If today was your last day
*
[My best friend gave me the
best advice
he said each day's a gift and
not a given right
Leave no stone unturned,
leave your fears behind
and try to take the path less
travelled by
That first step you take is
the longest stride
Against the gain should be a
way of life
what's worht the price is
always worth the fight
Every second counts, 'cause
there's no second try
So live your life like you'll
never live it twice
Don't take the free ride in
your own life
If today was your last day
and tomorrow was too late
could you say goodbye to
yesterday?
Would you live each moment
like your last?
Leave old pictures in the
past?
Donate every dime you had?]
Nickelback, If today was your
last day
*
Non
è molto: appena una goccia. Gli tocca le labbra screpolate e
scivola oltre, una stilla al limite dell'insapore.
E tuttavia riesce a
strappargli una smorfia.
"Allora?"
Attraverso il legno
levigato del tavolo, gli occhi ambra di Harada lo puntano come quelli
di un segugio. Le labbra di Shinpachi si piegano in un sorrisetto
sarcastico. Braccia incrociate davanti a sé, gambe stese,
uno stivale posato sull'altro: conosce quella posa.
Il suo migliore amico
potrà sembrare tranquillo, quasi innocuo, ma è
solo una facciata.
Una facciata che
vorrebbe davvero mandare in pezzi.
"Allora che?"
"Quando torniamo con
il resto delle truppe?"
Shinpachi fa
spallucce. Il saké gli ammicca di rimando, chiazza lucida e
perfetta alla luce delle lanterne. Uno
specchietto per le allodole, considera il ronin,
inclinando la tazzina. La ceramica liscia sembra fuori posto tra le sue
mani – scure, rovinate.
Per un attimo gli
ricorda Chizuru, quella forma così fragile annidata tra le
sue dita. Un attimo dopo il suo palmo si apre e la tazzina torna a
essere quello che dovrebbe: uno stupido contenitore di saké
scadente.
"Che ne so, io?"
Harada contrae la
mascella. Sul suo viso sono apparse quelle sottili linee bianche che ha
sempre quando è irritato, una parodia di un lupo che ringhia.
"Non ti sei ancora
stufato di andare per izaka-ya?"
chiede. Le sue dita tormentano un filo sfuggito alle bende attorno alle
sue mani.
Almeno non sono cambiate,
pensa Shinpachi, buttando giù il saké. Almeno
sono ancora le stesse fasce. Chissà dove sono rimasti i
vestiti di Sano, gli hakama troppo corti per la sua altezza
sproporzionata e gli zori. L'haori azzurro e bianco.
Bruciati
insieme al tempo.
Pensa, ma non parla.
"C'è
ancora saké?" mugugna, invece.
Harada inarca appena
un sopracciglio. Prende la bottiglietta, la scuote piano.
"Metà,
credo."
Senza una parola,
Shinpachi tende la tazzina verso di lui. Sano sospira, inclina la
bottiglia. Il liquido disegna increspature nel fondo del recipiente e
il profumo – dolce, lievemente speziato – del
saké di Edo riempie l'aria.
"Mi hai almeno
ascoltato?"
Shinpachi non alza
gli occhi.
Il saké
nella tazza gira.
"Non eri tu quello
che voleva andare a dare l'addio a Edo?" borbotta, portandoselo di
nuovo alle labbra. Si sorprende a provare, all'ultimo istante, un
briciolo di aspettativa.
Ma il saké
è insipido. Come il primo sorso, così il secondo
– e il terzo, il quarto.
Harada pianta i
gomiti sul tavolo e il suo sguardo brucia su di lui, lo sente anche
senza guardarlo.
Un tarlo. Che scava,
scava, scava
-
"Sì, ma
per salutare
non intendevo trascinarsi da una bettola all'altra a gonfiarsi
d'alcool."
Shinpachi emette uno
sbuffo divertito. Alcool è un complimento che il risciacquo
di piatti nella sua tazza non merita.
"Sto facendo un
favore ai padroni, Sano. Se la gente sapesse quant'è
disgustosa quella roba, finirebbero in rovina."
