Hey dad look at me
Think back and talk to me
Did I grow up according to plan?
And do you think I'm wasting my time
doing things I wanna do?
But it hurts when you disapprove all
along
Sgattaiolare di piedini, che flettevano impercettibilmente l’acciaio.
Un foglio planò sui suoi appunti.
Howard alzò nervosamente la testa, mentre solleva gli occhialoni da
lavoro. Il piccolo Stark pietrificò all’istante sulla trave dove si
trovava, un paio di metri sopra le sopracciglia corrucciate del padre,
che lo guardarono in cagnesco.
«Anthony scendi immediatamente di lì, diamine!»
Lo rimproverò, con violenza.
Bam.
Il bambino, impaurito, perse l’equilibrio e cadde proprio sopra il
tavolo da lavoro zeppo di complessi meccanismi al quale il padre stava
lavorando.
«Fuori, fuori di qui!»
Urlò Howard, fuori di sé. Il pensiero che suo figlio si fosse potuto
far male precipitando da qualche metro dal suolo non lo sfiorò
minimamente. Aveva mente e corpo nel suo lavoro, non c’era spazio per
altro.
Anthony discese velocemente dal tavolo, come per andar via.
Ma con stupore di Howard - il quale si stava accingendo a immergersi
nuovamente nelle sue scartoffie -, rimase lì fermo a fissarlo. Sebbene
fosse scosso, spaventato e con un evidente bernoccolo sulla testa, quei
curiosi occhietti castani continuavano ad osservare il padre.
Il quale cercò di calmarsi, rammentando le parole di sua moglie Maria:
“Nostro figlio ha solo 4 anni, Howard. Ti prego, ricordatene”.
«Questo non è un posto per bambini, figliolo. Dovresti andartene di là
a giocare.»
Ma il padre non riuscì a smuoverlo, tanto che rimase impassibile
davanti a lui nonostante il livido sulla sua fronte iniziasse a
manifestarsi chiaramente.
“Grazie a Dio almeno non si mette a frignare.” In effetti erano rare le
volte che capitava di vedere il piccolo in lacrime.
«Santo cielo, ti ho anche costruito un bel gioco, un piccolo scudo
giocattolo che... che è appartenuto ad un grande eroe. Dovresti
giocarci.»
“A tutti piacciono gli eroi.” Aggiunse mentalmente, faticando non poco
a materializzare nella mente il volto del suo amico, passato a miglior
vita cercando di fare del mondo un posto migliore.
Per un attimo ricordò la spensieratezza di un tempo, quando nessuno
conosceva il nome “Stark”. La felicità di quei giorni, la tranquillità
del lavoro. Tutto passato. Tutto morto e sepolto da un presente molto,
molto più opprimente.
«Non mi piace giocarci. E’ da bambini.»
La risposta del figlio spiazzò il padre. Il quale però perse
definitivamente la pazienza. Afferrò il figlio per un braccio e lo
trascinò fuori dal laboratorio. Doveva finire il suo lavoro e non aveva
tempo di discutere di “cose da bambini” con quella peste. Una
volta sulla porta strinse ancor di più il polso al figlio e lo guardò
dritto dritto negli occhi. Non aggiunse nient’altro
quando lasciò la presa, si voltò e chiuse pesantemente l’ingresso
dietro di sé.
Si trascinò velocemente verso la sua postazione di lavoro, desideroso
di riprenderlo al più presto. Ma si ricordò del disastro combinato poco
prima dal figlio, quindi si mise controvoglia a sistemare. Fino a
quando qualcosa non attirò la sua attenzione.
«Cosa diavolo...!»
Sussultò. Gli era capitato tra le mani un foglio.
Il foglio che era planato -involontariamente?
volontariamente?- sul tavolo poco prima. Poche righe di matita,
molto accurate. Howard sentì la rabbia accumulatasi sciamare
velocemente.
“Un piccolo demonio. Ma... altamente intelligente.”
Pensò, mentre rigirava tra le mani lo schizzo che descriveva le
migliorie da effettuare allo scudo.
Quello vero; quello di
Capitan America.
'Cuz
we lost it all
Nothing lasts forever
I'm sorry
I can't be perfect
Now it's just too late and
We can't go back
I'm sorry
I can't be perfect
~ NOTE ~
Il titolo e gli stralci della canzone sono tratti da "Perfect" dei
Simple Plan.
(Non l'hai mai sentita? Corri. Immediatamente!)
Per il resto... Nulla! Secondo esperimento nella sezione, questa volta
un po' più "meditato". Spero possa piacere. :)
A presto,
_Diane_
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