Titolo:
Ritorno
al crepuscolo
Summary:
«Ritorno
al mio crepuscolo. Mi dispiacerà non ricordarmi di lei.»
Pairing:
Sherlock/John implied; mamma Holmes.
Words:
2034
Rating:
PG
Desclaimers:
Not mine, gnè.
Notes:
Per
la Sherlothon dello SFI sul prompt #6 ("Resti qui con me sulla
terrazza; potrebbe essere la nostra ultima occasione di scambiare due
chiacchiere in pace.") TEAM CANON!
Ritorno al
crepuscolo
“Pensi
che il vero amore sia
l'unica
cosa che possa spezzarti il cuore,
la
cosa che ti riempie la vita
e
la illumina,
o
la distrugge.
Poi
diventi madre”
(Grey's
Anatomy)
John salì i
gradini di quello che un tempo era stato il suo appartamento. Gli
sembrava fosse stato una vita fa.
Diciassette. Erano
sempre diciassette. Nonostante la vita che ci era passata in mezzo.
Mrs.
Hudson era stata stupidamente felice di vederlo. Gli aveva chiesto
cosa facesse lì. Non aveva avuto risposta. Lei aveva tuttavia
annuito, e si era chiusa nel suo
appartamento, al piano terra.
Diciassette gradini.
Aprì la porta,
aspettandosi di trovare la stanza vuota.
Non si aspettava una
donna che guardava insistentemente fuori dalle tendine.
Aprì la bocca
per dire qualcosa.
«Salve, dottore.
Mi domandavo quanto ancora avrei dovuto aspettarla.»
Aveva una voce forte,
autoritaria. Il volto che si mise a guardarlo era di una donna
importante, non abituata ad abbassare gli occhi o dare spiegazioni.
«Resti qui con
me, dottore. Sono malata, potrebbe essere l'ultima volta che abbiamo
l'occasione di parlare con calma. Alla fine della giornata potrei non
ricordarmi di lei.»
John si avvicinò
di qualche passo. «Chi è lei? E cosa fa qui?»
Si alzò solo un
lato delle sue labbra. «Mi stupisco che lei non colga le
somiglianze. Mi chiamo Dora Bouvier, ma il mio cognome da sposata è
Holmes.»
Il rumore delle chiavi
che sbattevano contro il pavimento arrivò a malapena al suo
timpano, reso sordo da un fischio acuto e continuo.
Con un gesto elegante,
l'intrusa si sedette al tavolo - il loro tavolo - e lo guardò,
sorridendogli.
«Si sieda,
dottore. Chiacchieriamo.»
La ragione gli disse di
scappare il più velocemente possibile da lì, il cuore
altrettanto, l'anima era tremendamente d'accordo.
I
piedi furono di altro avviso, e lo condussero suo malgrado a sedersi
su quella che un tempo era la sua
sedia, al suo
posto, quello che gli spettava di diritto.
Forse
l'avevano fatto proprio per quello. Perchè era anche il loro
posto.
«Che si dice
fuori, dottore?»
Che si diceva fuori,
John?
«Niente.»
Scosse la testa. «Niente.»
(1)
Lei annuì. «La
capisco. E' così anche per me.»
John si appoggiò
ai gomiti e si sporse verso di lei. «Non mi ha ancora detto
cosa fa qui, Mrs. Holmes.»
«Già, in
effetti no. Mi dispiace se l'ho spaventata, dottore. Mio figlio non
deve averle parlato molto di me.»
«No, a dire la
verità no.»
«Non mi stupisce.
D'altra parte nemmeno io ho sentito una parola su di lei da Sherlock.
Ma non si offenda, la prego. Io e mio figlio abbiamo sempre parlato
molto raramente.»
Stese le labbra in un
sorriso più largo.
«E' stato Mycroft
a parlarmi di lei.»
John alzò gli
occhi stupito. «Davvero?»
«Ma certo. Mi ha
detto come si chiamava e che tipo era. Ma devo ammettere che la sua
esistenza mi era già nota. L'avevo intravista negli occhi di
Sherlock.»
Crampo allo stomaco.
John strinse la mano, spostò il piede e si mosse sulla sedia.