Non riesce
più a farsi piacere il gusto del sakè.
È da un po' che succede, e non può
essere normale – Sano lo guarda con gli occhi
sgranati, incredulo.
"Era il tuo posto
preferito" puntualizza.
Era.
Passato remoto. Viene
utilizzato un po' troppo, ultimamente.
"Heisuke
era un ragazzino, lo sapevamo entrambi, non avresti sopportato di
vederlo morire."
"Avevamo
giurato di non toccare quella maledetta medicina, Sano! E lo sapeva!"
"Ha
ventun'anni! Non puoi chiedergli di finirsi da solo-"
"Ma
l'ha già fatto. L'ha – già –
fatto!"
...
"Non
dovevamo proteggere lo Shogun e la Capitale?"
"Sì,
l'obiettivo era quello."
"È
la Makoto che vedo sullo stendardo. Non il nome di Kondou."
"Shinpachi..."
...
"E
Shiranui? Non era un nemico?"
Sguardo
distante.
"Le
alleanze possono cambiare."
E
quello strattone doloroso nel suo petto, come se lo stiano strappando
in due.
"Quindi
adesso molli?"
"No.
Non ancora. Ma so chi potrei cercare, se non ce la facessimo. Insomma,
se fossimo soli-"
Chiedere
aiuto ad un demone – un Satsuma, per di più. Fino
a poco tempo fa, Harada si sarebbe aperto di nuovo lo stomaco pur di
evitarlo.
Ma
si cambia.
Era.
Shinpachi tracanna il
saké d'un fiato. Di secondo in secondo si sente sempre
più orribile. Più puntiglioso. Più
odioso.
Più
debole.
Stupido
idiota. Non riesci nemmeno ad andare fino in fondo.
"Già,"
rincara. "Era. Hai presente? Quand'ero un idiota che si fidava di una
manciata di promesse e si faceva fregare il riso da un ragazzino."
Adesso il tarlo non
è più lo sguardo di Harada. È dentro
di lui e lo consuma, lo corrode.
Era.
Heisuke è
un morto che cammina, Kondou ha perso la strada e Shiranui è
una chiazza nera che attira Harada ogni giorno di più.
Era.
Quanto manca
perché anche lui vada in frantumi?
Non lo sa. Non lo
vuole scoprire.
Forse è
già successo.
Ha paura di scoprirlo.
"Sei completamente
impazzito, Shinpachi?"
"No. No, sono a
posto. Davvero. Mai stato meglio." La ceramica emette un gemito che
assomiglia al pianto quando afferra la bottiglia e la strascica verso
di sé. Tanto vale riempirsi fino a scoppiare di quella
schifezza, non attenuerà il dolore. "E adesso non fare
quella faccia, Sano, diamine, non ho ucciso nessuno."
Harada lo scruta. Per
un istante una scintilla di rabbia gli s'accende negli occhi
– quello successivo le pozze dorate si fanno distanti.
"No, stai solo
sputando su qualunque cosa ti venga a tiro." commenta, caustico. "La
Shinsengumi, Heisuke, Itou, la guerra, Edo, me- tutto, Shinpachi,
dannazione, tutto.
Anche il saké. Te lo ricordi, almeno, che ti piaceva?"
"Le cose
più dolci, divenute ordinarie, perdono il loro grato
piacere." Il ghigno sarcastico gli viene spontaneo come il ringhio ad
un cane. Vuole mordere. Vuole ferire. Se solo Sano potesse sentire un briciolo
di quello che prova...
Se
solo.
Si accorge troppo
tardi di aver detto la cosa sbagliata.
Lo sguardo ambra
chiaro si fa freddo, duro. Le mani di Harada hanno una contrazione, uno
spasmo involontario – e Shinpachi è sicuro che
adesso gli tirerà un pugno. Non quelli amichevoli che si
davano in dojo: uno di quelli che ti rivoltano la faccia sulla nuca.
Il pensiero lo
disarma.
Me.
Vuole colpire me. Perché sto mandando a puttane tutto.
