Tutto questo è solo perché voglio
tanto bene a nonno Doumeki e le Clamp
mi hanno traviata tanto da farmi dimostrare il mio
affetto con fanfic tristi!!!
Se non conoscete Haruka Doumeki (il Nonno con la N
maiuscola!), beh vi siete persi un gran signore…
immaginatevi un Doumeki (Shizuka)
più maturo, più sorridente, più scafato e circonfuso da un’aura che ispira
rispetto ed ammirazione! EGLI è Haruka! *___*
Uh giusto… o___o Spoiler Capitolo 118 !
Ochiba chi ni
Todoku wa jikan
Yurumikeri
Foglia
che cade
L’istante che tocca il
suolo
Il tempo s’allenta.
-Katou Shuuson-
Tese la corda ed il mondo si fermò.
Ogni movimento, ogni rumore, ogni più piccola perturbazione
era cessata. Non più uccellini che saltellavano e
cinguettavano sull’albero antico, non più il vento che gli gonfiava le vesti,
nemmeno il tenue respiro di Shizuka alle sue spalle.
C’erano solo lui ed il bersaglio, tutto il resto era
sparito.
Quell’istante di calmo silenzio lo
avvolse e riempì la sua mente, che aveva lasciato libera da ogni pensiero.
L’eternità in un istante.
L’attimo dopo aveva scoccato la freccia ed il mondo aveva
ripreso il suo corso.
“Centro!” esclamò Shizuka
correndogli vicino ed aggrappandosi con la piccola manina all’hakama che indossava.
Haruka guardò dall’alto il volto
meravigliato e pieno di ammirazione del nipote con un
sorriso benevolo, allungando una mano e scompigliando i capelli fin troppo
ordinati del bambino.
“Posso provare anch’io?” domandò il bambino risistemandosi
il caschetto scuro in ordine com’era prima.
“Quando sarai un po’ più grande.” gli rispose il nonno divertito per l’atteggiamento composto
di quel bambino così piccolo.
“Dici sempre così…” si rabbuiò subito Shizuka,
mentre con una mano cercava di allargare il collo del suo vestito.
Haruka sapeva che in fondo poteva
apparire crudele costringere il nipote in quegli abiti femminili. Shizuka non poteva capire (e come potrebbe? Nemmeno i suoi
genitori volevano capire…), nemmeno se gliel’avesse spiegato, che era per il
suo bene, per la sua sicurezza. Le antiche protezioni che si erano tramandate
di generazione in generazione da secoli avevano
salvato la vita al piccolo Shizuka, l’avevano
protetto da spiriti e demoni fin dalla nascita, e tanto gli bastava. Non
importava che capisse perché doveva vestirsi da bambina, se questo lo
proteggeva dal male.
“Facciamo così…” disse Haruka
inginocchiandosi di fronte al nipote. “Il giorno che riuscirai a tendere la
corda da solo, allora io ti insegnerò a tirare con
l’arco. Ci stai?”
Shizuka fissò negli occhi il
nonno, cercando di capire se l’uomo stesse parlando
sul serio, e non trovando in quello sguardo altro che la solita pacifica
limpidezza si fece serio a sua volta e prese dalle sue mani l’arco.
L’oggetto era più alto di lui, ma ciò non
di meno il bambino provò ad impugnarlo ed a tendere la corda. Il legno era molto duro, serviva la forza di un adulto e l’energia
spirituale di un uomo come Haruka per tendere un
legno tanto antico e ben lavorato. Al giorno d’oggi
non si creavano più degli archi impregnati di una tale forza mistica. Non fu
una sorpresa che il bambino non riuscì a smuovere la corda, nemmeno di qualche
millimetro.
“Maestro!” sentì la voce di uno dei monaci che lo chiamavano
dal tempio. “Maestro avete visite!”
Haruka lasciò Shizuka
a tentare di tendere l’arco, tanto cercare di dissuaderlo sarebbe stato
inutile, e dopo avergli scompigliato nuovamente i capelli si diresse verso il
porticato dal quale si accedeva all’interno della
struttura principale.
“Maestro!” lo raggiunse un giovane
apprendista “Una signora chiede di incontrarsi con voi. Dice che vi ha
parlato per telefono e che la state aspettando.”
Haruka sorrise ed annuì al
ragazzo, facendogli cenno con una mano che era libero
di tornare alle sue mansioni. Il giovane corse via in tutta fretta, lasciando Haruka davanti all’ingresso.
Oltre la porta stava una donna elegante di
età ormai avanzata, dall’aria stanca e triste. Teneva per mano una
bambina piccola, più o meno dell’età di Shizuka o
forse un anno meno, con i capelli neri raccolti in due graziosi codini. Quando
la donna si accorse del suo ingresso si inchinò con
cortesia, imitata un istante dopo dalla bambina, seppur più goffamente.
“Benvenute. Accomodatevi nella stanza qui accanto, così che
potremo parlare tranquillamente.” Con un gesto fluido
e lento Haruka aprì la porta scorrevole e facendo
entrare per prime le due ospiti. Passando, la bambina alzò lo sguardo verso di
lui con occhi dubbiosi. Haruka le sorrise e lei parve rasserenarsi, perché sorrise a sua volta.