Mrs Holmes assunse
un'aria mortificata. «Mi dispiace, dottore. Avrei dovuto
immaginare che una frase del genere l'avrebbe ferita.»
John sospirò.
«Cosa è venuta a fare qui, Mrs. Holmes?»
Lei congiunse le mani e
lo osservò. Lui ebbe una sensazione di deja-vù.
«Sono venuta a
dirle di non mollare, di avere fede. Sono venuta a dirle che mio
figlio è ancora vivo.»
Il rumore dei battiti
del suo cuore che si arrestavano furono sordi e senza vita. Crampo
allo stomaco. Cuore, addio.
«Mi sta prendendo
in giro, per caso?»
Scoprì
che la voce gli tremava leggermente. Ira? Paura? Pianto? Ancora?
«Immaginavo
anche una reazione simile.» disse lei immobile «Sono sua
madre, dottore. Se mio figlio fosse morto sul serio, l'avrei
sentito.»
John lasciò che
ancora una volta i suoi piedi prendessero il comando. Si alzò
e camminò avanti e indietro per la stanza un paio di volte,
prima di trovare da qualche parte la calma per parlare.
«Voglio
che lei se ne vada di qui immediatamente.» sentenziò
«Lei non sa assolutamente niente di me, e neanche di... di
Sherlock.
Lei non può venire qui e accaparrarsi il diritto di sentire
per prima la morte della persona che era la più importante
della mia
vita!»
Aveva alzato mano a
mano la voce, senza neanche accorgersene. Non gli importò.
«Io
sento la sua mancanza ogni secondo- ogni dannatissimo secondo della
mia dannatissima
esistenza! E lei spunta fuori dal nulla a dirmi che tutta questa
sofferenza è inutile, e che io dovrei avere fede o roba
simile? Permette che sia almeno un po' scettico?»
Dora Holmes non si
scompose. Incrociò le mani sotto al mento senza staccargli gli
occhi di dosso.
«Sa qual è
la mia malattia, dottore? Mio figlio gliene ha mai parlato?»
John scosse la testa.
«Ho l'Alzheimer.
Ma non speri che quanto le ho detto sia un puro vaneggiamento da
vecchia signora allo stadio terminale della sua vita. Oggi sono
lucida, purtroppo per lei.»
«Perché
"purtroppo"?»
«Perchè
non posso darle appigli per smentirmi, né ho vie di fuga da
offrirle. Questa è la realtà, dottore.»
John tentò di
elevarsi in tutta la sua statura per recuperare un po' di dignità
che, se non aveva già perso, se ne sarebbe andata di lì
a poco. Perché la cosa che più gli premeva di fare era
nascondersi sotto il letto e piangere tutte le lacrime che gli
restavano.
«E' venuta qui
solo per dirmi questo?»
Sembrò
risentita, se non offesa, da quella domanda. «No di certo. Non
sono abituata a infiltrarmi nelle case altrui solo per dare fastidio.
Sono venuta qui perché credo sia giusto che qualcuno sappia la
mia verità, oltre a me. Io morirò, e non posso farlo
con tutto questo peso in corpo. Vorrei raccontarle alcune cose, se me
lo permette. Vorrei che si rendesse conto di quanto io la conosca -
non benissimo, certo, ma so abbastanza da essere certa che lei è
la persona giusta per mio figlio - e di quanto io conosca Sherlock,
cosicché lei possa comprendere che quanto ho asserito prima
non fosse senza fondamento.»
John valutò se
urlare e scappare, o restare e impazzire.
«Vuole del tè,
dottore?»
Dora Holmes era una
donna elegante, curata il giusto per la sua età. I capelli
grigi erano di una tonalità che lasciava indovinare il suo
naturale colore scuro. Sorseggiava il suo tè come se fosse sua
consueta abitudine prenderlo con dei perfetti sconosciuti, in casa
dei medesimi. Medesimi che avevano avuto una relazione con suo figlio
morto, che lei sosteneva essere vivo, per inciso.
La tortura peggiore per
John non fu stare lì ad ascoltare la sua storia. La tortura
peggiore era che Dora Holmes somigliava tremendamente a Sherlock.
