Gregandalf e i tre hobbit
Serie: House MD
Rating: PG-13
***
Non c’era motivo, in natura,
per cui quel radioso mattino nella Terra di Mezzo non dovesse iniziare come
tutte le mattine da migliaia d’anni a quella parte, cioè col dolce cinguettio
degli uccellini, lo zampettare lieve degli animaletti del sottobosco, lo
stormire delle fronde smosse dal vento, il battere ritmico e distante di un
picchio contro il tronco.
«… mhm… a-ah!... oh sì! Sì!
Sì!»
Be’, magari qualcosa di
simile al picchio c’era.
In un primo momento gli
hobbit Frodeman e Pipino, svegliati nel bel mezzo di dolci sogni pieni di
stufato di coniglio e pan di spagna con crema gialla, sobbalzarono e si
guardarono in faccia come ad accusarsi reciprocamente dell’urlo disumano appena
sentito. In seconda istanza notarono che Camerry non era lì, ma non vi fecero
molto caso. La graziosa hobbit era lontana, come ogni mattina, alle prese col
suo piccolo, improvvisato ospedale per animaletti selvatici, e probabilmente in
quel momento era tutta intenta a steccare le zampine dei poveri fortunati,
controllare loro le tonsille, contare le pulsazioni, e fare grandi girotondi
felici nel suo mondo d’amore e rispetto reciproco.
O magari se l’era mangiata un
orso.
«Ma che diavolo era?» sbottò
Frodeman, che oltre ad essere un hobbit notoriamente poco raccomandabile, nero,
brutto e cattivo, aveva anche un eloquio non proprio forbito.
«Sembrava Jagolas» mormorò
Pipino, scuotendo il lucente casco biondo – per nessun altro motivo apparente
che spandere intorno il profumo di shampoo all’aroma di Pino Silvestre.
Frodeman si fece scuro (be’,
un po’ più scuro). «Forse è nei guai. Dobbiamo andare ad aiutarlo.»
«Oh… non mi sembrava tanto
nei guai…» osservò Pipino, pigramente.
«Hai mai sentito una persona
che non fosse nei guai gridare a quel modo?»
«Be’…» Pipino chiuse gli
occhi, lasciandosi andare ai ricordi di un tempo felice, un tempo in cui, su
alla Contea, tutti lo amavano e lui era l’hobbit più carino e ricercato del
paese. A quel tempo Frodeman non gli sembrava tanto un rivale, e Gregandalf si
intratteneva sempre con lui in significative conversazioni sul tempo che avrebbe
fatto l’indomani. (A differenza dei maligni come Frodeman, lui non aveva
avuto sentore del suo callo miracoloso. Lo cercava per amore della sua
compagnia, lui.)
«Pipino? Stai sbavando» lo
avvisò Frodeman, vagamente disgustato.
***
Verso mezzogiorno, tutto il
bosco di Fangorn sapeva che l’elfo Jagolas – sì, proprio lui, quello coi lunghi
e lisci capelli biondi, l’incarnato pallido, le orecchie a punta e gli occhioni
profondi – si era innamorato. Si aggirava per le radure lasciandosi sfiorare i
capelli dalle fronde, annusava il vento, lasciava che i pargoli venissero a lui
e leccava le rane. Fin qui niente di strano, insomma, niente di strano per un
elfo. Piuttosto la cosa strana – al di là dello sguardo perso e svagato e delle
ciocche che continuava ad arricciarsi intorno al dito – erano i suoi discorsi.
Aveva iniziato a rivangare certe sue ballate elfiche d’infanzia e pareva che ne
avesse una per ogni argomento. E quando non parlava canticchiava tra sé,
intrecciando giacinti e fiordalisi in ghirlande grandi e piccole che metteva al
collo o ai polsi.
Verso mezzogiorno sembrava
uno di quei manichini infiorati cui davano fuoco la notte del solstizio
d’estate, e puzzava peggio di una profumeria dopo un terremoto.
«Jagolas? Ti senti bene?» gli
chiese Frodeman, corrugando la fronte.
«Mai stato
meglio» cinguettò l’elfo, rimescolando l’acqua nel pentolone con un cucchiaio di
legno. Indossava il suo grembiule preferito, quello con la scritta
cuoco è bello ma cuoco
elfo è meglio.
«Sembri… strano.»
«Tu credi che sia giusto in
questo mondo pensare e comportarsi come te» rispose Jagolas, distrattamente.
«Err… sì. E allora?»
