Alles ist gut
“Alles ist gut.”
I genitori, le madri
soprattutto tendono sempre a dire così.
“Alles ist gut.”
Anche quando sanno
che non è vero.
È la
classica bugia a cui i bambini tendono sempre a credere.
Una bugia innocente.
“Alles ist gut.”
Ma solo una bugia che
si affievolisce sempre di più fino a spegnersi.
Con uno sparo.
L’uomo
aprì gli occhi di scatto, le mani stringevano il lenzuolo
leggero, leggermente bagnato di sudore.
Si guardò
intorno abituando gradualmente gli occhi al buio senza alzarsi da quel
letto assurdamente grande, in una stanza ancora più grande
di quanto non sembrasse quando la sera vi era entrato, in una casa che
pareva più una scuola, sia per la grandezza sia per la
funzione di scuola che ora aveva preso.
La luce della pallida
luna entrava dalle finestre prive di tende, una stanza che si addiceva
perfettamente a chi la occupava, vuota, semplice, senza decorazioni o
particolari cose inutili.
Giusto il minimo
indispensabile.
Quei ragazzini che
avevano trovato si erano ambientati in fretta, sia nel posto sia tra
loro, parlavano come se si conoscessero da sempre e, al tempo stesso,
parlavano per conoscersi meglio.
Si comportavano
tipicamente da ragazzi, studenti, facevano cose che alla loro
età lui nemmeno aveva avuto il tempo di sognare.
A quel tempo
l’unica cosa che occupava la sua mente era la sopravvivenza,
non c’era spazio per altro, i sogni non ricordava
più come fossero.
“Alles ist gut.”
E in fondo quello non
era un sogno, non completamente.
Non vedeva immagini,
o forse era il suo subconscio che le oscurava, sentiva quella voce,
debole, stanca, decisa e dolce che continuava a dirgli che andava tutto
bene.
Avrebbe voluto urlare
che non era vero, che era una bugia, che i bugiardi non gli piacevano.
Avrebbe voluto urlare
come avrebbe fatto un bambino, avrebbe voluto, preferito, comportarsi
da bambino.
Tutto
perché quei ragazzini stavano parlando delle loro famiglie,
avrebbe voluto non aver sentito nulla.
Avrebbe voluto tante
cose.
Per prima cosa
uccidere Shaw, la rabbia era tanta, ma forse non ancora sufficiente.
O come aveva detto
Charles non bastava.
Poi avrebbe
desiderato cancellare ciò che gli ricordava costantemente il
passato.
214782.
Era stato il suo nome
per tanto, troppo tempo.
Era impresso
sull’avambraccio, come una macchia nera che stonava sulla
pelle.
Lo odiava eppure
guardarlo gli serviva per aumentare l’odio verso
quell’uomo.
“La
rabbia non basta. Non è tutto.”
Ma aveva bisogno di
essere arrabbiato.
O forse voleva che
qualcuno gli ripetesse quella cantilena, stavolta con
sincerità.
Aveva bisogno di
tante cose, era un uomo adulto eppure non aveva nessun punto di
riferimento, li aveva persi tutti, in un giorno solo.
Effettivamente si
considerava, in quei momenti di solitudine, come un bambino in un corpo
troppo cresciuto.
Non poteva, e per
orgoglio non voleva, mostrarsi così debole davanti a
nessuno, aveva subito abbastanza.
Se si mostrava debole
lo faceva davanti a se stesso, senza lacrime.
Con un gesto
attirò davanti a se la moneta che gli aveva distrutto la
vita e iniziò a farla girare, ammirandola con disprezzo
sotto ogni lato, in ogni modo.
“Alles ist gut.”
Quella voce di nuovo
fece capolino nella sua mente, non lo lasciava mai solo e non poteva
dire di esserne felice in quei momenti.
Se solo avesse mosso
quella maledetta moneta!
La scagliò
contro al muro rovinando la carta da parati che lo rivestiva.
La
richiamò a se e la lasciò cadere sul comodino
prima di distendersi e voltarsi su un lato, verso la finestra.
Una mano
esitò sfiorando la maniglia della porta, ormai quella era la
stanza di Erik, entrare senza permesso, nel cuore della notte non era
educato.
E poteva anche essere
frainteso.
Ti
disturbo?
Il pensiero raggiunse
la mente, ormai abituata a queste “invasioni”, di
Erik.
Con uno sbuffo
soffocato rispose aprendo la porta al posto
dell’altro che, a quanto pareva, era troppo imbarazzato anche
solo per muoversi in casa propria.
Charles
entrò silenziosamente guardando l’uomo che non
molto tempo prima aveva salvato.
“Non era
mia intenzione sentire i tuoi pensieri, mi sono giunti senza che me ne
rendessi conto.”
Si
giustificò chiudendo la porta prima che l’altro
potesse fare domande sulla sua presenza li.
“Erano
forti, sembrava quasi che volessero essere sentiti.”
La sua voce era
gentile e comprensiva.
Sarebbe potuto essere
un buon padre, magari in futuro lo sarà, pensò
Erik, sperando che non sentisse anche questo.
Era paziente e sempre
disposto ad aiutare tutti, forse si fidava troppo delle persone ma
sapeva cambiarle.
