle scale.
<
Wantz! > lo chiamò, raggiungendolo.
<
Torno là. > le disse, girando a mala pena la testa verso di lei.
<
Vengo con te. > disse Jillian tutto d'un fiato, non capendo cosa gli passava
per la mente.
<
Non dire sciocchezze. > sbuffò lui, cercando una scusa qualsiasi per
liberarsene. < Bagnerai il vestito nuovo. > Patetico. Poteva trovare di
meglio.
Jillian
appoggiò i pugni sui fianchi e indicò la finestra con un movimento del capo.
< Non piove più. >
Sì,
poteva decisamente trovare di meglio.
Avevano
attraversato di corsa la taverna, sotto gli sguardi allibiti dei presenti, erano
usciti e avevano corso senza mai fermarsi. Jillian riusciva a mala pena a
stargli dietro, inciampando spesso, a causa del terreno ancora bagnato. Si era
chiesta che cosa avesse spinto Wantz a tornare da Alec. Lo aveva seguito dentro
la grotta, sebbene lui non volesse. Lo aveva affiancato quando lui si era
fermato davanti ad una parete. E, nonostante la quasi completa oscurità, aveva
visto ciò che lui aveva temuto.
Il
muro di roccia su sui prima vi erano le scritte, cancellate con la magia da
Wantz, era imbrattato di sangue fino al soffitto. Gli schizzi erano irregolari,
ma era evidente che cosa era successo: qualcuno aveva fatto scoppiare Alec
dall'interno.
Adesso
Jillian era fuori, all'aria aperta, piegata in due, appoggiata ad un albero, e
vomitava, scossa da brividi. Tossì un paio di volte, tentando di calmarsi.
Aveva
capito: i servi dell'Oscuro sapevano che aveva un frammento. Gli avevano
promesso di curarlo per prendere il frammento senza che opponesse resistenza;
lasciatolo da solo a riflettere, lo avevano nascosto per giorni con una
barriera, per evitare che venisse trovato dai suoi compaesani. In tutto quel
tempo, solo con il suo castigo, Alec era impazzito. Probabilmente i servi
dell'Oscuro volevano che si consumasse da solo per poi lasciarlo in preda alla
disperazione. Ma, credendo che avesse distrutto la pergamena, lo avevano ucciso.
Fortuna che Wantz aveva cancellato le scritte che Alec aveva inciso durante la
sua prigionia.
Alzò
la testa e vide che anche Wantz era uscito. Stava fermo davanti alla grotta.
All'improvviso sollevò una mano, e il rifugio di Alec saltò in aria. Jillian lo
raggiunse, cercando inutilmente di fermare il tremito che la scuoteva da capo a
piedi. Lo fissò, con il fiato grosso, incapace di dire nulla.
Wantz
guardava le macerie con astio. < Avrei dovuto capirlo. Invece mi sono
concentrato solo sul frammento. Tsk, era più comodo pensare che fosse
completamente pazzo. >
Jillian
lo fissava con occhi vacui. < Non potevi saperlo. >
< Avrei dovuto immaginarlo. Ma
volevo fare in fretta. Il tempo è tiranno. E io... > sussurrò <
Io sono un incapace. >
< Smettila. > lo ammonì
la ragazza. < Non è stata colpa tua. >
< Se non
fossi stato così cieco, forse avrei potuto evitarlo! > disse Wantz al
colmo dell'esasperazione, voltandosi verso di lei.
< O forse no! >
ribatté Jillian, alzando la voce. < Non sei stato tu a dire, prima,
che fa tutto parte di un disegno già tracciato? Non puoi cambiare ciò che è
già stato scritto! >
Wantz la guardò, gli occhi
sgranati, non sapendo bene se prenderla a sberle o se ascoltarla. Jillian sospirò, pentendosi
di aver alzato il tono di voce. < Se c'è una cosa
che ho capito di te, è che tieni alla profezia più di ogni altra cosa. Sono certa
> continuò < sono certa che hai sempre fatto tutto ciò che era
nelle tue possibilità. >
Il
mago batté la lingua contro il palato in un gesto di stizza.
< Non è
colpa tua. >
Seguì
il silenzio. Jillian stava
cominciando a trovare quei momenti di pausa molto meno pesanti. Sentì però il
bisogno di parlare.
< Che bisogno
c'era di distruggere la grotta? >
< Non voleva
essere trovato. In nessuna forma. >
Jillian
si inginocchiò e pregò per l'anima del defunto. Il ragazzo restò immobile fino a
quando lei non si raddrizzò.
Wantz si girò
verso di lei. Sembrava triste, ma poteva darsi che stesse esibendo una maschera di
totale indifferenza. < Sei ancora convinta che sia questo ciò che desideri?
Con ogni probabilità, vedrai perfino di peggio. >
Jillian cercava inutilmente
di interpretare la sua espressione. < Lo so, ma... Sono decisa
a prosegiure. >
Il ragazzo le
regalò un sorrisetto storto. < Ne ero certo. >
< Aspetta un attimo. >
disse lei, disorientata. < Come facevi ad averne la certezza?
>
Wantz
levò lo sguardo al cielo che andava scurendosi, notando che le chiome degli
alberi frusciavano scosse da un insignificante venticello. Rise amaramente.
< Perché la
sorte era, è, e sempre sarà, contro di me. >
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