«Niente» disse l’elfo,
scrollando le spalle. (La fine dialettica delle ballate elfiche aveva sempre
qualche intoppo nelle argomentazioni, per cui Jagolas tendeva a troncare le
conversazioni con frasi ad effetto, tipo…) «Ma solo se difenderai la vita
scoprirai le tante cose che non sai.»
Frodeman fece per scollare la
lingua dal palato e replicare, ma un alternarsi sgraziato di passi li avvisò che
il potente stregone Gregandalf stava portando la sua augusta persona vicino a
loro. Il mago si lasciò cadere con un tonfo sul masso più vicino e stese la
gamba malata, la destra, per darle riposo. Quindi trasse fuori da sotto il
mantello una fiaschetta marrone e se la portò alle labbra, ingollando tre
violenti sorsi prima di richiuderla.
Era chiaramente una pozione
magica che serviva ad alleviare il dolore della sua ferita. Nessuno aveva più
sollevato dubbi da quando Pipino gli aveva detto: «È chiaramente una pozione
magica che serve ad alleviare il dolore della tua ferita», e Gregandalf aveva
risposto: «No, è whisky, ne vuoi un po’?»
E benché persistesse ancora
qualche perplessità (perlopiù legata al fatto che quando ne beveva troppa
Gregandalf zoppicava sì più agevolmente, ma dalla gamba sana, e iniziava a
cantare e a fare avances alle scoiattoline), i più credevano ciecamente nella
tesi della pozione magica.
«Be’, che si mangia oggi?»
«Ragù e sufflè, torte e
caramel flambé, preparati e serviti con un grande cabaret!» rispose Jagolas,
rimescolando con vigore.
Frodeman rimase un istante a
bocca aperta. «Davvero?»
«No.»
«Da qui sembrano i capelli
del biondo» osservò Gregandalf, indifferente.
«Hai cucinato Pipino?»
replicò Frodeman, orripilato, studiando il pentolone come a giudicare se
l’hobbit potesse o meno entrarci intero. A occhio e croce stimò di sì, e un
brivido gelido gli attraversò la schiena.
«Tranquillo, Frodeman, voi
neri siete indigesti» lo rassicurò Gregandalf, giocherellando col bastone.
«È minestrone» spiegò
Jagolas.
Frodeman tirò un sospiro di
sollievo. «E allora dov’è Pipino?»
«Che c’è, il bimbo s’è
perso?» ribatté Gregandalf, inarcando un sopracciglio. «Sarà andato a cogliere
margherite o a giocare ad acchiapparella da solo. Anzi, perché non lo vai a
cercare? Su, su.» Gli diede un colpetto col bastone sulla gamba.
«Ma… il pranzo…»
«Ti chiameremo quando sarà
pronto, ora mamma e papà devono decidere se sia il caso di castrarvi tutti e
mettervi all’ingrasso come maiali. Aria!»
Frodeman se ne andò,
rimuginando sul senso profondo delle parole del mago e decretando che
“castrarvi” stava per “proteggervi”, “mettervi all’ingrasso” per “salvaguardare
la vostra salute” e “maiali” per “maiali”. Solo quando l’hobbit fu scomparso tra
gli alberi Jagolas smise di rimestare nel suo pentolone e lanciò a Gregandalf un
timido sguardo.
Lo stregone lo ricambiò, e
parve che l’iride senza fondo dei suoi occhi si colorisse di nuove sfumature,
nuovi riflessi, mai visti e profondissimi. Jagolas arrossì. «Te ne sei accorto,
vero?» disse Gregandalf, con voce misurata.
L’elfo annuì. «È lo stesso
per me» mormorò.
«Ma non mi dire. Anche tu
lenti colorate?» ribatté lo stregone, specchiandosi nel tappo argenteo della
fiaschetta.
***
Dopo pranzo Gregandalf tentò
di scappare il più veloce possibile, ma per quanto detenesse il record mondiale
di corsa col bastone non poté evitare il placcaggio di Camerry, appena tornata
dal suo giro di visite porta a porta agli animali del bosco.
«Dobbiamo parlare» disse
l’hobbit, seria per quanto potesse esserlo un esserino alto un metro e una noce.
«Ma tu non hai qualche oscuro
signore del male da sconfiggere con la sola forza della tua bontà?» sbottò
Gregandalf.
«Perché?» chiese Camerry,
disperata, portandosi il dorso della mano sulla fronte. «Perché rifiuti di
amarmi? Noi siamo fatti l’uno per l’altra! Io mi prenderei cura di te, ti
preparerei da mangiare, ti farei i massaggi ai piedi, sarei la tua dolce e
adorabile mogliettina servizievole! Che cosa c’è che non va in me?»