Perché non ce la faccio più.
Perchèperchéperchè-
Harada tira indietro
il braccio. Shinpachi sente la spada contro il fianco. L'elsa
è lontanissima, una sporgenza di roccia a cui non
può arrivare per salvarsi dal precipizio. Cado. Ora cado.
Disarmato, stringe i
denti e serra gli occhi, d'istinto.
Dita calde si posano
sulla sua testa. Leggere, quasi impalpabili.
Shinpachi spalanca
gli occhi di scatto.
"Hai sbagliato di
nuovo." mormora Sano. Gli scompiglia i capelli così come
faceva con Heisuke e Chizuru.
All'improvviso sono
entrambi in piedi – e non c'è il tavolo tra loro,
non c'è la strada invasa dagli accordi del koto
né dagli schiamazzi degli ubriachi. Tutto è
avvolto in una luce bianca e asettica.
E allora Shinpachi
capisce.
"No. No."
È un
sogno. No, anzi: è il
sogno. Quello che lo tormenta una notte dietro l'altro. Si sveglia e
non se lo ricorda. Si addormenta e non si accorge di caderci dentro a
peso morto.
Succede
così, senza controllo. Un milione di volte la stessa scena,
un milione di volte lo stesso tavolo e lo stesso saké che
gli brucia la gola come fuoco. Ogni volta il desiderio di tornare
indietro.
Non
vale. Non vale! Lasciatemi tornare indietro! Lasciatemi riprovare.
"Sano-"
Le dita sono meno di
un refolo di vento tra le sue ciocche arruffate. Dita di fantasma, dita
di spettro. Sano non è trasparente e ha ancora gli stivali
ai piedi, ma questo non cambia le cose.
Harada è
morto.
E lui
ha
sbagliato
di nuovo.
"Sano,
no, ti prego-"
Il suo amico non
risponde. Shinpachi annaspa e cerca la consistenza del suo corpo, la
concretezza della mano appoggiata su di lui. Non la trova. Un ringhio
gli nasce e gli si spezza in gola – ed è meglio
così, perché se potesse uscire si porterebbe
dietro tutto il resto.
"Devi
smetterla." Harada socchiuse gli occhi, le sopracciglia
corrugate. "smettila, Shinpachi. Non puoi andare avanti
così."
Il Nagakura che era
capitano della seconda unità della Shinsengumi riderebbe e
gli chiederebbe da quando in qua è diventato il suo spirito
custode. Il Nagakura di adesso non regge sotto il peso del suo stesso
sorriso.
"Lasciami tornare
indietro – posso cambiare le cose, posso farcela, stavolta ne
sono sicuro."
"No."
"Sano, te lo giuro, sono
pronto! Se solo mi lasciassi provare, se solo-"
"Shinpachi, basta,
dacci un taglio."
"No!"
"Smettila!" Quando
Harada alza la voce lo segue una folata di aria fredda. Shinpachi
rabbrividisce, si tira indietro. Il vento gelido gli graffia le
braccia. "Un anno, kuso, un anno! Smettila! Quanto accidenti ti ci
vuole a capire che sei ancora vivo?! Tu, non io! Non io!"
Shinpachi deglutisce.
È una fortuna che a mattina fatta si scordi di tutto questo
– ogni volta desidera che quel dannato saké sia
veleno. Se morisse sarebbe tutto più facile. Se.
"I-io non-" balbetta
"Incontriamoci ad
Aizu!" abbaia Sano, rauco. Lo spinge, ma le sue mani prive di
consistenza gli passano attraverso. "Ad Aizu! Lo so che non ho
mantenuto la promessa, ma questa non è una buona scusa per
consumarsi! Ti sei visto? Ti sei ascoltato?"
Shinpachi digrigna i
denti. Tieni, tieni duro. A questo punto di solito tira avanti con
questo ritornello.
Ma non questa volta.
Questa volta si rende
conto che quella massa informe e ferita e rattoppata con il metallo che
gli pulsa in petto è il suo cuore. Gira su ingranaggi che ha
smesso di pulire e ticchetta.