“Maestro Doumeki-sama… se
ricordate la settimana scorsa vi ho chiamato per parlarvi di mia nipote…”
iniziò subito la donna, senza nemmeno sedersi su uno dei cuscini disposti sul tatami.
“Ricordo perfettamente.” rispose con
voce calma e gentile Haruka.
A passi lenti e misurati si andò a sistemare su uno dei
cuscini, sedendosi e facendo cenno alle due di fare altrettanto. “Mi parli del
vostro problema.” aggiunse infine.
“Vedete…” iniziò la donna cominciando a tormentarsi le mani.
“La mia piccola Himawari è sicuramente posseduta da
uno spirito maligno! Fin dalla nascita attorno a lei accadono fatti strani…
inspiegabili… fatti in cui qualcuno finisce sempre per farsi del male… Quando
aveva quattro anni è andata riprendere la palla che aveva perso nel giardino
dei vicini… il giorno dopo scoppiò un incendio proprio
nel punto in cui era la palla e la casa è andata distrutta! I bambini con cui giocava cominciarono ad avere dei brutti incidenti… Una
vicina le disse che era carina e poco dopo si è suicidata… La sua insegnante è
rimasta coinvolta in una brutta storia con la polizia… Capite che non può
essere normale!”
Haruka aveva chiuso gli occhi per
pensare con calma a quanto la signora gli stava raccontando. Li riaprì per
guardare la bambina che lo stava fissando a sua volta. Non gli pareva il caso
di affrontare una simile argomento davanti a lei, ma Himawari sembrava abituata a tali discussioni. Chissà
quante volte vi aveva assistito…
Haruka sorrise ancora alla
piccola, strappandole un altro sorriso.
“Maestro lei deve..” iniziò di nuovo la signora, ma fu subito fermata da un cenno
di Haruka.
“Ti chiami Himawari, vero?” chiese
con fare amichevole.
“Sì!” rispose la bambina, contenta che finalmente qualcuno parlasse anche con lei.
“E quanti anni hai?” domandò
ancora.
“Otto!” rispose prontamente lei.
La stessa età di Shizuka, dunque.
“Vieni qui Himawari!”
le disse Haruka tendendole una mano.
La bambina si alzò frettolosamente e corse finché non poté
afferrarla. Haruka poggiò l’altra mano sulla fronte
della bambina e chiuse gli occhi. Richiamò a sé la propria energia spirituale e
cominciò ad intonare a bassa voce una preghiera. Vide nella sua mente una nube
nera, umida e sporca, una forma incorporea dall’aspetto minaccioso che
ribolliva su sé stessa. Tentò di scacciarla, ma questa non reagì. Provò ad
affrontarla, a sconfiggerla, ma nulla cambiò. Il fumo scuro sembrò anzi
ingrossarsi sempre più. Fece molti tentativi, aumentò anche l’intensità della
preghiera che stava recitando, ma non successe niente. Man mano che tentava di
scacciare quell’opprimente presenza, essa lo
circondava, lo avviluppava, finché non l’avvertì chiaramente insinuarsi sotto
la sua pelle.
Allontanò la mano dalla piccola testa della bambina e riaprì
gli occhi. Lei lo guardava curiosa, con i suoi occhi scuri come il fumo che
aveva appena combattuto.
Questa bambina non può
essere guarita, perché è così che deve
essere…
Il pensiero gli sbocciò nella mente, come se qualcun altro
l’avesse pensato al posto suo, ed ebbe la certezza che fosse
la verità.
“Sei proprio una brava bambina.” le
disse dolcemente, dandole un buffetto sulla guancia.
“Signora…” si rivolse poi alla donna che era rimasta in
nervosa attesa. “Sua nipote non è posseduta.”
La donna lo guardò stupita. Il sollievo cominciò a
dipingerle un sorriso sulle labbra, ma l’espressione grave del monaco le
raggelò il sangue l’istante successivo.
“Ciò non di meno… Sua nipote ha qualcosa che non va.”
Si fermò perché sentiva le parole che faticavano ad uscirgli
dalla gola. Vide che la donna stringeva la manina della bambina, mentre lei
guardava prima uno e poi l’altra con occhi smarriti. Era davvero troppo
piccola…
“Questa bambina porta sfortuna agli altri. Non può scegliere
chi… Anche se parla soltanto con loro, se li sfiora o se si lega a loro,
porterà sempre chiunque sulla strada della sfortuna. Anche se è umana… no…
proprio perchè è un essere umano... c’è
qualcosa che non va in lei.”
La donna sembrò sul punto di cedere, ma fu forte abbastanza per trattenersi. Himawari guardò
sua nonna preoccupata e poi guardò ancora il monaco.
“Mi dispiace.” ripeté Haruka con voce grave. “La sua nipotina porterà sfortuna
alle persone attorno a lei… per tutta la vita.”