«Non mi piacciono le donne
pelose» rispose Gregandalf.
Ma Camerry parve non averlo
sentito, infatti continuò drammatica: «È la tua gamba, vero? È quella il
problema.» Tirò un grosso respiro. «Lo so. Hai avuto un infarto e quello ti ha
mandato in necrosi un muscolo della gamba, rendendoti zoppo a vita e lasciandoti
dolori cronici che riesci a sopportare solo bevendo costantemente la tua pozione
magica. Ma nessuna pozione può guarire quel terribile, straziante senso di
inutilità che ti trascini dentro e che ti fa sentire così… così…»
«Artritico?»
Camerry si fermò, le mani
alzate come in preghiera e lo sguardo volto all’orizzonte. «… artritico…? Be’, è
una metafora un po’ azzardata, però ha una sua poesia, e in effetti se ci pensi
c’è bla bla bla…»
Gregandalf se n’era già
andato, zoppicando sullo strato soffice di muschio che ricopriva il sottobosco,
quando Camerry si riscosse con un ennesimo: «… e quindi bla bla e ancora…»
Sollevò gli occhi. «… bla?... Gregandalf? Dove sei?» Fece una smorfia di
disappunto, voltandosi per essere sicura che la luce illuminasse con la dovuta
grazia le sue adorabili fossette. Poi sbiancò. «Artritico? Oh per la polenta!» E
corse via disperata per circa due metri e mezzo, quando si fermò di nuovo
piantando i pugni sui fianchi. «Ma non è neanche lontanamente così drammatico
come l’infarto alla gamba e la necrosi e bla bla bla!»
«Ma è vero» mormorò Jagolas,
venendo fuori dalle fronde dove evidentemente era rimasto nascosto fino a quel
momento. «È una storia sai, vera più che mai» aggiunse, annuendo a se stesso.
«E tu come lo sai?» replicò
Camerry, sospettosa, cui la fronte corrugata non toglieva un grammo della
consueta bellezza. «Lo conosci da tanto quanto noi!»
«… uno dice un noi… tutto
cambia già» sussurrò Jagolas, guardando pensosamente il tronco di un albero.
«Be’… comunque mi amerà, non
può non amarmi. Noi siamo fatti l’uno per l’altra. Bla bla bla. Bla. Non pensi,
Jagolas? L’ho anche sognato stanotte… mi stringeva tra le sue forti braccia e mi
sussurrava dolci parole d’amore…»
«I sogni sono desideri di
felicità» commentò l’elfo, saggiamente.
«… in una lingua così strana…
sembrava… non so… ah, ma devo scoprirlo! Forse era un sogno premonitore e in
quella frase c’è il segreto con cui conquisterò il suo amore!»
Jagolas le appoggiò una mano
sulla spalla. «Quello che scoprirai è davvero importante.»
«E poi mi sembra che lui sia
già cambiato, mi tratta più gentilmente, mi cede la prima porzione… Prima non
era così cortese, tu non pensi, Jagolas?»
«Era sgarbato, un po’
volgare, ora no» ammise l’elfo, e poi aggiunse in un sospiro a se stesso: «È
timido, piacevole… non mi ero accorto che ora è incantevole».
«Hai ragione, Jagolas. Ti
ringrazio. Non so come avrei fatto senza i tuoi consigli.» Camerry fece per
dargli un bacio sulla guancia, ma sollevarsi sulle punte non fu sufficiente, e
l’elfo era troppo svagato per darle considerazione, per cui la hobbit scrollò le
spalle e corse via.
«… quello che accade è una
grande novità…» canticchiò Jagolas prima di riscuotersi, una mezz’oretta dopo.
«... Camerry? Hai detto qualcosa?»
***
Quella notte, quando andarono
a coricarsi ognuno nella sua tenda, nessuno vide né sentì il potente stregone
Gregandalf sgattaiolare furtivamente fuori, zoppicare per l’accampamento,
sbattere l’alluce contro un masso, imprecare in venti lingue diverse, vuotare la
fiaschetta per dimenticare il dolore e quell’orribile orsetto di peluche
regalatogli da Camerry, e infine intrufolarsi silenzioso come un gatto nella
tenda di Jagolas.
L’elfo sobbalzò. Aveva
organizzato la propria tenda in modo spartano: un solo letto a due piazze con un
baldacchino in broccato rosso, un’area cucina con set di pentole in acciaio inox
e lavastoviglie, un’area bagno con gabinetto, bidet, rubinetti d’oro e rimozione
liquami gestita dagli scoiattoli del bosco.
«Hai gettato un incantesimo
perché non ti sentissero?» domandò l’elfo, interessato.