«Vede, dottore,
quando mi sono ammalata la prima cosa che ho scordato è stata
quella di avere due figli. Ero rimasta ferma a quando Mycroft era
ancora piccolo. A volte dimenticavo anche che mio marito fosse morto.
Di solito però mi dimenticavo completamente dell'esistenza di
Sherlock. E questo, nonostante lo negasse, lo faceva soffrire molto.
Tuttavia, non ne era stupito. Le ho detto che i nostri rapporti erano
un po' freddi, per usare un gentile eufemismo. Quando nacque Sherlock
io non volevo fare come le altre madri che si occupano maggiormente
del più piccolo trascurando il maggiore, creando delle gelosie
da parte di quest'ultimo. A malicuore devo ammettere che caddi
nell'errore opposto. Non iniziò facilmente come lei crede, sa.
Volevo solo essere quanto più imparziale e giusta possibile.
Sherlock mi rese incredibilmente facile l'obbiettivo che mi ero
prefissata. Sin dalla sua nascita io... avvertivo qualcosa nei suoi
occhi. Mi guardava come se io fossi sotto il suo giudizio. Sempre.
Soffrii di una lieve forma di depressione post partum, e questa mia
ulteriore condizione di debolezza determinò la mia caduta. E
anche quella di mio figlio. Mi convinsi che quel bambino mi odiasse.
Cresceva, e insieme a lui cresceva la mia frustrazione. Il suo
naturale carattere schivo e la sua estrema intelligenza erano
caratteristiche che io rivedevo in me stessa, ma la mia instabilità
mi portò a scambiarli per disobbedienza. Il suo silenzio
durante le mie sfuriate, o anche quando semplicemente parlavamo, fu
interpretato da me come un suo personale processo nei miei confronti.
Per lui ero sbagliata. Ogni cosa che facevo era sbagliata. Non ero
libera, mai. I suoi occhi mi seguivano ovunque. Dovrebbe conoscere la
sensazione. Eppure dentro di me li riconoscevo come difetti miei, e
questo non faceva altro che causarmi nuovo dolore. Mi dicevo che era
colpa mia, che ero stata io a renderlo così. Rimproverando più
lui che il maggiore, finii col commettere l'errore che le dicevo
prima. Sherlock si convinse che avevo una spiccata preferenza per
Mycroft. E ancora ne è convinto. Prego invece lei, dottore, di
non pensarla allo stesso modo. Io amo i miei figli della stessa
quantità d'amore e con la stessa forza. Solo che non l'ho
saputo dimostrare. E di ciò sono l'unica responsabile.»
Ebbe appena il tempo di
riprendere fiato, mentre lei fissava un punto lontano oltre la spalla
di John.
«Sa, credevo che
mio marito fosse l'unico che potesse spezzarmi il cuore. E l'ha
fatto. Morendo. Poi sono diventata madre. Mi creda quando le dico che
prendere l'Alzheimer è stata una benedizione.»
John scosse la testa.
«Che dice? Non è-»
«Una
benedizione, le dico.» lo interruppe chiudendo gli occhi «Se
lei sapesse, dottore, quanto dolore e quanta rabbia... Non potevo più
vivere col senso di colpa per non aver amato mio figlio nel modo
giusto. Eppure, nonostante questo, io lo conosco. E' carne della mia
carne. So
che non è morto.»
Mrs.
Holmes tornò ad osservarlo, a scrutarlo,
come faceva Sherlock. John ebbe di nuovo un crampo allo stomaco,
specie dopo che lei ebbe sorriso.
«Vuole
una prova, dottore? Molto bene, allora. Sherlock non ha mai dormito
molto, questo lei dovrebbe saperlo. Quando era piccolo, però,
io sola conoscevo il trucco. Avevo trovato la ninnananna perfetta:
era la sua melodia preferita, l'avevo capito da come sorrideva quando
l'ascoltava. Si addormentava solo quando gliela cantavo. Io so di
cosa ha bisogno mio figlio, dottore, e so
che ha bisogno di lei. So
che
tornerà. Pertanto le chiedo che questa conversazione rimanga
privata. Non credo gli farebbe piacere sapere che io e lei ci siamo
incontrati.»
«Come fa a sapere
che è vivo?» chiese John senza poterselo impedire
«Speranza? Fede? Malattia? O semplice istinto materno?»
