Perché
lei non mi amava abbastanza
Da
bambino, all’orfanotrofio, aveva sentito storie ridicole.
I
suoi compagni, in un atto di infantile speranza, si raccontavano
l’un l’altro
storielle che gli erano sempre parse comiche sulle loro origini: e
così c’era
Alice, che diceva di essere la figlia di re Giorgio, oppure Anna, la
bambina
indiana, che raccontava di essere la figlia di un maharaja.
C’era George, il
figlio di un re, e Albert lo storpio, la cui madre era una ricca
signora
scozzese, Toby il negro, figlio di un re dell’Africa che come
animale domestico
aveva un ghepardo e che vestiva d’oro e diamanti e Michaela,
che era figlia di
un ricco colonnello e avrebbe sposato un ufficiale
dell’esercito. E poi c’era
lui, Tom.
Tom,
il figlio di nessuno, perché sua madre stava nel camposanto
dietro la chiesa di
Saint Mary, due traverse più in là. Tom, che il
giorno del suo compleanno si
recava in visita con la direttrice a quella tomba senza nome, con la
sola data
di morte e un anonimo “Mrs. Riddle”
incisi sulla lapide.
A
volte non sapeva spiegarsi la strana rabbia che gli montava nel vedere
il
ciondolo di Margaret, una modesta medaglietta di santa Anna che era
appartenuto
a sua madre, oppure l’armonica di Roger, che era di suo
padre, morto in una
qualche miniera del nord. Non sapeva spiegarla, la provava e basta.
Provava
rabbia quando Caroline raccontava alla sua sorellina, Catherine, che
era nata
scema, della loro mamma.
Poi
Silente era arrivato e gli aveva rivelato la verità: lui era
un Mago. Era speciale,
era unico: ecco perché poteva fare quelle cose strane, ecco
perché era potente.
Era potente! E aveva preso a guardare dall’alto al basso quei
Babbani, quegl’infidi
esseri che non avevano altro che illusioni e storielle della buonanotte.
Però
continuava a provare rabbia davanti alla medaglietta che Maggie portava
orgogliosamente al collo, all’armonica che Roger suonava
senza sosta e alle
storie di Carrie. Odiava anche solo la loro vista e quando doveva
passare a
casa le vacanze, cercava di evitarli. Non sapeva perché.
Ad
Hogwarts, lui era l’orfano straordinario, Tom Riddle, il
figlio di nessuno, il
Mago più dotato della sua generazione, lo studente modello,
un ragazzo dal
grandioso futuro davanti.
Eppure
non era soddisfatto, perché quella Magia che gli scorreva
nelle vene reclamava
i suoi avi. Era troppo speciale per essere solo un maledetto
Sanguesporco. Di sicuro
suo padre doveva essere un Mago, per forza di cose doveva essere
così.
Era
impossibile che lo fosse sua madre, una Strega non sarebbe mai morta
così. Una Strega
non sarebbe mai stata seppellita in quella tomba sterile, senza nome,
senza
nemmeno un fiore.
Allora
l’aveva cercato, colui che gli aveva fatto il dono della
Magia. Tom Riddle.
Thomas Riddle. Tomas Riddle… non c’era nessun Tom
Riddle nei registri di Hogwarts.
Si era sentito frustrato: eppure doveva esserci! Per forza! Suo padre
era un
Mago, doveva esserlo! Doveva!
Si
era lasciato prendere dallo sconforto: era davvero un Sanguesporco? Un lurido
Sanguesporco?! No, non poteva essere, non poteva
crederci! Suo padre doveva
essere un Mago!
E
che tortura era stato stare all’orfanotrofio per
l’ennesima volta, guardare
quei Babbani, stare con loro. Chi, dei suoi compagni, era ormai grande,
aveva
abbandonato da tempo le fantasie, ma Maggie continuava a portare la
catenina,
Roger continuava a suonare l’armonica e Carrie continuava a
raccontare a Cathy.
E non lo sopportava.
No,
suo padre non poteva non essere un Mago. Magari non aveva studiato ad
Hogwarts,
ma di sicuro uno dei suoi antenati sì!
Nei
registri cercò, dunque, Marvolo, ma nessun Marvolo Riddle
aveva mai messo piede
ad Hogwarts, no, peggio, nessun
Riddle vi aveva mai messo piede. Che fosse davvero un Sanguesporco?
Così doveva
essere, sua madre non era una Strega.
Eppure
c’era tornato, dopo tanto tempo, su quella lapide vuota.
“Eri una strega?” si era
chiesto,
fissando quell’anonimo “Mrs. Riddle”,
in cerca di risposte. Chi doveva cercare?
Chi era Mrs. Riddle? Poteva davvero essere una Strega, lei che era
morta in
quel modo spregevole?