Dal porticato Haruka rimase ad
osservare le due figure che si allontanavano verso l’uscita del tempio. La donna camminava lentamente, come se fosse stata improvvisamente
sobbarcata di un peso insopportabile. Quando si erano
salutati, gli era sembrato che il suo viso fosse molto più vecchio. La bambina
seguiva sgambettando la nonna, guardandola dal basso in su,
intuendo che qualcosa in quello strano incontro l’aveva turbata. Ad un certo
punto dovette accorgersi che lui le stava guardando, perché si voltò indietro
e, continuando ad incespicare attaccata alla manica della nonna, gli sorrise salutandolo con ampi gesti della mano. Haruka le sorrise di rimando e ricambiò il gesto seppur con
più compostezza.Era una bambina davvero carina, con
un bellissimo sorriso luminoso.
Era un peccato che l’averla incontrata aveva segnato il suo
destino.
Sentiva ancora nel petto la sensazione spiacevole che il
contatto con l’aura infetta della bambina gli aveva lasciato. Anche lui, nonostante il suo potere e la sua forza, era
rimasto invischiato nella ragnatela della Sfortuna. Era come un’onda di marea
che avanzava nel suo corpo e non aveva modo di fermarla.
Quanto tempo gli restava? Pochi giorni al massimo…
Chi l’avrebbe mai detto che Haruka
Doumeki, rispettato da tutti come un’eminenza del
mondo mistico e spirituale, sarebbe morto per aver cercato di aiutare una
bambina sfortunata…
Eppure, nonostante la chiara
certezza che la morte si stava avvicinando, Haruka
non provò tristezza per sé stesso. Chissà per quanto tempo
quel sorriso sarebbe sopravvissuto sul volto di Himawari,
prima che la vita a cui era destinata le spezzasse il cuore.
Una sensazione frustrante, già provata fin troppo di recente,
gli si avvinghiò alla gola.
Quella mattina era venuta da lui una giovane coppia di sposi
a chiedere aiuto per loro figlio. Era un bambino
pallido dall’espressione spaventata, svenuto tra le braccia del padre. Vedeva
gli spiriti, gli avevano detto, e gli spiriti vedevano lui. Era tormentato e
perseguitato da mostri che nessun bambino dovrebbe mai
nemmeno sognare.
Ed anche quella volta Haruka non aveva potuto far niente. Quel bambino era
destinato ad una vita d’inferno perché un semplice esorcista non poteva
cambiare le leggi del fato. Il massimo che gli era
concesso era di lasciar loro un talismano per proteggerlo, ma quanto sarebbe
durato?
Haruka era un uomo dalla sconfinata
pace interiore, non perdeva mai la calma, ogni parola, ogni movimento ed ogni
gesto era ponderato e tranquillo. Il suo spirito era
come il grande albero sacro che stendeva i suoi massicci rami al centro del
cortile: ben radicato alla terra e proteso verso il cielo. Una presenza
rassicurante per chiunque vi avesse a che fare.
In quel momento però Haruka si
sentiva solo un piccolo essere umano che aveva tanta voglia di mandare al
diavolo il fato, il destino o chi per loro.
Che senso aveva la sua forza?
Aveva deluso Himawari, anche se
lei non se ne rendeva conto. L’aveva mandata verso un’esistenza segnata di
lutti continui, di occhiate torve da parte degli
altri, di solitudine e di sofferenza.
Non aveva potuto far nulla.
Aveva deluso il piccolo Kimihiro,
anche senza averlo praticamente mai incontrato. Il
bambino non si era svegliato e lui aveva insistito perché i genitori non lo
disturbassero. L’aria pura del tempio era l’unico piccolo sollievo che gli
aveva potuto concedere, prima di lasciarlo tornare alla sua vita di
persecuzione.
Non aveva potuto far nulla.
Avrebbe deluso Shizuka. Gli aveva
appena promesso di insegnargli a tirare con l’arco quando fosse stato
abbastanza grande per farlo, ed invece ora l’avrebbe
lasciato. Lui era praticamente l’unica persona con cui
il bambino parlava… Chi avrebbe avuto accanto ora? Chi avrebbe compreso il
potere che riposava in lui? Chi gli avrebbe insegnato a farne uso?
Shizuka sarebbe cresciuto da solo
ed in silenzio, come il suo nome.
Non poteva fare più nulla nemmeno per lui ora.
Erano pensieri tristi quelli in cui si era immerso, non
erano da lui, non rispecchiavano la serenità con cui era vissuto. Respirò
profondamente una, due, tre volte e cacciò la
malinconia dal suo cuore.
Quei bambini se la sarebbero sicuramente cavata anche senza
di lui. E se per loro ci sarebbero stati momenti bui,
in cui la strada da seguire era troppo difficile da percorrere da soli, Haruka si ripromise che avrebbe finalmente fatto qualcosa
per loro.
La morte non è la fine di tutto.
Con un sorriso più sereno rientrò per occuparsi delle ultime
cose che gli restavano da fare. Nel cortile del tempio
il ciliegio sacro fu scosso dal vento ed i suoi fiori abbandonarono i rami,
danzando nell’aria e cadendo al suolo come lacrime.
Nulla accade
per caso.