Una bomba.
"Rispondimi, cazzo!
Guardami!"
E la sua voce esce
come non ha mai fatto prima.
"Lo so!" urla. Harada
sussulta e fa un passo indietro, preso alla sprovvista. "Lo so! Che
cosa credi, che mi stia divertendo a mandare tutto a puttane?! Non ce
la faccio! Non cambia niente, ogni giorno ci provo e ci provo ma non riesco a buttarmi
tutto dietro le spalle! Non posso far finta che non sia successo
niente..."
"Non ti sto chiedendo
di far finta di nulla, idiota, ti sto chiedendo di non comportarti come
se fossi morto tu al posto mio!"
"Come se fosse
facile!"
"Shinpachi, sei
l'unico che si sta incaponendo. Ce l'ha fatta Saitou, perché
non tu?"
"Saitou è
diverso."
"Saitou ha avuto la
nostra stessa dedizione. Ed è solo quanto te."
"Ha una moglie."
Harada si piazza le
mani sui fianchi, in quel gesto così familiare.
"Perché, tu no?" lo rimbecca, con sarcasmo.
Shinpachi arrossisce.
È vero. Dopo essere rimasti tagliati fuori da Aizu, la
Seiheitai si è sciolta e lui è tornato a Edo con
il resto del suo clan di nascita, i Matsumae, per poco. Poi –
grazie, Itou Kashitarou,
si dice con una smorfia, non
bastava che ci portassi via Heisuke, dovevo anche incontrare tuo
fratello – la strada l'ha portato fin in
Hokkaido.
E lì si
è sposato.
"Sai benissimo che
non ho la minima dannata intenzione di sputare sulla vostra memoria."
"Shinpachi, sei
l'unico a vederla così. Lo sai. Dove lo vedi l'oltraggio
alla memoria? E tutti quei discorsi a Shimbabara? Oh, sì,
celebriamo la vita a scapito della morte!" Harada abbozza un mezzo
sorriso. "D'accordo, erano per giustificare quello che facevamo, ma
adesso non cambia nulla."
Shinpachi scuote il
capo.
"Cambia il fatto che
sei morto."
"La morte non
è niente. È come se fossi nascosto nella stanza
accanto. Io sono sempre io, e tu sei sempre tu. Quello che era vero
prima è vero anche adesso. E tu lo sai.
Esci. Vai al festival
di Gion, vai al tempio, prega. Assapora ogni chicco di riso, trova
qualcuno che beva il saké in tua compagnia. Fai l'amore con
tua moglie, cerca tua figlia. Te la ricordi, tua figlia? Oiso.
Quand'è stata l'ultima volta che l'hai vista?"
Oiso.
Di quei pochi istanti
in cui Shinpachi l'ha tenuta in braccio resta una manciata di ricordi
disseccati dalla guerra civile, ma qualcosa è ancora
lì, attaccato tenacemente a lui. Gli occhi neri, assonnati.
Le mani così piccole, le unghiette come quelle minuscole
patelle che si trovano sulla sabbia al mattino presto.
Chissà
come sono diventate, quelle mani.
Shinpachi non
può fare a meno di pensare alla figlia di Hijikata, morta
piccolissima, e lo stomaco gli si contrae all'idea che forse anche Oiso
potrebbe...potrebbe...no,
se fosse morta me lo sentirei. Almeno questo, come padre.
Già, che
razza di padre è stato.
"Aveva qualche
giorno." Mormora. "L'ho portata dalla sorella di Kotsune prima che
potesse succede qualcos'altro."
Un altro nome, un
altro era. Kotsune.
Un'altra persona che gli manca terribilmente. Lei, la sua risata, la
sua pelle liscia a contrastare le sue cicatrici. Il suo sorriso quando
parlavano insieme del bambino. Un'altra memoria calpestata. Se davvero l'avessi amata non
avrei accettato di avere nessun'altra.
Ma il mondo va avanti
così, a piccole cose che possono essere piacevoli, ma alla
lunga diventano stancanti.