E
Margaret era tornata all’orfanotrofio, con la pancia
già enorme. Se n’era
andata mesi prima, a far la cameriera per quei ricchi Babbani che,
sciocchi,
credevano di essere i padroni del mondo. A lui, tutto sommato, Maggie
stava
simpatica. Era silenziosa e molto sveglia, riteneva che un brutto
scherzo del
destino l’avesse fatta nascere Babbana. L’aveva
vista tornare dalla sua
finestra e stramazzare sulle scale, sotto la pioggia.
E
poi aveva sentito le signorine dell’orfanotrofio parlare e
bisbigliare. Maggie era
morta e l’avrebbero seppellita accanto a sua madre. Avrebbe
potuto salvarla, se
avesse voluto, ma era comunque una Babbana e non ne valeva la pena.
Il
bambino era rimasto lì, con loro e con la catenina di
sant’Anna, perché il
padre non lo voleva. I nonni non lo volevano. Ma Margaret
l’aveva chiamato
comunque come suo padre, come il suo Edmund. Gli era parso sciocco.
Era
stato così anche per sua madre? Anche Mrs. Riddle era
arrivata sotto la
pioggia, anche lei aveva chiamato il suo Tom come una stupida Babbana?
Anche lei
gli aveva dato il nome di un padre che non l’aveva voluto?
Anche lei era stata
una stupida Babbana, anche se era nata Strega?
E
allora aveva cercato. Marvolo non era un nome comune.
Marvolo
Gaunt era un Purosangue. Era stato ad Hogwarts. Aveva sposato la
cugina,
Rosamund, una Purosangue. Aveva avuto due figli. Un maschio e una
femmina. Un
Purosangue e una Maganò. Si chiamava Merope Gaunt.
Aveva
cercato suo zio ed era rimasto deluso: eccolo, di fronte a lui, un
bruto, uno
zotico ignorante, che di Magia ben poco conosceva, un uomo sporco e
dimesso.
Che spreco di sangue magico.
E
che rabbia, mentre dileggiava quella
sorella incapace che aveva amato un Babbano. Viveva sulla collina,
diceva,
nella grande casa. Era uno ricco, uno importante.
Dov’era
sua sorella? Sotto terra? Ben le stava, a disonorare il sangue dei
Gaunt. Di Salazar
Serpeverde. Per un attimo aveva capito Merope: che incubo
era stato vivere con
tali bruti? Lo era stato al punto da preferire un Babbano?
E
allora era andato dal Babbano. Gli somigliava, gli parve strano. E lui
sbraitava, mentre gli diceva di essere il figlio di Merope. Sbraitava,
gli
intimava di andarsene, non voleva aver a che fare con quella pazza, non
voleva
avere a che fare con la strega. L’aveva ingannato,
l’aveva stregato. Aveva provato
orgoglio e ribrezzo: e dunque sua madre era una Strega? Ma
perché usar la sua
magia per quel Babbano immondo? Perché piuttosto non
liberarsi del fratello?
Aveva
ucciso i genitori del Babbano. Anche loro lo cacciavano, anche loro
urlavano,
gli intimavano di andarsene, non gli avrebbero dato denaro, dicevano.
Ah, a
cosa gli serviva il denaro? A lui, il Mago?
E
il Babbano –non sopportava il suo nome- l’aveva
supplicato di non ucciderlo. Gli
avrebbe dato tutto ciò che desiderava, avrebbe taciuto,
avrebbe, avrebbe…
Aveva
avuto pietà di sua madre? Della Strega? L’aveva
ucciso, poi aveva sistemato
tutto e sen’era andato.
Sulla
lapide aveva inciso il suo nome, Merope. E l’aveva fissata a
lungo.
Maggie
aveva urlato tanto, mentre metteva al mondo Edmund. Aveva lottato,
dicevano le
signorine.
E
lei? E sua madre, perché non aveva lottato? Sua madre, che
aveva una bacchetta,
perché era morta? Perché era diventata una
Babbana? Una Strega non moriva così,
una Strega si sarebbe salvata. Una Strega avrebbe usato la Magia.
Perché era
morta, allora? Lei era una Gaunt, lei era potente. Poteva usare la
Magia.
O
quella notte aveva deciso di non usarla? Quella notte aveva deciso che
non
aveva voglia di vivere?
Maggie
aveva voglia di vivere, voleva rimanere con suo figlio. Voleva che
crescesse
lontano dall’orfanotrofio, sperava ancora che Edmund venisse
da lei.
“E
tu, Merope? Tu non volevi?”
Se
ne andò, lasciandosi quella lapide finalmente piena alle
spalle.
Qua
Voldemort è estremamente OOC, lo so. Diciamo che mi son
sempre detta che se
Voldy era così, anche sua madre e la sua morte poco
coraggiosa hanno avuto un
certo ruolo.
Così
ho deciso di creare anche il personaggio di Margaret, una specie di
“doppione”
di Merope, con una storia simile ma un modo differente di viverla, che
mi ha
aiutata a mostrare quella domanda che ogni orfano e bambino abbandonato
si
pone: “Ma tu non mi hai amato abbastanza?”
Spero
che vi sia piaciuto, a presto,
Beth
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