Mrs. Holmes fece una
mezza risata. Beffarda. «Dopo quanto le ho raccontato crede
ancora che io possa avere un qualche istinto materno? Che ottimista,
dottore. In ogni caso, lo so e basta. Mio figlio non è il tipo
che lascia le cose in sospeso.»
«Ha lasciato me,
in sospeso.»
«Appunto.»
Sorrise indulgente.
«Ma come fa a
sapere quello che Sherlock provava verso la sua malattia se non si
ricorda nemmeno della sua esistenza, in quei momenti?»
«Ci sono altri
momenti, come questi, in cui sono perfettamente lucida. Sono pochi, e
rari, ma ci sono. E ricordo tutto, anche quello che è successo
durante il mio... possiamo chiamarlo "oblio"? Io lo chiamo
in un altro modo: "zona del crepuscolo". Lo trovo più
poetico. Mi ricordo anche perché ci sono, nella "zona".
Credo sia la stessa cosa che è capitata a mio figlio. E' vivo,
ma non se lo ricorda.»
Mrs. Holmes si alzò,
gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, guardandolo
intensamente.
«Mio figlio
tornerà da lei, dottore. Deve solo aspettare.»
Si avviò verso
la porta, ma le gambe di John decisero di fermarla. «Aspetti!»
esclamò «Dove va?»
«Ritorno al mio
crepuscolo. Mi dispiacerà non ricordarmi di lei.»
Fece per uscire, ma
esitò quando ebbe la mano sulla maniglia. Prese un respiro e
si voltò di nuovo verso di lui. Aveva gli occhi alti e fieri,
ma lucidi.
«Voglio
confessarle una cosa, dottore. Sarà il mio ultimo
insegnamento. Vede, quando noi - noi esseri umani - non ricordiamo è
perché non vogliamo ricordare. Scegliamo le nostre memorie
peggiori e le nascondiamo da qualche parte, nei meandri del nostro
cervello. Come se non fossero mai stati vissuti. Noi scegliamo
di dimenticare. Noi scegliamo
di non vivere. Io ho fatto tanti errori con mio figlio, probabilmente
sono stata una cattiva madre per entrambi, e sicuramente ho decine di
memorie che vorrei cancellare. Ho scelto
l'Alzheimer - ho scelto la mia "zona" - per non ricordare
tutte le cose sbagliate della mia vita. Lui ha scelto
la non-morte, ha trovato la sua "zona", per poter rimediare
ai suoi errori. Noi scegliamo di non essere. Ma la verità è
che siamo
comunque, e sentiamo esattamente come prima, anche se ci facciamo
cullare dalla dolce illusione che non sia così. La "zona"
che scegliamo diventa solo una via di fuga. O un alibi. Quindi le ho
mentito, dottore.»
Una lacrima, sola e
spaventata, le solcò la guancia.
«La Zona del
Crepuscolo non esiste.»
Notes, again:
Sappiate
che Grey's
Anatomy
caccia fuori il mio lato più angst. Mio dio, quanto angst.
"Quanto dolore, Boris." Vorrei che fosse chiaro che quando
parlo di fede lo faccio in senso stretto, non parlo di religioni o
cose simili. Non so se l'avevo reso chiaro nel testo... insomma, ve
l'ho detto.
Mi piaceva il fatto che
sia Irene che mamma Holmes, la mia Dora, avessero trovato lo stesso
nome per la loro situazione. Per la prima è sinonimo di
potenza, mentre la seconda, diversa per età e carattere, la
consideri, più saggiamente, una via di fuga. O un alibi.
Decidete voi chi delle due ha ragione.
Il
titolo viene dal numero di Dylan
Dog
che fa da seguito a La
zona del crepuscolo,
la citazione iniziale dalla 8x02 di Greys.
I
riferimenti di Dora sono tutti sparsi tra Snuff,
The
way we were
(è una AU questa, ma c'è Dora!) e per la saga di Being
there,
se proprio vogliamo essere fiscali! (1) è inoltre una
citazione del film Le
conseguenze dell'amore di
Paolo Sorrentino (sempre con Toni Servillo). E la "conversazione
privata" è così Mycroftiana! XD
Sonia, grazie. <3
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