E cambiare le loro
vite.
“Ne vuoi
parlare?”
“E cosa ci
sarebbe da dire?”
Sbottò
senza realmente volerlo e abbassando lo sguardo.
Charles
esitò un attimo prima di voltarsi e aprire la porta, forse
offeso.
Lui si preoccupava e
la risposta era questa.
“No.
Aspetta.”
Lo fermò
l’uomo prendendo un respiro.
“Rimani.”
Lasciò
perdere la porta e con un sorriso tornò verso di lui.
“È
vuota la stanza. Sei sicuro che vada bene?”
Domandò,
non veramente intenzionato a parlare di quei pensieri che aveva sentito.
Preferiva
così, preferiva stargli vicino senza ricordargli nulla, solo
stargli vicino.
Erik posò
la mano sul numero tatuato, a coprirlo.
In quel momento, ora
che Charles aveva sentito, se ne vergognava.
La mano,
così morbida, del telepate si posò a sua volta
sulla sua.
“Non
è il tuo nome.”
Disse con dolcezza,
rispondendo ai suoi pensieri, strinse di più la presa,
avrebbe voluto cancellarlo strappandosi la pelle.
“Erik
Lensherr.”
Continuò
ancora il giovane professore.
Allentò la
presa e si distese chiudendo gli occhi.
Ti
dispiace...?
Pensò
sapendo che l’avrebbe sentito.
Charles sorrise e gli
posò una mano sulla spalla chinandosi su di lui.
Cercò di
ricordare le parole che aveva sentito prima, quelle parole ripetute, in
tedesco, ma temeva di sbagliarle, dire chissà cosa, magari
di imbarazzante o peggio ancora offensivo.
Magari gli avrebbe
chiesto di insegnargliele, perché sapeva che erano
importanti, e Erik aveva bisogno di sentirle.
“Va
tutto bene Erik.”
Sussurrò
infine al suo orecchio prima di posare la testa sul cuscino, senza
togliere la mano dalla spalla dell’uomo.
“Alles ist gut.”
La voce dolce della
madre si sovrappose a quella di Charles.
Una vecchia bugia
sovrapposta ad una promessa.
Forse i sogni non
erano così male come pensava che fossero.
I raggi caldi del
sole entrarono prepotenti dalle finestre, svegliandosi l’uomo
si appuntò mentalmente che, magari, delle tende potevano
fare al caso suo.
Stava per mettersi
seduto, con un sorriso nuovo, dovuto a quella sensazione di protezione
che gli aveva dato il sogno, che sentì un leggero peso
attorno alla sua vita.
Voltandosi si
ritrovò a guardare un paio di occhi chiari che lo guardavano
a loro volta.
“Mi stavi
fissando?”
Domandò
dopo alcuni secondi di silenzio, nonostante il corpo non tradisse
nessuna emozione la voce poteva risultare quasi imbarazzata.
“Ti servono
delle tende. Non è un bel risveglio.”
Non sei tu che devi
svegliarti così. Stava per rispondere ma avrebbe solo
ottenuto il primo risultato di quella notte, rischiare di farlo andare
via offeso.
Non lo meritava, non
Charles.
Si voltò e
lo circondò con le braccia in un impacciato abbraccio.
Dopo la sorpresa
iniziale, poco meno di qualche secondo, il telepate sorrise senza
cercare di sgusciare via come al contrario l’altro si
immaginava.
“È
la giornata delle cose nuove?”
Chiese con un
sorriso, con tono divertito e dolce cercando di abbracciare a sua volta
l’uomo.
Grazie.
Charles chiuse gli
occhi sorridendo come faceva quando uno dei giovani mutanti riusciva a
controllare i suoi poteri, un sorriso allegro, che si addiceva
perfettamente al suo viso.
Appoggiò
la testa contro di lui senza muoversi, senza pensare, assaporando quel
momento come se fosse qualcosa che non sarebbe capitato mai
più, e conoscendo Erik poteva anche essere.
Non era esattamente
il tipo di persona che si lasciava andare a simili dimostrazioni
d’affetto, piuttosto era chi, silenziosamente, cercava di
ottenerle.
Era il tipo di
persona che dietro la decisione, la rabbia e un carattere duro
nascondeva dolore e malinconia, e il desiderio di nascondere
ciò che era realmente ma che gli era stato strappato senza
pietà dagli uomini.
Era quel tipo di
persona a cui Charles sapeva voler bene senza conoscerlo completamente,
che sentiva di dover tenere accanto per proteggerlo.
A cui sentiva di
dover dire che andava tutto bene.
Angolo
Autrice:
Là Là
Làààà~
Ho fin troppe cose da
scrivere, il tempo non è mai abbastanza e l'ispirazione
arriva a scatti, e spesso di notte mentre cerco di dormire, quanto
è simpatica!
In ogni caso, seconda
Cherik che scrivo, come al solito mi piace solo la parte finale, o
meglio, le righe finali, son fatta così, spero che a voi
piaccia di più questa mia versione...
Ah, la frase
ricorrente, all'inizio, "Alles ist gut." è ciò
che nel film ripete la madre di Erik, il significato è
appunto "Va tutto bene".
Spero vi piaccia...
Bye Bye~
Aki
Campagna
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di scrittori.
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