Images and Words.

di Annika Mitchell
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Attenzione: Jimmy Sullivan non mi appartiene, così come non mi appartengono gli Avenged Sevenfold, anche se io un po' appartengo a loro. Meredith Adler è un personaggio puramente inventato, così come tutta la fanfiction. Non credete a quello che leggete, credete a ciò che provate leggendolo.
 
 
 
"E' l'unico modo che Jimmy ha di vivere ancora. 
Fossi in te proverei."


 
Entrò nella mia stanza da letto come una furia, gli occhi lucidi forse per qualche birra di troppo, il petto coperto unicamente dai tatuaggi. 
Mi guardò con disprezzo, letteralmente.
Non c’era più alcuna traccia dello sguardo affettuoso e trasparente che mi rivolgeva di solito, con quegli occhi blu dalla saggezza millenaria, che, pur essendo in buona parte miopi, riuscivano a leggere le persone, i loro stati d’animo e le loro sfumature. 
«Meredith Adler» pronunciò distaccato, come una sentenza, aggiungendo poi, senza mezzi termini: «Vaffanculo.»
Colpevole.
Non dissi nulla e rimasi lì, immobile, gli occhi fissi sul tatuaggio che rappresentava tutta la sua esistenza. Tutta lì, in una scritta rossa: fiction.
Una fiction in cui il mio nome era comparso un paio di volte per poi venire dimenticato, irrilevante. Una semplice comparsa.
Se ne andò, così come era arrivato. Irremovibile ed ineccepibile. 
Lui, l’unica persona che ritenevo davvero imprescindibile, decise di risolvere tutto con un vaffanculo. Diretto, conciso, senza alcun rischio di fraintendimenti. 
E tutto crollò. La mia vita crollò, io feci giusto un passo protendendomi verso di lui, ma crollai letteralmente sul pavimento e, per chissà quale legge scientifica gravitazionale, crollarono in terra tutti i miei dischi preferiti, accuratamente ordinati in modo apparentemente casuale.
Ma scoprii da tempo che niente era casuale: tutto si spezzò. Banalmente il mio cuore, meno banalmente il mio cd preferito. 
Guardai la copertina di Images and Words dei Dream Theater, rigata proprio, destino infame volle, sul cuore rosso in fiamme. 
Me lo regalò il giorno che compii ventidue anni. Mi disse che non era riuscito a trovare nulla adatto a me, e che perciò si era deciso ad affidarmi uno dei suoi album preferiti. Gli ribadii per l'ennesima volta, con un sorriso, che non doveva disturbarsi ma all’interno c’era un post-it, scritto in stampatello, che diceva solamente: “Trattalo come un figlio. Jimmy”.
Non doveva davvero disturbarsi.
Fu in quel momento che scoppiai e, senza preoccuparmi, lasciai che le lacrime mi rigassero il viso.
Piansi come si piange ai funerali, in silenzio, senza lottare contro le lacrime, piansi per la perdita di un figlio e di un amore, piansi perché quello era esattamente il luogo ed il momento per farlo. Piansi per me stessa e per il mio essere patetica. Piansi ricordando di quando mi disse che ero la donna più bella del mondo, piansi per una vita passata aggrappata ad un uomo troppo alto, troppo tatuato e troppo intelligente per me, piansi tutte le energie, tutte le mancanze, piansi per ciò che era e che non è. 
Ma, soprattutto, piansi per Jimmy Sullivan.






 
Note a pié pagina, si chiamano (?): 
Innanzitutto salve, come state? Io sto vedendo un film noioso e banale dal finale scontato, e non chiedetemi perché non cambio canale.
Ma torniamo a noi. So che è difficile giudicare con così poco, ma mi farebbe piacere avere una vostra recensione, sempre per quella storia del migliorarsi, perché non si è mai abbastanza. 
Jimmy, Jimmy e Jimmy. E' un'impresa scrivere di lui, perciò vi chiedo infinitamente perdono se questa non è altro che una pallida imitazione anche malriuscita. 
Vi avverto, proverò in tutti i modi di non scrivere del Jimmy stereotipato, il gigante buono e amico di tutti. Tenterò di renderlo più vivo e umano, in un certo senso. 
Ma questi sono i miei buoni propositi, non è detto che io riesca a mantenerli. 
Voglio ringraziare Nishe, per aver betato questa intro, che in realtà è un outro. 
Vorrei far ricredere la mia migliore amica, convinta (forse giustamente) che la mia sia una semplice ossessione.
Ringrazio Jimmy e le cose non dette. 
Prometto a me stessa di concluderla, perché dovrò pur concludere qualcosa, nella vita. 
Ann.
 




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