Non sapevo quello che facevo ... no,
non lo sapevo.
Rincorrevo le ombre sul soffitto e soffrivo perché non
ricordavo dove avevo
messo l'accendino.
Sì, non mi ricordavo cazzo.
Doveva essere sulla scrivania, doveva essere lì eppure, puff
sparito,
scomparso, volatilizzato.
Come mi sarei acceso la paglia? Come avrei fumato la mia ultima
sigaretta?
Tutto questo mi spaventava. Mi gettava nel panico. Avevo bisogno di una
sigaretta. Subito. Ora.
La luna e le stelle mi fissavano con fare interrogatorio ... mi giudicavano, lo so che lo
facevano.
Mi guardavano con quegli occhietti indagatori! VIA VIA! Chi siete voi!
Chi
siete e che ne volete sapere di me?
Luci
come flash!
Non potevo resistere, non ci riuscivo proprio ...
dovevo trovare il mio accendino rosso fuoco.
Alle undici di sera non ne avrei trovati altri.
Camminavo frenetico per la stanza, mentre tutto davanti a me si
appannava. Come
potevo restare immobile mentre il mio amico si era perso?
Rovesciai il divano, buttai per aria tutti i cuscini, uno a uno.
Quello stupido mobile che si risucchiava tutto, perfino la mia vita; lo
odiavo.
Si era mangiato il mio accendino ne ero sicuro.
Perché tutti continuavano a farmi i dispetti?
Perché?
Feci cadere tutta la pila di fogli che erano sul tavolo e il
barattolo
delle medicine che rotolò sul pavimento.
Lo rincorsi e lo presi stretto dondolando su me stesso, mi rassicurava
dondolarmi. Mi dava pace. Ma il rossore di quel flacone mi turbava.
"Dove è ... dove è?" uscì flebilmente
dalla mia bocca quel suono.
Mentre lei all'altro capo della stanza piangeva.
La sentivo mugugnare qualcosa. La udivo lamentarsi, ma lei non aveva
perso
niente! Non aveva perso il suo accendino!
Perché avrebbe dovuto piangere? Perché avrebbe
dovuto soffrire?
La fissai.
Vidi il panico nei suoi occhi, ma l'unico spaventato doveva essere il
mio
amico. Il mio inseparabile amico! L'unico che mi dava pace.
Cercava di slegarsi povera scema. Come se le avessi legato mani e gambe
con lo
scopo di farla uscire!
Una risata si gonfiò nel mio petto. Ma mi sentii in colpa!
Come potevo? Come
potevo ridere se il mio accendino brillante si era smarrito?
Tornai a cercarlo sotto il tavolo e man mano perdevo la
concezione di me
stesso, sentivo le mani tremare, la rabbia salire.
Perché? Perché se ne era andato anche lui?
Perché?
Mi fermai sorpreso dall'odore della pioggia, la finestra era aperta?
Chi
l'aveva aperta?!
Corsi rapido a chiuderla, quell'odore, quell’olezzo ... la odiavo la pioggia! La
detestavo!
Fissai i suoi capelli corvini, che le scendevano dritti lungo la
schiena,
mentre le sue gote rosse ...
Un’idea che mi
fulminò la testa, rapida, dolorosa … Lei
aveva rapito il mio piccolo amico.
Mi avvicinai con passo lento osservando la paura crescerle sul viso, i
lineamenti che pian piano diventavano rigidi, gli occhi lucidi che si
spegnevano, traditi dal dolore, dallo schifo, dalla passione.
Amavo quel momento, quella sensazione alla bocca dello stomaco. Quel
desiderio
selvaggio di odio e amore insieme.
In quei momenti, mentre affondavo il coltello, che portavo nella tasca
sinistra, dentro la loro carne, sentivo un brivido scendermi lungo la
schiena e
amavo quel rossore tiepido che usciva dalla loro pelle candida.
Prima una guancia, mentre leccavo il sangue e le lacrime, e poi un
braccio ...
piccoli tagli, poco profondi, mentre i suoi singhiozzi diventavano
sempre più
grandi.
Odiami, almeno tu; odiami anche tu.
Una risata mi uscì, mentre i polmoni si contraevano, le
accarezzavo il mento
sollevandoglielo "Dove lo hai messo?"
Continuavo a ripeterlo ma lei non rispondeva! Non voleva rispondermi!
Quella
puttana non voleva dirmelo!
Le tirai uno schiaffo esattamente come faceva mia madre con me da
piccolo.
Solo puttane, solo puttane incontravo!
Piccole e misere anime che risucchiavano la mia vita, come quel divano.
Mi guardava anche lei con quegli occhietti; quanto la odiavo, quanto la
volevo?
Bramavo la sua vita! Anche se era misera e insensata.
Impugnai meglio il coltello mentre le sferravo la prima coltellata nel
ventre.
Così non avrà mai dei figli! Così non
mi partorirà mai!
Il demonio nacque quel giorno! Il demonio! Io ti odiavo mamma!
“Mi hai lasciato! Perché? Ero un bravo
bambino!”
Il suo respiro si spezzò, il suo dolore salì! Ma
lei doveva soffrire, lei aveva
rubato il mio accendino.
E poi la seconda e la terza coltellata, il sangue mi sporcò
la camicia; mi segnò
la faccia, mi imbrattò i pantaloni nuovi comprati al mercato
a solo dieci euro.
“Mi odi puttana?”
Il suo corpo si afflosciò a terra. Iniziai a tastarle il
seno e poi scesi, ma
il mio accendino, dove era?
La pozza di sangue sul pavimento rifletté il mio volto.
Avevo gli occhi brillanti, avevo la rabbia ricalcata addosso!
Dove? Dove? Dove? Dove era il mio accendino!
Continuava a fissarmi, anche se ormai non respirava più ... sentivo agonizzare il suo
fiato, sentivo
esplodere la sua anima che tra poco l’avrebbe lasciata per
sempre ... forse sarebbe
andata in un luogo più felice.
No, la felicità non era concessa!
Volevo il mio accendino ... toccai il suo sangue con le mie mani
sporche ... Mi
pitturai la faccia, lasciai impronte ovunque.
Volevo un segno della mia esistenza.
Mentre lei cercava di muoversi.
Risi della sua stupidità, le tirai un calcio "Voglio il mio
accendino!"
Vidi che chiuse gli occhi, ma non poteva morire! Non poteva! Doveva
prima dirmi,
dove era! Doveva dirmi, dove era il mio accendino!
Ma ecco che spirò, con leggerezza, abbandonando questa terra
e con lei ... anche
il mio accendino scomparve.
La gioia di una vita spezzata, l'odio per me stesso ... io odiavo il
mio
accendino.
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