"Valla a cercare.
Shinpachi, valla a cercare prima che sia troppo tardi. Non fare il mio
stesso errore. Ogni istante che passi qui è una benedizione,
che sia ordinario o no. Non lo sprecare. Ogni cosa, fino in fondo.
È tutto quello che abbiamo."
"..."
Una corrente d'aria
calda lo sfiora mentre Sano si muove verso di lui. Gli circonda le
spalle con un braccio, come faceva sempre di ritorno da Shimabara.
"Devi lasciarmi
andare."
"Non ce la faccio. Da
solo non ce la faccio. Ho bisogno di te, io...io non sono mai riuscito
a mettere la testa a posto, lo dicevi sempre."
"Beh, questa
è l'occasione per imparare. Tenermi qui, legato a te,
finirà per fare del male ad entrambi. E io non voglio
trasformarmi in uno yuurei, Shinpachi. Non per rovinare la vita a te."
La presa si scioglie.
"Lasciami andare."
Shinpachi deglutisce.
Ha un nodo alla gola che lo strangola di minuto in minuto. Ma Sano,
stavolta, sembra più disperato di lui. Più testardo di lui.
"Ti prego. Lasciami
andare."
Shinpachi si rifiuta
di guardarlo. Non è pronto. Non vuole dire addio –
nemmeno a questi sogni che lo tormentano, non se sono l'unico filo che
ancora lo tiene legato a Sano.
"Mi aspetterete?"
La mano disincarnata
cerca la sua, la trova, la stringe. Per un istante sembra quasi umana.
"Sempre. Ma tu cerca
di arrivare il più tardi possibile."
Shinpachi annuisce.
"E...Shinpattsan?"
"Che c'è?"
"Fammi un favore.
Quel saké finiscilo anche per me. Mi piange il cuore vederlo
sprecato."
Shinpachi batte le
palpebre. Poi, lento, un mezzo sorriso si apre sulla sua faccia.
"Che c'è,
non ce n'è abbastanza al di là del fiume?"
Sano sogghigna.
"E chi lo sa. Tu
goditelo finché puoi." La mano scivola via. Lo sguardo
ambrato ammicca. "Anche per me, d'accordo?"
Shinpachi inarca un
sopracciglio. Alza il braccio – eccola, la tazzina che era
sparita. Piena fino all'orlo. Forse il saké sarà
amaro, forse sarà più dolce del miele.
In ogni caso,
è ciò che gli tocca.
Piega il braccio e
accenna un brindisi scherzoso solo a metà.
"Kanpai" mormora. La
sua voce è fievole.
Sano sorride. Sta
già svanendo – e Shinpachi non vuole vedere
l'istante in cui sparirà del tutto.
Chiude gli occhi, si
porta la tazza alle labbra, l'inclina.
Non è
molto: appena una goccia. Gli tocca le labbra screpolate e scivola
oltre, una stilla al limite dell'insapore.
È un
inizio. Un piccolo passo.
Non è ancora
pronto ad un addio.
Ma questo è solo
un arrivederci.
*
[And would you call those
friends you never see?
Reminisce old memories?
Would you forgive your
enemies?
And would you find that one
you're dreaming off?
Swear up and down to God above
that you'd finally fall in
love?
If today was your last day
You know it's never too late
to shoot for the stars
Regardless of who you are
So do whatever it takes
'Cause you can't rewind a
moment in this life]
N\A:
Questa one - shot si
è classificata prima al concorso "Courage, Honor and
Nakamaship: 'cause Friends are just like a second family" di Angelsword
e ha vinto i premi speciali Shakespere (per inserzione della citazione
data nel contesto e nel momento più opportuno), Opposizione
(per essere andata "contro" al significato della citazione con le
motivazioni più valide) e Piuma d'Inchiostro (per lo stile
di scrittura più scorrevole). Potete leggere il giudizio
generale sul mio LJ, dove l'ho sistemato per non
intasare la pagina, insieme al commento sulla storia e a qualche nota
storica inclusa nell'allegato originale :3
Ja ne, Kei
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