Volevo fare un paio di precisazioni prima di cominciare
Volevo fare un paio di precisazioni prima di cominciare.
La storia non è una storia, ma un insieme di one-shot che come avrete capito
sono collegate soltanto dalla stessa durata temporale, e precisamente un minuto,
cioè le 17.58 del
Ventuno Novembre, che poi cambiano per il fuso orario...
ho messo come avvertenze shonen-ai e drammatico perché sono due cose che possono
scoraggiare la lettura, ma riguardano solo particolari capitoli, precisamente il
X e il II. Se preferite saltateli. Per il resto specificherò il genere del
capitolo prima di cominciare. Questo è molto generale e non ha controindicazioni
di nessun tipo, credo ^_^, quindi buona lettura.
I.
[Berlino; Ventuno Novembre 2006, 17.58]
Il tempo è sempre lo stesso in
ogni luogo. A volte cambia l’ora, a volte il giorno, a volte la luce. In ognuna
di queste sue trasmigrazioni permane la stessa essenza, lo stesso movimento
proteso in avanti. È fondamentalmente un attimo cristallizzato nell’infinito, un
unico istante vissuto da milioni di anime – quel tempo era una fredda
giornata di Novembre, soffusa, nebbiosa, sfocata dai tratti della foschia
depositata sull’orizzonte già buio. Sulle strade rimaneva ancora un po’ della
neve caduta all’inizio del mese, illuminata dai repentini abbagli delle macchine
e dallo sfavillio dei grattacieli moderni.
Hanse guardò il suo orologio.
Erano le quasi le sei. Le cinque e cinquantotto.
Reclinò la testa contro la
poltrona di velluto rosso impolverata e sospirò profondamente, immerso
nell’oscurità e nella desolazione di quella sala solitaria, fatiscente,
decaduta. Il cinema chiuso, il Metropolitan Theater, gli era sempre
piaciuto per quel tocco raffinato di belle époque che trasmetteva con la sua
semplice presenza, come a testimoniare la precarietà di un’epoca lussuosa ormai
trascorsa, quando si trasmettevano i film muti in bianco e nero e le grandi
pellicole parlavano di amori sinceri e profondissimi. Ogni volta che aveva
bisogno di tranquillità sapeva di poterla ritrovare nel silenzio e
nell’imperturbabilità di quella sala fredda e abbandonata.
Per questo l’aveva portata lì.
Aveva aperto la porta rovinata, ceduta da chissà quanti anni, e l’aveva guidata
all’interno come se le stesse mostrando casa sua. Ma non era stato sufficiente.
Lei non aveva capito lo spirito di decadenza, la bellezza dimenticata e
sussurrata di quel luogo segreto e personalissimo. Non aveva voluto condividere
la meravigliosa stanza nascosta agli occhi frenetici del mondo. Aveva portato
nell’equilibrio di quell’epoca lontana la luce disarmonica della modernità e
della superficialità; aveva infranto con la sua sola presenza la delicata bolla
di vetro che preservava intatta, in una semplice stanza inaccessibile del mondo,
l’ultima cosa viva, morente, di una decade passata.
Aveva rovinato tutto. Con
quegli occhi e quella voce pieni di banalità aveva distrutto un piccolo,
sofisticato sogno. Poi se ne era andata. Dopo un anno, aveva semplicemente
deciso di prendere le sue cose –la sua borsetta, la sua sciarpa profumata, il
suo rossetto rosso, il suo cappotto di flanella- e di tornarsene a casa senza di
lui.
Hanse non pensava seriamente di
amarla. Non come si amava nei film del 1910, totalmente, enfaticamente,
appassionatamente. Ma sapeva, credeva davvero di volerle bene, di essere, in
fondo, legato a lei da un sentimento di tenerezza, di fiducia e di rispetto che
era qualcosa di molto simile all’amore nel suo stato primordiale. Forse si era
sbagliato. Su quella poltrona polverosa, al buio della sala, aveva riflettuto
per due ore sulle illusioni più malvagie dell’innamoramento, aveva pianto, si
era domandato come avesse potuto essere così cieco, si era arrabbiato. Gli
sembrava di aver sacrificato molto della sua vita per poterle stare accanto.
In un tempo così dilatato ed
immobile non si accorgeva di nulla. La moquette cremisi stesa ancora sul
pavimento nel corridoio centrale attutiva il rumore dei passi. Florian si
sedette di fianco a lui senza dire una parola, respirando il più dolcemente
possibile. Tremava ancora del freddo della sera, chiusa all’esterno del teatro,
e da un senso di irrequieta ansietà.
Hanse si voltò in uno scatto
d’ira e di sensi di colpa. Fino all’anno precedente, ricordò in un attimo, lui e
Florian entravano sempre insieme nel loro posto segreto. Erano più piccoli,
erano appena adolescenti, si nascondevano dentro quella struttura fatiscente le
prime volte che fumavano, o quando dovevano parlare di pensieri troppo intimi
per essere divulgati al resto del mondo. Tra quei muri rimbombava il sussurro
della loro amicizia infranta, ed il ricordo li pitturava di un alone di dolcezza
malinconica. Florian aveva in mente tutto, ogni dettaglio. Florian era sempre
stato tacitamente presente, anche quando Hanse aveva cominciato ad andare da
solo al teatro per pensare dopo gli appuntamenti con ‘la sua ragazza’.
“Hansi, missà che questa sera
non hai niente da fare, vero?”
Hanse notò il tono stranamente
gentile della sua voce, la morbidezza di poche parole così banali, eppure così
intense. Sembrava volergli dire che era passato solo un giorno, solo un’ora da
quella litigata orribile, che la gelosia era uno stupido punto di vista, che un
legame tranciato dall’orgoglio può essere riallacciato in un nodo strettissimo
con una frase tanto semplice.
“No,” Rispose.
“Vieni a berti una birra? Mi
annoio un po’. C’è il basket.”
“D’accordo.”
“Mangiamo qualcosa da qualche
parte, non so. Alla Stube, o dove vuoi tu.”
“D’accordo, Flo.”
Sorrise lievemente. Non capiva
come Florian potesse essere arrivato lì in quel momento, con quell’idea.
Florian, alla fine, c’era sempre nei momenti peggiori e anche in quelli
migliori. Si era dimenticato della sua precisione.
“Flo?” Hanse intuiva di aver
perso qualcosa di relativamente importante, ma di aver rimediato ad un errore
enorme.
“Mm?”
“Flo, mi sei – mancato.”
Hanse si sentiva felice
nonostante tutto. Nonostante un addio doloroso. Nonostante un pianto
imbarazzante. Nonostante la polvere del Metropolitan, nonostante il
freddo pungente di quell’ora qualsiasi di un qualsiasi giorno di Novembre, con
la sua nebbia, con la sua neve scintillante, con la sua notte precoce caduta
sulla città come un dio addormentato.
[Happy Ending]
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Questi capitoli
saranno tutti molto brevi. Spero vi sia piaciuta, e in ogni caso, per favore,
lasciatemi un commento, mi piacciono tanto *___*... Grazie a tutti e alla
prossima.
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