«Semplicemente detto che
stanotte sarebbe venuto l’uomo nero a prendersi gli hobbit cattivi.»
«E ti hanno creduto?»
«Sì, quando ho detto loro che
avevo semplicemente sbagliato a impostare la lavatrice» rispose Gregandalf,
indicando la propria tunica grigia, da cui giustamente gli veniva il nome di
Gregandalf il Grigio.
Jagolas sorrise, ma
Gregandalf continuò, stizzito: «Sennonché la signorina Piedi Pelosi ha detto che
non vedeva l’ora! Ma che bisogno c’era d’incoraggiarla?» sbottò,
lasciandosi cadere sul letto.
«Non l’ho incoraggiata!»
«Sì che l’hai fatto.»
«No.»
«Sì.»
«No!»
«Ce la giochiamo a
freccette?»
Jagolas sollevò un
sopracciglio. «Cosa ci giochiamo?»
«La tua virtù.»
Il secondo sopracciglio salì
a far compagnia al primo.
«Sì, insomma, quel che ne
resta.»
«E se vinco io?»
«Questo tenerissimo orsetto
di peluche che se gli premi la pancia dice “mamma”.»
«E io dovrei giocarmi la mia
virtù contro un tenero… morbido… sofficissimo… orsetto di peluche?» mormorò
Jagolas, con una minima contrazione del labbro inferiore e gli occhioni
sgranati.
«Esatto.»
«Ci sto.»
***
Il giorno seguente il nome
dell’innamorato di Jagolas era ancora un mistero, ma Pipino aveva una sua teoria
circa un Nazgul che aveva visto svolazzare da quelle parti. La teoria
contemplava anche un lungo elenco di pratiche sadomaso che apriva squarci
d’orrore nella vita del pacato elfo biondo. Per questo fu presto accantonata
quando Jagolas si presentò a pranzo con un orsacchiotto di peluche agganciato
alla cintura. (Pipino, forse per la delusione, sparì dalla circolazione.)
Camerry era fuori per il suo
solito giro di visite, e Gregandalf non era ancora arrivato.
«Allora, Jagolas» disse
Frodeman, cui la mancanza di sonno causava strani tic facciali. «A me puoi
dirlo. Di chi ti sei innamorato?»
«Non sono innamorato.»
«Oh, certo. Avanti, è
evidente. Ce ne siamo accorti tutti» lo incitò Frodeman, strizzando l’occhio.
«A-accorti? E da cosa?»
«Insomma… ti comporti in modo
strano.»
Jagolas sgranò gli occhi
castani. «È per le rane, vero? Avevo giurato di smettere!»
«Err… no, no, le rane non
c’entrano. Avanti, non lo dirò a nessuno.»
«Non dirai cosa?» interloquì
Gregandalf, scolandosi metà della fiaschetta in un solo sorso.
«Niente!» scattò l’elfo.
«Proprio niente! Ah… Frodeman? Hai sentito mai pregare un lupo verso il blu?»
«No, perché?»
«Ce n’è uno proprio laggiù!
Perché non vai a sentirlo?»
«Sei pazzo? I lupi se li
mangiano gli hobbit!»
«Sciocchezze! Quello lì poi
lo manda… eh… lo manda Lisagorn! Senti un po’ cos’ha da dirci, magari è
importante! Vai, vai…»
«Lisagorn ha mandato un lupo
messaggero?»
«Esatto! Vai, su, ti
chiamiamo appena è pronto!»
Mentre Frodeman si
allontanava, sempre più perplesso, e il lupo in lontananza già si leccava i
baffi, e Camerry fasciava una zampina perfettamente sana a una puzzola incazzata,
e Jagolas tirava un gran sospiro di sollievo, Gregandalf si avvicinò al
pentolone e raccolse un po’ di brodo col mestolo, assaggiandolo.
«Io ci aggiungerei un altro
po’ di sale.»
«Dici?»
«Sì, giusto un pizzico, per
insaporire.» Rimise il mestolo nel pentolone. «L’ho sempre detto che questi
hobbit non sanno di niente.»
«Magari con un po’ di
peperoncino…»
Gregandalf scosse la testa,
tirando fuori la fiaschetta. «Whisky?»
«Rana?»
- Fine -
Canzoni
Disney (in ordine di apparizione):
I colori del vento – Pocahontas
Stia con
noi – La bella e la bestia
La bella
e la bestia – La bella e la bestia
I sogni
son desideri – Cenerentola
Il mondo è mio – Aladdin
Quello
che accade – La bella e la bestia
I colori del vento – Pocahontas
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